Un quadro una storia. La Madonna del Carmelo di Apecchio.

di Leonello Bei



La Madonna del Carmelo di Apecchio

Entriamo nella storia del Ducato di Urbino nei primi anni del 1600. Erano passati i brutti periodi che avevano visto l’usurpante dominio di Cesare Borgia e quello ecclesiastico di Lorenzino dei Medici, che avevano costretto i duchi Guidubaldo I e Francesco Maria I a periodi di esilio e tutti i feudatari a scappare o sottoporsi alla loro autorità. Quelli che non l’avevano fatto, come Federico Brancaleoni della Rocca di Piobbico nel 1517, avevano subito il sequestro dei propri beni e il taglio della testa nella piazza di Urbino. Era passato Guidubaldo II che aveva imposto con la forza tasse pesantissime, facendo impiccare a Pesaro gli ambasciatori che Urbino aveva mandato per protestare. Ora, sotto il dominio del buon duca Francesco Maria II della Rovere, con il passare degli anni il problema più grande era quello di avere un successore per far sì che lo Stato non ritornasse nelle mani del Papa, e in fine il 16 maggio 1605, sia pure in ritardo, la duchessa Livia aveva dato alla luce il sospirato erede Federico Ubaldo. Giovan Battista Bettini, maggiordomo del duca a Pesaro, così scrisse:

“È nato il Principe di Urbino, sia lodato Iddio. Sono stato il secondo a pigliarlo nelle mie braccia et pianto per allegreza, la signora duchessa sta benissimo, il putto è bellissimo, grande, comincia subito a piangere e a girare gli occhi suoi come persona grande. Altro non posso scrivere che non sto in me per l’allegreza et perciò mi scusino et bascio le mane”.

Passiamo ora a parlare della Contea di Apecchio. Assieme a quella di Carpegna erano le uniche che godevano di piena autonomia, infatti saranno le sole che continueranno ad esistere per altri centoventi anni dopo la fine del ducato. In questo racconto parleremo del conte Gentile II Ubaldini, il personaggio che più spicca all’inizio del 1600.

Pieve di San Martino e San Giovanni Battista di Apecchio, dove è conservato il quadro della Madonna del Carmelo.
Questa chiesa venne nominata nell’814 Circoscrizione Ecclesiastica Minore, il così detto “Piviere” e posta a capo di Massa Vaccareccia. Assieme alla Massa Vaccareccia vennero formate la Massa Trabaria con a capo la pieve d’Ico di Mercatello, la Massa Verona con a capo la pieve di Santo Stefano e la Massa Mariana con la pieve di Santa Maria del Trivio.
Di lui e di questo periodo si parla ampiamente nel libro di Mons. Berliocchi “ Quando c’erano le torri, Apecchio tra Conti, Duchi e Prelati”. Si racconta quando, ancora giovane, contrasse alcuni debiti, mettendo in imbarazzo anche il padre, si parla anche di quando, diventato adulto, seppe dirigere con polso fermo la Contea, adeguando alle necessità che via via si presentavano, i vecchi codici di leggi dati da Ottaviano Ubaldini nel 1494. Si racconta anche della sua morte, per la quale, lui stesso, aveva disposto il funerale, accompagnato da 13 preti con 13 torce. Noi con questa ricerca cercheremo di aggiungere degli aspetti nuovi di Gentile II, scoperti di recente nell’archivio Ubaldini di Urbino, che ci hanno ricollegato alla storia di questo quadro.
Aveva sposato in seconde nozze la nobile Cecilia Amici di Senigallia, dalla quale aveva avuto due maschi, Gentile III e Ottaviano.
A proposito del piccolo Gentile abbiamo trovato alcuni documenti interessanti che vogliamo proporvi; il primo riguarda la nascita e dice così:

“Nacque il Conte Gentile Ubaldini in giorno di domenica, li 9 del mese di settembre l’anno 1601 e gli fu posto il nome del padre che aveva nome Gentile, e da Cecilia Amici, famiglia delle più nobili della Marca, seconda consorte di Gentile, e fu battezzato li 10 dello stesso mese. Nacque come dissi in Apecchio, diocesi di Città di Castello. Il luogo è murato, civile e popolato per quanto comporta la condizione del sito aspro fra l’Alpi nel declinare del giogo dell’ Appennino che soprasta al Borgo San Sepolcro e a Città di Castello. E’ a capo di Massa Vaccareccia, perciò l’ Arme della Comunità è una vacca con un picchio in groppa, picciola Provincetta e antichissima signoria degli Ubaldini ed è il ramo più illustre e famoso nelle istorie, tra gl’altri molti della casa. La suddetta Vaccareccia è bagnata da tre fiumi: Vescubio, Candigliano e Menatoro. Ripiena di villaggi e con molte castella in particolare: Apecchio, La Carda, Seravalle, Vergonzano, Rocca Leonella, Valbuscosa, Pietragialla, Montefiore, Fagnille, Basciuccheto, Monte Vicino, Castiglione  e Monte Forno, in mezzo dè quali è Apecchio e quivi nacque Gentile, con pericolo della vita della madre. Fu educato nella puerizia sotto la disciplina di buoni maestri, che li provvide il padre et in breve se ne vide il profitto in tutte le arti”.

Nel 1607 il Ducato di Urbino venne colpito da un’epidemia di vaiolo e il duca per salvaguardare l’incolumità dell’unico figlio, lo fece allontanare dalla città. Era tenuto a Casteldurante, dove era amorevolmente custodito dalla sua balia, la contessa Vittoria Tortora Santinelli, ma “il 5 di maggio fu riportato a Urbino poiché qui si erano scoperti dei varoli assai cattivi”. Il 4 giugno “ritornò a Casteldurante per essersi scoperti a Urbino varoli di mala qualità”. Purtroppo in questo periodo anche il duchino era rimasto contagiato dalla malattia, venne curato dai migliori medici del ducato, il Bassoia, medico personale del duca, Rinaldo Moco, Giulio Oddi, Flaminio Palma, che erano accorsi dalle principali città feltresche, arrivò addirittura Piergiorgio Lampugnano, medico personale del duca di Parma. Constatata l’inutilità delle cure, per cambiare aria fu portato a stare a Berticchio. Poi visto che il principino si era ulteriormente aggravato “il 2 luglio si mandò Federigo ad Apecchi per l’accrescimento di varoli maligni che ogni dì per tutti quest’altri luoghi crescevano”.

Federico Ubaldo della Rovere

Riportiamo un brano di una lettera spedita da Urbino al granduca di Toscana Cosimo II dei Medici, per informarlo sulla salute del duchino Federico Ubaldo poiché questi già all’età di sei anni era stato fidanzato con Claudia dei Medici, sorella di Cosimo, di cinque anni. La lettera dice così:

“Il Sig. Principe cominciò ad avere un poco l’inappetenza con un poco di raucedine e di scesa sul collo, poi ebbe un po’ di febbre e cominciarono a comparire alcuni varoli nella testa e nel viso e dopo in maggior copia per tutta la vita e in parte nel petto e nella schiena“.

Quindi Federico Ubaldo fu spedito ad Apecchio dove nel giro di tre mesi con sorpresa di tutti guarì completamente dalla sua malattia. “Si pensava che se anche fosse guarito gli sarebbe rimasto il bel faccino bucato dal vaiolo, ma poi prodigiosamente i varoli seccarono di furia e Federichino tornò a crescere a ‘occhiate’ robusto e compagnevole al massimo”. Perché venne mandato ad Apecchio e non altrove, con tutti i luoghi belli e lussuosi che possedeva il ducato? Per almeno tre buoni motivi:
Primo: il Duca riteneva che mandarlo in casa del Conte Gentile, sarebbe stato al sicuro come in casa propria, poiché la fiducia che aveva verso il Conte era grandissima, come vedremo in seguito, inoltre possedeva un lussuoso palazzo che aveva appena finito di sistemare, adatto al modo in cui il duchino era abituato a vivere.
Secondo: ed è un fattore molto importante, il territorio d’Apecchio era ed è tuttora ricchissimo di sorgenti solfuree, considerate da sempre un toccasana per la cure della pelle. Le varie fonti: delle Vaie, del Gatto, della Taverna, di Pian di Lupino e della Piscina Nera producevano fresche acque e preziosi fanghi neri che gli apecchiesi da sempre usavano per curare piaghe e ferite.
Terzo: avrebbe potuto usufruire per non annoiarsi, della compagnia di uno dei figli del Conte, che gli era quasi coetaneo e che portava lo stesso nome del Padre.
Federichino Ubaldo e Gentile III in questa estate apecchiese dettero sfogo alla loro esuberanza giovanile combinandone di tutti i colori. Il prossimo documento riguarda appunto i rapporti trascorsi ad Apecchio tra Gentile e il piccolo principe Federico:

“Gentile Ubaldini, figliolo di Gentile Ubaldini Conte d’Apecchio, Pietragialla e Montefiore, di anni 7 incirca, ebbe la conversazione domestica di Federico Principe d’Urbino, figliolo di Francesco Maria, Duca d’Urbino, per lo spazio di due mesi e mezzo continui che stanziò in Apecchio apresso il Conte Gentile suo padre, dalli 2 di luglio fino alli 19 di settembre, andando con il Principe d’Urbino a spasso, con meraviglia degli Apecchiesi, sopra una bella carrozzina tirata da un gran cane di Bertagna, che la Marchesa Camilla Malvezzi, madre del Marchese Chiapio Vitelli, aveva fatto venire da Fiorenza e donatala al Principe d’Urbino mentre dimorava in Apecchio“.

Gentile Ubaldini da grande si trasferì a Roma al seguito del cugino Cardinale Roberto, si fece frate col nome di Fra Girolamo e successivamente prese i voti col nome di Padre Agostino. Fu preposto della Chiesa di San Biagio in Montecitorio, dopo aver insegnato nelle scuole religiose più importanti d’Italia, rifiutò gli Arcivescovati di Avignone e di Amalfi offertigli da Papa Innocenzo X, per non allontanarsi troppo da Roma, di dove assicurava benessere e prosperità alla Contea di Apecchio che era stata affidata al suo posto al fratello minore Ottaviano III.
Ritorniamo a parlare del quadro cercando di spiegarne i personaggi che ci sono rappresentati. E’ intitolato alla Madonna del Carmine; più in basso vi sono tre personaggi reali, sulla destra, contrapposti a tre Santi sulla sinistra.

Il conte Gentile dimostra la sua particolare devozione a San Francesco
       
Il primo in alto a destra vestito con il saio francescano è il Conte d’Apecchio Gentile II. E’ contrapposto a San Francesco, perché lo riteneva il suo protettore, la sua guida spirituale, lo specchio su cui basare la propria vita. In questa pieve fece costruire la cappella dedicata a San Francesco e nella quale chiese di essere sepolto vestito solo del saio francescano.
Ma vediamo che tipo era questo pacioccone barbuto, applicatore inflessibile delle leggi nell’amministrazione della giustizia. Aveva bandito la bestemmia e a chi veniva colto in flagrante veniva forata la lingua e imprigionata tra due stecche di legno. Godeva della massima fiducia del Duca, che gliela dimostrava in ogni occasione di bisogno.
Era usanza del Duca dare delle patenti di comando ogni qualvolta se ne presentava la necessità. Incaricando del comando, persone della massima fiducia; per l’appunto il Conte Gentile che sembrava averne il monopolio come si può vedere da questi documenti:

“Il duca d’Urbino spedì patente al Conte Gentile II Ubaldini in Apecchio li 22 giugno 1584, nella quale comanda che il Conte Gentile sia obbedito come la Persona Propria del Duca, volendo che abbia ogni maggiore autorità che sia mai solita darsi in quella carica, inserendosi nella patente per motivo, essere destinato a uno dei principali governi quale era il governo dell’armi della città e fortezza di Sinigalia, che il Duca di Urbino abbia nel suo stato, e che ha cercato di eleggere persona non solo di valore, fede e diligenza, ma che sia acompagnata da autorità e rispetto.”
“In data 19 giugno 1590 spedì il Duca d’Urbino patente ducale al Conte Gentile II degli Ubaldini, di potere comandare a ministri e offiziali e d’essere obbedito come la Persona Propria nella provincia di Massa. Patente fatta con occasione d’un certo numero di banditi presenti in loco”.
“In quest’anno 1595 il Duca d’Urbino spedì li 4 giugno Patente Ducale, dove si vede il sudetto Duca, dichiara il Conte Gentile II Ubaldini d’Apecchio, suo Comisario Generale nelle città di Pesaro e Sinigalia e ne loro territori, con piena autorità come la Persona Propria del Duca, per il passaggio delle genti ecclesiastiche di Papa Clemente VIII ch’andavano in Ungaria”.
“Il dì ultimo di novembre 1597 per il passaggio d’altri soldati ecclesiastici per lo Stato d’Urbino, fu spedita patente al Conte Gentile Ubaldini d’Apecchio e dichiarato dal Duca d’Urbino: Comisario Generale nelle città di Gubbio, Cagli, Urbino, Fossombrone, Massa, Montefeltro e loro territori, con darle suprema autorità di comandare a tutti e specialmente agl’altri Comisari, Capitani, Offiziali e milizie, e che sieno tenuti d’obedire agl’ordini del Conte Gentile, non meno che fossero dati dallo stesso Duca”.

Preciso che l’esercito ducale era composto di cinquemila soldati, numerosi colonnelli e quaranta svizzeri come guardia personale del duca.
Quindi il Duca nelle situazioni di pericolo era solito affidarsi al Conte d’Apecchio, ma era pronto anche a gratificarlo pubblicamente quando se ne presentava l’occasione, come dimostrano alcuni altri documenti:

“Anno 1597 hebbe ancora il Conte Gentile Ubaldini la provisione di Gentile Huomo da Cocchio del Duca, ancorché assente dalla Corte e residente nella sua Giurisdizione o altrove. Favore molto singolare ne ad altro Cavaliere o titolato, concesso, se non al Conte Horazio di Carpegna”.

“Il Conte Gentile Ubaldini nel mese di novembre asistè al Battesimo solenne del Principe Federico figlio del Duca d’Urbino, nato li 16 di maggio, e il Duca fece trattenere il Conte Gentile a mangiare seco publicamente”.

In questa cerimonia il conte di Apecchio era addetto a reggere l’orciolo d’argento con l’acqua battesimale.

“Fu eletto il Conte Gentile d’Apecchio dal Duca d’Urbino, come Capitano della scorta e per compagno della Marchesa del Vasto, sorella del Duca, nel viaggio di ritorno da Napoli”.

“Il Conte Gentile di Apecchio, operò in modo apresso il Duca d’Urbino, che Timocrate Aloigi, suo suddito nato in Apecchio, fosse eletto da Papa Paolo V, Vescovo di Cagli per nominazione del Duca, al cui servizio era stato per lungo tempo in Roma.”

Il duca affida lo scettro del potere al vescovo, cioè alla Chiesa
   
Passando ai personaggi seguenti, troviamo il Duca d’Urbino, Francesco Maria II della Rovere contrapposto a San Benedetto Vescovo. Perché San Benedetto?
Perché il Duca preferiva abitare nel suo palazzo di Urbania, piuttosto che in Urbino, e li era protettore dell’Abbazia di San Cristoforo al Ponte, appunto Benedettina.
Lo vediamo raffigurato con indosso tutti i simboli del suo potere. Lo scettro del comando in mano, che sta porgendo verso il Vescovo in atto di palese sottomissione alla Chiesa. Indossa l’ermellino, infatti i Duchi d’Urbino erano stati insigniti “dell’Ordine dell’Ermellino”  dal Re di Napoli nella persona di Federico da Montefeltro; come possiamo vedere porta anche il Tosone d’oro, un’enorme collana d’oro massiccio donatagli dal Re di Spagna il 2 maggio 1585 in segno di ammirazione e gratitudine per i servizi resigli in guerra, collana con la quale venne sepolto in Urbania e che forse fu causa della scomparsa del suo corpo come risulta nella storia di Casteldurante. Gli stessi gigli che adornano la sua veste, che hanno tratto in inganno qualcuno facendogli pensare che si trattasse di San Luigi di Francia, sono simboli del suo potere. La madre del Duca era Vittoria Farnese e aveva nel suo stemma principesco i gigli di Francia, perciò dimostrare la parentela con una famiglia che aveva Dignità Sovrana e che poteva vantare di aver avuto un Papa, Paolo III e vari Cardinali, era per lui molto importante.

Il principino è affidato alla protezione di San Carlo Borromeo
In fondo troviamo il Principino Federico Ubaldo in contrapposizione con San Carlo Borromeo. Un Santo questi, considerato di famiglia poiché un suo fratello aveva sposato Virgina, sorella di Francesco Maria. Pochi anni prima, nel 1579, era stato ospite del Ducato di Urbino, e aveva lasciato una forte impressione su tutto il territorio tanto che ogni Chiesa aveva fatto dipingere quadri in suo onore. Anche Federichino offre la sua corona, come atto di sottomissione alla Chiesa, forse dimostrando una premonizione per quello che sarebbe successo, infatti la prematura morte del Principe, avvenuta a soli 18 anni nel giugno del 1623, fece si che il Ducato, senza eredi, ritornasse sotto il dominio della Santa Sede.
Un ultimo particolare da osservare nel quadro, sono gli angeli in alto. Se tutti gli interessati dovevano esservi riprodotti, si ritiene che nei due angeli di sinistra siano raffigurati i volti della contessa Cecilia e del piccolo Ottaviano, mentre a destra sarebbe ritratto il giovane Gentile.


Le cose dette finora potrebbero sembrare solo delle supposizioni, e lo sarebbero se non fossero supportate dai seguenti documenti; il primo trovato nell’archivio di Palazzo Ubaldini in Urbino dice così:

“Il Duca d’Urbino in segno di straordinaria confidenza e amore, mandò li 2 luglio 1607 il Principe Federico, suo figlio, in Apecchio in casa del Conte Gentile Ubaldini, dove dimorò assieme con la sua consorte fino alli 19 di settembre, concorrendovi di continuo genti da tutto lo Stato. Di questo fatto apparisce nobile attestazione in un quadro ben grande, fatto dipingere dal medesimo Conte Gentile e da lui collocato nella galleria della magnifica sua abitazione in Apecchio. A questo è stata posta un’iscrizione rappresentante la verità del seguito a perpetua memoria.”

Il secondo è nel volume manoscritto del Certini Memorie istoriche di 30 famiglie, redatto nell’anno 1716, dove l’autore dice di aver veduto nelle sale del Palazzo di Apecchio, gran copia di quadri, e ricopiò le didascalie di quelli dei membri della famiglia; prosegue poi dicendo di aver visto un grande quadro dove erano raffigurati vari personaggi non decifrati con la seguente iscrizione:

“Adi 2 luglio 1607, piacque al Serenissimo Francesco Maria, Duca d’Urbino, con l’occasione dei mali varoli c’attorno erano, mandare il Sig. Federico Principe, in Apecchio in casa del Sig. Conte Gentile Ubaldini, dove stette con la sua consorte persino alli 19 settembre 1607 per Dio grazia con sanità et acquisto nella sua persona, conforme il ritratto che a perpetua memoria è fatto fare dal Sig. Conte”.

Lo stesso quadro è registrato all’archivio Capitolare di Città di Castello nel volume contrassegnato VB 28.
Dove sono finiti tutti quei quadri visti dal Certini? A questo proposito si possono solo formulare delle ipotesi. Forse la moglie dell’ultimo conte di Apecchio Federico II li portò via facendoli in seguito sparire, se invece fossero rimasti nel palazzo, è necessario segnalere che il 10 dicembre 1841 Papa Gregorio XVI concesse la dimora degli Ubaldini al comune per destinarlo a sede Municipale, e in quell’occasione per la formazione degli uffici furono tolti gli arredi, è possibile che il grande quadro in cui era raffigurata la Madonna con dei Santi fosse preso dall’arciprete e messo in chiesa, infatti quella attuale è una sistemazione posticcia e rimediata, non essendo mai stato posto in un altare. Mentre gli altri quadri raffiguranti personaggi che non interessavano più nessuno, è probabile che siano stati portati altrove o magari venduti in blocco a qualche rigattiere. Ne è la prova il fatto che uno di questi, quello di Bernardino Ubaldini della Carda, è stato ritrovato in un negozio di antiquariato a Rimini e acquistato dal signor Massimo Fortini. Fatto sta che Apecchio in quell’occasione perse un patrimonio di altissimo valore artistico e soprattutto storico.
Vediamo ora che fine ha fatto crescendo questo piccolo principe, per il quale tutti si erano dati un gran da fare e che rappresentava le speranze di tutto il ducato di Urbino.
A diciassette anni, nel 1621, Federico Ubaldo sposa Claudia dei Medici dalla quale ha una figlia, Vittoria. In seguito, riempie la vita di bravate assurde, “ha due figlie illegittime, una delle quali la uccide investendola guidando una carrozza tirata da diciotto cavalli; gira di notte sparacchiando con un terribile schioppetto; è come un grosso bambino irresponsabile e viziato che adora il lusso, i soldi, le donne e l’inutilità”. La madre Livia gli diceva: “a voi ci vorrebbe la borsa del re di Spagna”. Si innamora di una attrice di strada chiamata Argentina, per lei dimentica tutto, ducato, decoro, madre, padre, moglie, figlia, quando la moglie lo riprende lui risponde assestandole due schiaffi, alla presenza della contessa di Carpegna e della marchesa Onorata Piccolomini. Va a vivere con i guitti, amici dell’amante, e fa l’attore di strada davanti ai suoi sudditi che lo applaudono come l’attore più bravo del mondo. Il padre Francesco Maria per tentare di modificarne il carattere, raccomandava al figlio “di non impicciarsi degli acidenti del mondo, rimanere in intrinsichezza e collegatione con i Principi d’Italia, coltivare l’amicizia della Spagna, tenersi buoni i francesi, item il Papa, etiam i nipoti del Papa, similiter i cardinali che papeggiano e non lasciar spadroneggiare i preti, anzi tutt’altro, gli ripeteva: lasciateli attendere all’offitio loro e voi attendete al vostro senza l’aiuto di essi”. Delle donne gli diceva: “sono creature lunatiche e uterine di una grande imbecillità. Quelle intelligenti sono rare e in esse l’intelligenza si accoppia all’intrigo. A vostra sposa siate sempre amorevolissimo ma non lasciate che si ingerisca in cose del governo”. Concludeva: “ora con l’aiuto divino entrate a supportare questo peso alegramente, che io alegramente starò aspettando il mio fine”.
Purtroppo la fine venne invece per Federico Ubaldo. Dicono le cronache che “un mese prima della sua morte un nugolo di farfalle attraversò tutto il ducato dirette al mare e che in una grotta della Scheggia, all’interno della quale vi erano stalattiti a forma dell’armi del ducato, si trasformorono d’improvviso nell’armi del Papa”.
Questi fatti, interpretati come segnali di sventura, si avverarono, poiché il 28 giugno 1623 andò normalmente a dormire e la mattina il suo cameriere lo trovò morto “con copiosa schiuma che gli usciva dalla bocca, nel voltarlo per soccorrerlo, gettò per bocca molta materia puzzolente et il collo era in maniera che pareva come strangolato con la parte manca tutta nera. Di che cosa morì? Forse per lo sforzo di aver portato la sera prima in spalla sei giocolieri, forse di una pietanza col veleno destinata all’Argentina, forse per violentissimo catarro, oppure soffocato da sei uomini incogniti di toscana pronuncia che in quei giorni s’aggiravano per Urbino”. Il duca suo padre quando fu avvertito della morte del figlio, disse: “chi nasce di miracolo, muore di schianto. Dominus dedit, Domine abstulit, sit nomen Domini benedictum”.

Durante un sopralluogo della Soprintendenza ai Beni Culturali delle Marche, personale addetto alla catalogazione delle opere, ha attribuito il quadro della Madonna del Carmelo a Federico Zuccari, che lo avrebbe dipinto negli ultimi anni della sua vita. Un ulteriore studio condotto dalla dottoressa Bonita Cleri, insegnante di storia dell’arte all’università di Urbino, lo avrebbe invece attribuito a Giovangiacomo Pandolfi, pittore di Pesaro.

Ceramica policroma posta all’ingresso della pieve di Apecchio sulla quale esiste uno studio del signor Giuseppe Lumbrici.

Lo stemma centrale è il simbolo dell’arcipretura di Apecchio, ai lati sono rappresentate le effigi della famiglia Ubaldini nei loro stemmi particolari ecclesiastico e nobiliare.





Bibliografia
  
- Archivio Capitolare di Città di Castello, Vol. VB 28, Quadro Madonna del Carmelo di Apecchio.
- Archivio Ubaldini di Urbino.
- Berliocchi Camillo, Quando c’erano le torri, Apecchio tra conti, duchi e prelati.
- Bei Leonello, Le origini di Apecchio.
- Certini A., Memorie istoriche di XXX famiglie, 1716.
- Diario di Francesco Maria II della Rovere.
- Menichetti P.L., Storia di Gubbio.
- Pirenne Henry, Maometto e Carlo Magno.
- Solari G., Ventidue storie dei duchi di Urbino

 

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