Ripartizioni territoriali nella zona di Apecchio e Piobbico tra Antico Regime ed Età contemporanea.


di Stefano Lancioni



Piobbico (acquerello del Mingucci)


Nel Seicento e nel Settecento il territorio degli attuali comuni di Apecchio e Piobbico si presentava straordinariamente frammentato in una pluralità di piccoli feudi e  l’unica comunità direttamente dipendente dal Legato/Delegato di Urbino era quella di Carda, con Serravalle. Un primo tentativo di aggregazione delle varie comunità in un’articolazione amministrativa più ampia si ebbe intorno ad Apecchio, dato che gli Ubaldini, signori di questa terra, cominciarono, in questi due secoli, ad accrescere i loro domini inglobando ai loro territori originari (Apecchio e parte di Pietragialla) alcune piccole comunità contermini. E, nel 1752, quando i feudi Ubadini furono devoluti alla Santa Sede “per linea finita”, lo Stato di Apecchio, comprendente anche le piccole comunità soggette (Monte Vicino, Baciuccheto, Pietragialla, Montefiore-Somole), fu anch’esso governato da funzionari inviati dalla Legazione.
Rimasero invece completamente autonomi (solo vagamente sottoposti all’alta sovranità della Legazionie di Urbino) diverse giurisidizioni baronali (tutti con il titolo di “contea”), comprendenti poche decine (o al massimo centinaia) di anime, sottoposte a famiglie che abitavano a chilometri di distanza e che avevano avuto in eredità (o acquistato) il piccolo feudo:
- Montefiore-Fumo (Ubaldini di Jesi)
- Montefiore-Migliara (Cardelli di Roma)
- Montefiore-Carlano (Brozzi di Arezzo)
- Colle Rosso (Marsili di Urbania, poi Paci)
- Colle Lungo (Gaci di Castiglion Fiorentino)
- Colle degli Stregoni (Antonelli di Senigallia)
- Piobbico  (Brancaleoni-Martinozzi)
- Rocca Leonella e Monte Grino (famiglia Luzi, poi altri)
- Offredi (Brozzi di Arezzo)
- Monte Forno (Brozzi di Arezzo)
-  Pecorari (Ubaldini Catalani di Urbino)
- Castiglione (Boni di Urbino)


Questo fino all’invasione dei francesi nel 1797. Il periodo successivo, fino al 1816, stravolse questa organizazioni: le giurisdizioni baronali furono abolite e le varie comunità variamente accorpate per creare entità amministrative più ampie e meglio in grado di interagire con il complesso ed esigente sistema amministrativo prima cisalpino (1797-99), poi italico (1807-1815), quando il territorio della Legazione  confluì, in buona parte, nel Dipartimento del Metauro.
Nella Vaccareccia (attuali comuni di Apecchio e Piobbico, all’intersecarsi delle Diocesi di Città di Castello, Cagli, Urbania e Urbino), tutte le comunità in quest’ultimo periodo (1810-1816) erano state unite in soli  sei comuni (con, tra parentesi, gli “aggregati” che da loro dipendevano)[1]:
·          Cagli (Rocca Leonella) -7034 abitanti
·          Cantiano - 2314 abitanti
·          Carda (Serravalle) - 690 abitanti
·          Urbania (Offredi, Monte Forno, Pecorari, Castiglione, Monte Grino) - 3660 abitanti
·          Piobbico - 530 abitanti
·    Apecchio (Montevicino, Fagnille, Pietragialla ed annessi, Costrengone, Colle lungo, Carlano, Montefiore, Contea del Fumo, Migliara) - 1439 abitanti


 La Riforma del 1816
Una volta restaurato lo Stato della Chiesa (1815), si deciso però di non tornare alla confusa e poco funzionale situazione precedente il periodo napoleonico, ma di procedere ad una completa riorganizzazione dell’amministrazione locale, nella consapevolezza che non fosse più possibile ritornare al particolarismo dell’Ancien Regime (con tanto di giurisdizioni baronali che si incuneavano tra decine di piccole comunità che, per la scarsa estensione e il peso demografico trascurabile, non erano in grado di fornire un minimo di servizi alla popolazione). Il segretario di Stato, cardinal Consalvi, pertanto, fece approvare una delle leggi più significative del suo segretariato di Stato: il motu proprio 6 luglio 1816. 

Il cardinale Ercole Consalvi, segretario di stato, ispiratore del motu proprio del 6 luglio 1816 (Immagine di libero dominio tratta da Wikipedia)
Esso prevedeva la ristrutturazione territoriale di tutto lo Stato, che fu suddiviso in diciassette delegazioni, una delle quali era quella di Urbino e Pesaro, affidata al governo di un cardinale legato e suddivisa nei “governi distrettuali” di Urbino, Pesaro, Fano, Senigallia e Gubbio[2].
Vennero inoltre abolite le giurisdizioni baronali e feudali esistenti, prima dell’arrivo dei Francesi, nel territorio dello Stato della Chiesa e si cercò di rendere uniforme l’amministrazione comunale e di riorganizzarla completamente con l’istituto dell’appodiamento, in base al quale entità amministrative minori erano “appodiate” (unite, “appoggiate”) ad una comunità principale.
Le comunità appodiate perdevano “parte della loro autonomia economica e quasi completamente la loro autonomia amministrativa per dar vita ad aggregazioni più vaste ruotanti attorno alla comunità principale. Non si trattava tuttavia di federazione, né tanto meno di fusione, ma di una vera e propria diminuzione di personalità degli appodiati a favore dei capoluoghi”. Esse erano rette da un sindaco (scelto dal delegato di Pesaro e Urbino tra una terna proposta) che dipendeva dal gonfaloniere della comunità principale[3].
Nella comunità principale venne istituito un consiglio, nominato dal delegato, formato da un certo numero (da 18 a 48) di abitanti del luogo, al capo del quale era il podestà. La magistratura che amministrava la comunità era costituita da un gonfaloniere e dagli anziani (da due a sei a seconda del numero degli abitanti; anch’essi venivano scelti dal delegato su terne proposte dai consiglieri). Ai consigli del comune partecipavano anche i sindaci delle comunità appodiate[4]. Completava la riforma il riparto territoriale, cioè l’elenco delle nuove aggregazioni amministrative locali (comuni e appodiati), che solo in parte ricalcavano precedenti ripartizioni dell’Antico Regime. 
La situazione del 1816 ricalcava, almeno in parte, quella del periodo del Regno Italico (1810-1816), in cui i Francesi avevano riorganizzato completamente l’amministrazione locale e, nella nostra zona, era ancora più radicale, accorpando le comunità in solo tre comuni (tra parentesi gli abitanti)[5]:

COMUNI
APPODIATI
Apecchio (891)
Carda (638) - Carlano (74) - Colle Rosso (24) - Col stregone, Collelongo (30) - Migliara (59) - Montefiore (68) . Monte vicino e Fagnille (149) - Pietragialla ed annessi (99)
Cagli (7155)
Castiglione (49) - Fenigli (554) - Frontone (859) - Monte Grino (48) - Offredi (127) - Pecorari (149) - Piobbico (492) - Rocca Leonella (203)
Cantiano e Ville (2290)


Come si può notare, rispetto al napoleonico Regno d’Italia, avevano perso la loro autonomia i due comuni demograficamente più piccoli: Serravalle (appodiato di Apecchio, che mantiene tutto il nutrito gruppo di piccole comunità soggette del periodo precedente) e Piobbico (appodiato di Cagli). Inoltre un gruppo di piccoli centri, precedentemente aggregati ad Urbania (Offredi, Pecorari, Castiglione e Monte Grino), erano ora passati a Cagli. Monte Forno scompare dall’elenco: probabilmente è stato aggregato ad Offredi (ma non abbiamo specifica indicazioni in merito). 

Apecchio (acquerello del Mingucci)
Il riparto del 1817
Dato che tale riparto era provvisorio, nel periodo successivo all’uscita delle tabelle fu inoltrata a Roma una valanga di ricorsi da parte di comunità prima indipendenti ed ora appodiate, o di comunità che avevano perso una parte rilevante del proprio territorio, in previsione dell’uscita della tabella definitiva, che fu pubblicata con l’editto 26 novembre 1817. Esso prevedeva, per la nostra zona, il passaggio di alcuni appodiati da una comunità all’altra e l’aumento dei comuni in cui essi erano distribuiti (un blocco consistente era infatti assegnato ad Urbania). In particolare:
- Serravalle passava da Apecchio a Cantiano;
- Offredi, Pecorari, Castiglione e Monte Grino  passavano da Cagli (a cui restavano solo Castiglione e Rocca Leonella) ad Urbania (insieme a Monte Forno, qui ricomparso[6].

COMUNI
APPODIATI
Apecchio (891)
Carlano (74) - Colle Rosso (24) - Col Stregone (30) - Migliara (59) - Montefiore (68) - Monte Vicino (149) - Pietragialla (99)
Cagli (7155)
Castiglione (49) - Rocca Leonella (203)
Cantiano ed Annessi (2290)
Carda con Serravalle (638)
Urbania ed annessi (3301)
Pecorari (149) - Piobbico (492) - Montegrino (48) - Montiego (75) - Monteforno (68) - Offredi (127) - Orsajola (181)

La Riforma dell'amministrazione: il motu proprio 21 dicembre 1827.
Nel 1824 papa Leone XII intervenne di nuovo nel settore dell'amministrazione periferica, dando tra l’altro, nel motu proprio emanato nell'ottobre di quell'anno, poteri giurisdizionali ai gonfalonieri nelle cause minori[7]. Si prevedeva anche, nello stesso provvedimento, di effettuare una revisione delle circoscrizioni comunali, ma la tabella di riparto fu pubblicato solo tre anni dopo, nel 1827, annessa ad un nuovo motu proprio dello stesso papa, "sull'amministrazione pubblica"[8].
Il nuovo riparto territoriale, ispirandosi a criteri diversi da quelli utilizzati nel 1816 e 1817, tra cui quello di voler restituire figura di comunità alle entità amministrative soppresse che avessero mezzi e requisiti per sostenere la "rappresentanza comunitativa", provocò la nascita di nuovi comuni (spesso a scapito dei centri maggiori); viceversa scomparvero diversi appodiati, troppo deboli, che furono fusi con altri appodiati o con comunità principali[9]. Nella zona che ci interessa la situazione era la seguente[10]:

COMUNI
APPODIATI
Urbania (3570)
Orsajola e Montiego (204)
Piobbico Castiglione e Rocca Leonella (860)
Monte Grino (61)
Offredi e Monteforno (107)
Pecorari (146)
Apecchio (570)
Carda e Serravalle (725) - Carlano (49) - Colle Rosso (19) - Colle Stregone (31) - Migliara (43) - Montefiore (68) - Monte Vicino (213) - Pietragialla (421)
Cantiano (2717)

Cagli (8257)


Venne quindi, nel 1527, creato il comune di Piobbico (il cui nome era “Piobbico Castiglone e Rocca Leonella”), a cui vennero appodiati Monte Grino, Offredi e Monteforno (fuse insieme) e Pecorari, precedentemente appodiati a Urbania (Castiglione e Rocca Leonella erano invece in precedenza appodiati a Cagli).
Rilevante anche il ritorno di Carda/Serravalle ad Apecchio, dopo la breve parentesi in cui la prima comunità era stata appodiata di Cantiano.

Il territorio di cui si parla (Acquerello del Mingucci)
Il riparto del 1833
Nel Riparto territoriale dello Stato Pontificio a tutto l’anno 1833, l’ultimo presentato dallo Stato della Chiesa, venivano confermati gli appodiati del Motu Proprio del 1827 con un più razionale accorpamento. Apecchio, in particolare, vedeva ridotti gli appodiati solo a quattro, con accorpamenti interni[11]:

Appodiati
Abitanti
Apecchio

559

Carda e Serravalle
746

Carlano con Montefiore e Migliara
183

Montevicino
242

Pietragialla con Colle Rosso e Colle Stregone
500
TOTALE

2230

Rimase inalterata la situazione delle altre comunità. Il comune di Piobbico assunse la denominazione di “Piobbico con Castiglione e Roccaleonella” (925 abitanti ) e mantenne i tre appodiati di Monte Grino (62), Offredi e Monte Forno (114) e Pecorari (149)
Rimase senza appodiati, come in precedenza “Cantiano ed annesi” (2786)

Il commissario generale straordinario Valerio.
Sei giorni prima della battaglia di Castelfidardo, il 12 settembre 1860, era stato già nominato commissario generale nelle Marche Lorenzo Valerio, industriale piemontese appartenente alla sinistra liberale[12].
Dopo aver organizzato nelle province e nei comuni governi regolari[13], estese nei quattro mesi successivi alla regione le leggi piemontesi, emanando 840 decreti sui più diversi aspetti della vita civile, sociale ed economica, permisero l'integrazione della regione nel Regno d'Italia. Una di queste riguardava l'ordinamento elettivo di Comuni e delle province secondo la legge sarda (24 settembre 1860)[14], in base alla quale venne ro eliminati implicitamente tutti gli appodiati, da questo momento annoverati tra le frazioni del comune capoluogo.






[1]F. CORRIDORE, La popolazione dello Stato romano (1656-1901), Roma, 1906 , p. 252
[2]D. CECCHI, Dagli Stati signorili all'età postunitaria: le giurisdizioni amministrative in età moderna, in S. Anselmi (a cura di), "Economia e Società: le Marche tra XV e XX secolo", Bologna 1978, p. 82.  
[3]G. ALLEGRETTI, Mutazioni circoscrizionali nei comuni di Montefeltro e Massa (1814-1833), in "Studi Montefeltrani", 4, 1976, pp. 5-43, pp. 15-16: "Gli appodiati generalmente non avevano a che dolersi della nuova situazione. L'autonomia amministrativa di cui precedentemente avevano goduto era già di fatto vanificata dallo spopolamento di quei centri, dall'ignoranza e dalla povertà dei loro abitanti. Inoltre, mentre la figura del 'sindaco' serviva ad appagare gli orgogli paesani, la separazione patrimoniale e fiscale rassicurava sulla tutela economica delle comunità appodiate. Infine le riforme del periodo francese avevano reso familiare l'idea della necessità di aggregazioni e concentrazioni".
[4]CECCHI, Dagli Stati signorili (cit), p. 83.
[5]CORRIDORE, La popolazione (cit.), p. 253
[6]Riparto dei Governi e delle Comunità dello Stato Pontificio con i loro rispettivi appodiati, allegato all’editto di Pio VII del 26 novembre 1817, Roma MDCCCXVII, pp. 61-62. I dati sulla popolazione sono gli stessi di quelli riportati nell’editto del 1816, p. 62. Naturalmente Collelungo e Fagnille sono compresi rispettivamente in Col Stregone e Montevicino)
[7]ALLEGRETTI, Mutazioni (cit.), p. 23.
[8]Ibid., p. 23. Il motu proprio prevedeva: un amplimamento dei poteri dei sindaci; la creazione della figura di due consiglieri, che collaboravano con il sindaco nell'amministrazione dell'appodiato; il cambiamento del nome del gonfaloniere (chiamato "priore comunale) e degli anziani (chiamati "aggiunti"). Priore, aggiunti e sindaci erano confermati dal governo su terne proposte dalle comunità locali.
[9]ALLEGRETTI, Mutazioni (cit.), p. 24.
[10]Bullarium Romanum continuatio, tomus XVII, Romae, 1855, pp. 208-210.
[11]Riparto territoriale allegato all’editto 5 luglio 1831, pp. 264-265.
[12]A. DEL RIO GHIANDONI, La liberazione della Provincia di Pesaro-Urbino nel 1860, Pesaro 1960 (estratto da Studia Oliveriana, vol. II, 1954),, pp. 22 e 33 ss.
[13]Ibid., pp. 23-26. Fu commissario provinciale di Urbino e Pesaro il marchese Luigi Tanari; i vice-commissari furono istituiti a Senigallia e a Gubbio; a Urbino fu mandato un "pro-commissario"; Fano non fu scelta come sede di vice-commissario, malgrado le proteste dei fanesi.
[14]Ibid., p. 24. La legge sarda era quella del 23 ottobre 1859 ("legge Rattazzi"): i consigli comunali erano eletti a suffragio diretto da un elettorato discriminato per censo; il sindaco era di nomina regia. Fu tacitamente abolita l'istituzione dell'appodiato (ne esistevano 90 nella nostra provincia, 14 in quella di Ancona, 13 a Macerata, 8 ad Ascoli, 7 a Camerino, 5 a Fermo).

© by Stefano Lancioni 2019

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