Con la sconfitta
delle armate francesi (settembre 1799), nel
Lazio si insediò un’amministrazione provvisoria napoletana, mentre nelle
Marche e nell’Umbria venne creato un “Imperial-regio Commissariato”, dapprima affidato
a Giovanni Domenico De-Iacobi, poi, dall’ottobre 1799, al comandante Wanwick de
Cavallar; entrambi ebbero il compito di ordinare e organizzare politicamente e
amministrativamente le province occupate e prepararle ad una prolungata
occupazione austriaca[1]. Il 31 gennaio 1800 un
editto del De Cavallar istituì, in tutte le Marche e l’Umbria, con l’esclusione
di Perugia, dal 15 febbraio successivo, un “Governo generale” denominato
“Cesarea Regia Provvisoria Reggenza di Stato”, con sede ad Ancona e composto da
cinque reggenti. Erano ricostituite integralmente le magistrature comunali
prenapoleoniche[2].
Da sottolineare
che il vescovo di Urbania venne nominato, nel settembre 1799, “delegato
imperiale” e, in tale veste, intervenne più volte in Apecchio. Tra i primi
atti, il 14 settembre 1799 il Vescovo di Urbania ripristinava Girolamo
Martinelli nell’antica sua carica di ministro camerale, colla condizione che
questo Marsilio Vagni, esattore repubblicano per questa e per l’annesse
comunità dovesse continuare ad esigere i pesi camerali per tutto il suddetto
anno 1799[3]. Le maggiori preoccupazione vennero però non
dai Francesi ma dagli anacronistici tentativi del conte Luigi Ubaldini di Jesi
di impossessarsi di Apecchio.
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Apecchio - Francesco Mingucci (1626) |
Colpo di mano del
conte Luigi Ubaldini
Nel settembre
1799 ad Apecchio venne tentato un “colpo di mano” da parte del conte Luigi
Ubaldini di Jesi, già detentore di una rata di Monte Fiore (la “Contea del
Fumo”) e da tempo in contrasto con la Santa Sede sulla sovranità su Apecchio: il Conte pretendeva
che il feudo (devoluto alla Santa Sede per la morte del conte Federico II
Ubaldini nel 1752) non spettasse alla
Santa Sede, ma a lui in quanto ultimo discendente degli Ubaldini che avevano nel
Trecento governato quella Terra. Nel 1797, alla vigilia dell’occupazione
francese, il conte Luigi aveva affidato a tre avvocati l’incarico di
avviare una causa civile contro la Camera Apostolica per il possesso di Apecchio[4].
In quegli anni
tuttavia, a causa dell’invasione francese, il conte Luigi aveva
dovuto abbandonare ogni pretesa e anzi, negli stessi anni, era stato accorpato
a Città di Castello il suo feudo di Montefiore (Contea del Fumo). Tuttavia,
quando gli Austro-Russi cacciarono i francesi dall’Italia e gli Insorgenti
dilagarono nel territorio dell’ex Repubblica Romana, riprese possesso di
Montefiore e cercò anche di occupare Apecchio (9 settembre 1799) inviando a tal
scopo un tal Cassiano Rosini.
Il conte Luigi
aveva ottenuto un rescritto dall’imperial regio commissario De Iacobj
attestante i suoi diritti che, a detta di diversi personaggi (tra cui il
Vescovo e don Antonio Cancellieri) era stato illegalmente modificato[5]. Dopo
essersi presentato personalmente in Apecchio con il rescritto (ignoriamo
momento preciso e modo), ritornato a Jesi, da questa città inviò il notaio
Cassiano Rosini ad Apecchio con la precisa istruzione di prendere possesso di
quella Terra e dei luoghi annessi: costui avrebbe dovuto contattare don Antonio Cancellieri (ex viceconte della
Contea del Fumo), presentare le lettere al podestà del luogo e all’arciprete, quindi
avrebbe dovuto intimare ad autorità e popolo di prestare i prescritti
giuramenti di fedeltà stendendo immediatamente istrumento di possesso[6].
Le cose però andarono diversamente, come ci testimonia il
notaio Rosini in apposita relazione, conservata nella Biblioteca Planettiana di
Jesi: in data 9 settembre 1799, quando
fui colà (scil. in Apecchio) giunto,
e recapitate le lettere, di cui ero munito per quel signor ariciprete
Iacobelli, e signor don Antonio Cancelliere commissario de' feudi di detto
signor conte Ubaldini, nonché pel signor podestà, a cui scriveva il
signor Antonio Fracassi segretario di detto signor comandante De Iacobis,
confermando detto rescritto e pregando dell'esecuzione di esso, sentito il
motivo della mia venuta, mi consigliarono a tacerlo, poiché monsignor Vescovo
di Urbania prima delegato detto da detto signor De Iacobis, che fu colà a
prender possesso a nome di Sua Maestà Imperiale., aveva inibito quel podestà,
magistrato, ed altri, anche con minacce, di non dare il possesso di detti feudi
al predetto signor conte Ubaldini, e siccome il detto signor conte si portò
prima in Apecchio in persona, e vi fu da diversi acclamato per loro padrone e
signore con degli evviva, il detto monsignor Vescovo ne fece subito carcerar
più d'uno, ed ordinò che si facesse anche resistenza, se più azzardasse a voler
essere ammesso il signor conte Ubaldini al possesso pubblico, tanto che quel
popolo, così mi riferirono di detti due sacerdoti, per timore delle minacce del
vescovo ed insieme degli ordini dati, se avessi io resistito a volere in
qualsivoglia modo, forma, e maniera prendere detto possesso, avrebbero data
anche la campana all'armi, andando a pericolo d'esser io massacrato. Mi
aggiunsero ancora che il popolo d'Apecchio era contentissimo di ritornare sotto
il dominio feudale di detto signor Conte, purché si levasse loro l'ostacolo
d'inibizione postovi da detto Vescovo d'Urbania. Sentitosi da me tutto ciò,
stimai prudenza per non esser massacrato, sospendere e ritornarmene, tanto più
che v'erano aderenti di monsignor Vescovo che sindacavano tutti i miei passi...[7]
Altra lettera di
Cassiano Rosini, del 26 settembre 1799, ripercorre gli eventi dei giorni
passati: Non avrei mai creduto, colla
promessa, che antecedentemente io gli avevo fatto, mi mandasse in Apecchio per
farmi massacrare. Appena giunto, e non smontato da cavallo, sospettando fossi
io persona mandata a posta per prendere il noto possesso, e subito si videro
dei complotti. Smontato e discorso col signor don Antonio, a cui consegnai la
sua lettera, mi disse immediatamente che se mi premeva la vita, avvertissi di non
parlare. Portatovi da quel degnissimo signor arciprete, e letta la sua lettera, mi confermò lo stesso,
aggiungendo che non era mai possibile mi
potesse servire a prender il possesso suddetto né pubblico né privato
perché il signor Vescovo aveva inibito
il gonfaloniere, tutti li consiglieri, podestà, cancelliere e segretario che
avvertissero di non dare alcun possesso, e questa proibizione per due motivi,
primo perché quando ella presentò il rescritto del commissario De Iacobj rilevò
esser stato quello alterato (cosa che
quando la vidi, mi gelò) e che Monsignor subito ne fece estrarre copia
pubblica, che mandò a vista al commissario; secondariamente v’era una lettera
posteriore in data dei 14 del Jacobj che confermava le disposizioni prese dal
Vescovo. E questo rispetto al possesso in pubblica forma. Rispetto al prenderlo
privatamente nel centro del feudo, si rese impossibile perché fui guardato a
vista finché uscij dai confini; e se facevo resistenza, si minacciò darmi la
campana all’armi. Cosa ne dice ella signor conte padrone?
Il Rosini
propone quindi di intervenire presso il commissario Iacobi: non era possibile
altrimenti prendere possesso della terra (Gli
apecchiesi non credo già le siano contrarj; no,
non lo sono, anzi sono contenti. Ma vole che lei revochi gl’ordini del
vescovo organizzatore deputato dal commissario Iacobj ed allora sono
dispostissimi. Dunque il mio sentimento egli è di portarsi subito unitamente
col signor Da Rosa, che dal Commissario è veduto di buon occhio, ad ottenere in
virtù del primo rescritto una lettera per il vescovo di Urbania, acciò il
vescovo istesso scrivesse in Apecchio a quel magistrato e podestà che se le
permettesse il suddetto possesso)[8]
Ma il De Iacobi,
imperial-regio commissario austriaco, aveva perso chiaramente la pazienza ed un
suo impiegato, tale Antonio Fracassi, il 2 ottobre 1799 così
scriveva: Son debitore di risposta due
sue lettere, una delle quali era diretta al signor de Iacobi. Io non voglio
decidere sui motivi che ella suppone di avere per lamentarsi del mio signore de
Iacobi, né le farò parola sulla disposizione che mostra Vostra Signoria
Illustrissima di voler ricorrere al trono dell’augusto nostro Sovrano qualora
non se le dia il possesso de Feudi toltigli e dalla Repubblica, e dalla Camera
Apostolica. In quanto ai feudi usurpatigli dal Governo della Repubblica Ella
sia pur certa che non le si fa alcun ostacolo, ma in rapporto a quelli devoluti
alla Camera Pontificia non se la permetterà mai dal signor de Iacobi,
di
far alcun atto possessorio. Questo è quello che io posso e debbo dirle per
parte anche del sig. Comandante, il quale ora trovasi incamminato alla volta di
Venezia. Ella faccia pur ciò che crede, ma non azzardi mai più di dire che io
ho alterato a suo modo il rescritto come ha avuto la bontà di dirlo in
Apecchio…[9]
Il successore del De Iacobj, Antonio di
Cavallar, imperial regio commissario cesareo, si espresse con più diplomazia
sui diritti del conte Luigi (che, ad onor del vero, erano legittimi per
Montefiore, del tutto discutibili per Apecchio) ma comunque rimanda la
questione ad un’analisi successiva (mai effettuata, perché di lì a poco sarebbe
stato ricostituito lo Stato della Chiesa): Illustrissimo signore. Mi sono
estremamente a cuore gl’interessi non solo del mio adorato sovrano, ma ancora i
doveri della più scrupolosa giustizia. Per dar pronto sfogo alla di lei
rappresentanza, ordinai subito al De Iacobi che cessasse da qualunque atto
arbitrario contro i diritti de suoi feudi; ella sia sicura che appena il cielo
farà che siamo in Ancona, mi darò carico di maturamente esaminare e decidere
sopra questo affare, il che ora non posso eseguire in vista delle tante brighe,
che mi tengono occupato. Una sospensione di pochi giorni non può recare la
minima alterazione[10]
La prima restaurazione in Apecchio: il podestà Orazio
Ioni
Il Regio-Cesareo
Governo ebbe vita breve: Il 25 giugno 1800 il card. Consalvi, prosegretario di
Stato, pubblicava a Loreto l’editto per la sistemazione dei territori dello
Stato della Chiesa: veniva naturalmente ricostituito lo Stato di Urbino e
Pesaro nei confini precedenti, con il
titolo di “Delegazione”[11].
Marche ed Umbria furono riconsegnate al papa il 27 giugno 1800 (quando già i
Francesi, con la battaglia di Marengo, avevano riconquistato il predominio in
Italia e si preparavano a formare la seconda Cisalpina)[12]. Pio
VII riprese possesso dello Stato il 1 luglio; il 7 venne inviato come
governatore della provincia di Urbino il delegato apostolico mons. Giovanni
Cacciapiatti di Novara[13].
Subito venne
inviato ad Apecchio un nuovo podestà, il dottor Alessandro Ioni, con il compito
di ripristinare la situazione economica ed amministrativa della comunità prima
del periodo “giacobino”, la cui prima attestazione in Apecchio è del 30 agosto
1800, quando informa Sua Eminenza della situazione economica della comunità: il
Martinelli manteneva la sua carica di ministro camerale (nominato dal vescovo
di Urbania, delegato imperiale, nel settembre 1799 e rimasto in tale carica
dopo la restaurazione dello Stato della Chiesa, come precisa il podestà
Alessandro Ioni nell'agosto 1800 (... il Martinelli ha agito, ed agisce
colle stesse facoltà che aveva in addietro, e le rendite camerali colano in di
lui mani. Esse ascendono a poco più di scudi 150 annui, non comprese diverse
ragaglie di paglia, legna e castrati, il cui ritratto spetta a chi presiede a
questa provincia d’Urbino. I detti scudi 150 rimangono quasi intieramente
impiegati nella scarsissima provvisione del giudice, cancelliere, ministro
camerale, bargello, che tolto dalla cessata Repubblica, non è stato peranche
rimpiazzato, ed in altre spese solite occorrere per il mantenimento di questo
Palazzo Camerale, affatto inabitabile, perché di nuovo minacciante rovina)[14]
Il 22 ottobre
1800 si riunì quindi di nuovo il vecchio consiglio comunitativo. Il podestà
Ioni propose la surroga di Biagio Brardi, Francesco Martinelli e Domenico Landi
(i primi due morti negli anni precedenti, il terzo di decrepita età) con i rispettivi figli Bartolomeo Brardi, Agostino
Martinelli e Ubaldantonio Landi[15].
Venne quindi, alla fine di dicembre, con entrata in vigore dal 1 gennaio,
ripristinata l’amministrazione economica della comunità sul piede in cui era nell’anno 1796, estraendo dai bossoli
gonfalonieri e priori[16].
Nel frattempo Girolamo Martinelli aveva fatto affiggere
nell’ottobre l’editto delle regaglie
(cioè delle “regalìe”, che consistevano in legna, paglia, capretti, castrati,
agnelli) secondo i termini utilizzati prima del periodo giacobino; tuttavia
nessuno aveva pagato ed il Martinelli chiedeva delucidazioni a Sua Eminenza[17].
Il principale problema del dottor Ioni fu quello
dell’annona, dato che, per la stravaganza
della stagione, il grano era stato raccolto in ritardo, era scarso ed i
benestanti (soprattutto gli ecclesiastici, a detta del podestà) ritardavano la
consegna della loro quota[18].
La difficile situazione economica della
comunità
Il 25 ottobre
1800 il podestà Alessandro Ioni faceva il punto della situazione inviando una
precisa risposta a Sua Eminenza sui debiti fruttiferi ed infruttiferi che
gravavano sulla cassa comunitativa apecchiese[19]. Si
precisava che nessun debito gravava sulle due comunità di Pietragialla e
Baciuccheto; a Montevicino un debito di 25 scudi, utilizzato per supplire alle spese straordinarie,
era stato concesso alla comunità dall’arciprete, tale Ulivieri.
Era invece
catastrofica la situazione della cassa comunitativa di Apecchio, che aveva
oltre 2600 scudi in debiti, fruttiferi o infruttiferi, nei confronti di alcuni
cittadini e del monte frumentario. I debiti fruttiferi ammontavano a 950 scudi
ed erano censi da pagare ad Angelo Polidori (200 scudi), Ubaldantonio Masini
(200 scudi), Marcantonio Collesi (100 scudi), fratelli Tamagnini (250 scudi),
Giovanni Andrea Cesari (100 scudi), Giovanni Battista Ghigi (100 scudi). Quelli
infruttiferi erano i seguenti:
·
scudi 667:24:½ in riduzione di moneta accaduta li 20 febbraio 1800;
·
scudi 530 in
rimessa nello spiano de grani panizzati dall’anno 1799 dal mese di agosto sino
al 1800 di detto mese;
·
scudi 410 debito
col Monte Pio Frumentario per stara 164 grano panizzato dal 1798 al 1799 e non
pagato alla ragione di scudi 2.50 lo staro.
Il podestà
Ottavio Gasparini (1801)
Nel gennaio 1801
venne nominato il nuovo podestà, Ottavio Gasparini, che rimase in carica per
tutto quell'anno: il 3 gennaio 1801
confermava a Sua Eminenza il suo arrivo in Apecchio e lo informava della
mancanza del cancelliere: unico soggetto in grado di sostenere tale carica,
almeno provvisoriamente, era Serafino Ercolani; ma alcuni motivi ne
sconsigliavano la nomina[20].
Un importante
documento del podestà Ottavio Gasparini, inviato a Sua Eminenza il 14 luglio
1801, fu la revisione contabile della comunità di Apecchio, dal quale emergeva
il disavanzo di circa 36 scudi (per l’esattezza 35,90)[21].
Esso riguarda solo l’amministrazione camerale (cioè quella governativa), non
quella comunitativa, che, come visto, presentava un disavanzo di gran lunga
superiore.
Le entrate
infatti assommavano a scudi 172.60 e di fatto, a parte un avanzo di passata
revisione, erano coperte esclusivamente
dalle collette pagate dai proprietari di terreni e fabbricati:
scudi
|
|
Colletta di
Baciuccheto
|
9,65
|
Colletta di
Pietragialla
|
67,45
|
Colletta di
Monte Vicino
|
36,30
|
Colletta di
Apecchio
|
37,35
|
Avanzo di
passata revisione
|
21,85
|
Le uscite
raggiungevano la somma di 208,50 scudi.
scudi
|
|
Sbilancio della revisione del 1797
|
44,55
|
Al padre predicatore
|
1,05
|
Al podestà suo onorario
|
72,00
|
Al cancelliere come sopra
|
28,20
|
Al bargello e balio
|
10,80
|
Al ministro camerale sua provisione
|
18,00
|
Al postiglione
|
1,00
|
Al muratore per visitar le fabbriche
|
1,20
|
Per la presente revisione
|
1,50
|
Per feste all’innalzamento dell’armi
imperiali e governative
|
11,90
|
Al fabbro per diversi ferrami, serrature e
fatture
|
6,25
|
Al falegname e muratore
|
2,30
|
Pagati a Pasquale Amadei barigello dopo
fatta la revisione del 1797 prima che incominciasse la Repubblica
|
9,75
|
Le riforme di Pio VII (1801)
La situazione
era comunque fluida. In Romagna si era ricostituita la Repubblica Cisalpina
(Napoleone era disceso una seconda volta in Italia e aveva vinto gli Austriaci,
il 14 giugno 1800, a Marengo; Austriaci e Francesi il 9 febbraio 1801 firmavano
il trattato di Luneville che poneva fine alla guerra), che controllava la Romagna e pretendeva di
estendere la sua giurisdizione su Pesaro e sul Montefeltro. “Solo il concordato stipulato tra la
Santa Sede e la Francia nel luglio del 1801 segnerà l’inizio per
la Legazione di un periodo di relativa tranquillità e consentirà a Pio VII di
riprendere l’opera riformatrice iniziata dal suo predecessore”[22].
La situazione
dello Stato ecclesiastico era desolante: le comunità versavano in una grave
crisi amministrativa ed economica a causa delle spese elevate sostenute nel
periodo precedente; a ciò si aggiungeva una certa insofferenza per l’inetto
governo ecclesiastico, non più al passo con i tempi. Si cercò pertanto in
qualche modo di porre rimedio ai principali problemi dello Stato con una
stagione di riforme.
Deve essere
ricordato in primo luogo il motu proprio dell’11 marzo 1801 che
sopprimeva le corporazioni, istituiva il libero
commercio delle grascie (cereali) e introduceva un’unica gabella di
consumo”. Veniva in questo modo abbandonato definitivamente il sistema vincolista
ed accettato il liberismo[23]. A
completare tale riforma, il 4 novembre 1801 venivano inoltre abolite le tratte.
“Al loro posto, per far godere i vantaggi del commercio internazionale anche ai
piccoli proprietari, era istituito un regolamento che prevedeva per i cereali
un dazio di esportazione, che si faceva più gravoso via via che aumentavano i
prezzi sul mercato interno”[24]. E,
nello stesso anno, venivano anche liquidate le annone[25] e
ritirata la moneta erosa[26].
Contemporaneamente
si provvide a riformare i sistema tributario: furono revocate tutte le tasse
preesistenti, che vennero sostituite da due sole imposte:
o la dativa reale, che colpiva sia le
proprietà rurali (in ragione di sei paoli ogni cento scudi di estimo), sia le
abitazioni (due paoli ogni cento scudi di valore): le somme ricavate dovevano
essere pagate esclusivamente nel luogo
in cui i beni si trovavano situati, non in altri luoghi (ad esempio quelli in
cui abitavano i proprietari);
o la
dativa personale, articolata
nell’acquisto obbligatorio a prezzo fisso di dieci libbre di sale a persona e
in una tassa sul macinato di baiocchi 51 per ogni rubbio di grano”[27].
La riforma fu
applicata anche ad Apecchio, anche se inizialmente in maniera alquanto confusa,
come testimonia il podestà Ubaldo Coldagelli all’inizio del 1802: Non posso
trattenermi dall’incomodare l’Eminenza Vostra Reverendissima col ragguaglio di
un rilevante disordine che regna nella pubblica amministrazione tanto di questa
comunità che dell’altre annesse a questa giurisdizione. In esse il nuovo
sistema daziale è ancora quasi affatto sconosciuto per non essere stato posto
in pratica secondo le regole prescritte. Vengo
primieramente assicurato, quantunque non abbia ancora potuto pienamente
verificarlo, che sieno stati trascesi i limiti nell’esigenza della Dativa Reale
e che a titolo di questa siansi esatti baiocchi 75 per 100. La tabella poi
delle strade corriere e provinciali non è stata posta in attività né punto né
poco e l’esigenza della tassa imposta per le medesime non si è fatta in nessun
modo. Confondendo bensì una cosa coll’altra si è supplito al corrispondente
pagamento massime coll’introito comunitativo. Ciò si è potuto fare comodamente
giacché in specie la comunità di Apecchio introita molto di più di quello che
porta il bisogno. Bilanciate da me le spese annue, certe di queste, ho rilevato
che non oltrepassano li scudi 94.43.3. L’introito poi della medesima ricavato
dalli due dazi, sul rifletto che questi sono stati già affittati per un anno
incominciando fino dal passato ottobre, ed i rispettivi conduttori hanno
improntate anticipatamente delle somme in conto di corrisposta[28].
In connessione
con la riorganizzazione del commercio e del carico fiscale, abbiamo una lettera
dell’anno successivo (3 aprile 1802), in cui il podestà Ubaldo Coldagelli fa
presente che le comunità soggette (ed i viceconti di Fumo e Colle degli
Stregoni) non vogliono pagare i prescritti trenta baiocchi per il bollo
necessario per la libera circolazione delle mercature[29]. Da
Pesaro si ingiunse di minacciare i rimedi legali, mentre ravvisiamo che ciò
non può reggere, non dandosi paese che non possa avere famiglie da lavorare
tele mezzolane od altro che meritano il bollo per la circolazione[30].
Le
argomentazioni furono convincenti e nel successivo aprile veniva inviata la
somma raccolta per i sette bolli delle comunità soggette ad Apecchio ed i due
luoghi feudali[31].
Il riordinamento delle finanze locali
Il 19 marzo 1801
fu varata un’importante riforma delle finanze locali, in base alla quale si
addossò alle casse statali i debiti delle comunità, delle quali si incameravano
però i beni.
Tutti i beni
“comunitativi” divennero quindi “camerali”, e ciò avvenne in tutti i comuni
dello Stato Pontificio. Anche ad Apecchio pertanto i beni della comunità
vennero ceduti alla Reverenda Camera Apostolica ed il debito della Comunità
venne cancellato.
Tali beni sono
elencati in una Nota de beni che possiede la comunità d'Apecchio, e le altre
annesse in un elenco del 1801[32],
· Un
stradone, a guisa di prato, soggetto alla servitù di un pubblico passaggio,
l’erba del quale si dà ogni anno in affitto, ed al presente è affittato per un
triennio, colla triennale corrisposta di scudi 7:50, essendo scorso un anno di
tale affitto correndo il secondo
· Item
un andito dirimpetto al fiume a piedi il paese di piccola estensione con alcuni
arbori, non esigendosi alcun fruttato se non se dalla vendita di qualche arbore
che si richiede in vendita da particolari
· Item
una casa quale serviva per uso de magazeni dell’annona frumentaria tuttora
dismessa atteso il libero commercio, e libera panizzazione, la quale tuttora
rimane inaffittata
· Item
altra casa che serve per abitazione del pubblico balivo, e soggetta alla
servitù di passo per il moderatore del pubblico orologio
· Item
altra casa che serve per comodo della pubblica scola, e per farsi i consigli,
con un fondo per comodo del pubblico macello.
La comunità di
Pietragialla inoltre possedeva vari tenimenti di terra di qualità arativi ed
altre del valore catastale di scudi 93:73 e che tuttora si tiene in enfiteusi
dai fratelli Tamagnini coll’annuo canone di scudi 5, coi quali da essi
Tamagnini si passava mensilmente la paga al pubblico balivo, seppure più volte
interpellati detti Tamagnini a mostrare o sia a giusticare il titolo di tale
enfiteusi dai comunisti di Pietragialla, non hanno ciò accudito, mostrandosi
sempre morosi come tuttora lo sono. Item la predetta comunità possiede un censo
di scudi 40 che passivamente tiene Giovani Battista Selvi al 4 per 100 ad anno
essendo esso addietro de frutti di molt’anni a questa parte.
Il
corpo di milizia provvisoria
Il 15 aprile 1802 monsignor Cacciapiatti,
Delegato Apostolico, in una sua circolare inviata a tutti i funzionari della
Delegazione, precisava, dopo aver ricordato che si consideravano disciolti ed
aboliti tutti i corpi di Guardie Urbane o di Miliziotti (e chiedendo di
informare di ciò gli antichi ufficiali comandanti affinché informassero i loro
uomini), prevedeva la formazione di un corpo di milizia provvisoria da
attivarsi al bisogno per mantenere l’ordine pubblico: … siccome potrebbe
occorrere il bisogno o per qualche solennità, o per altra urgenza di porre
improvvisamente in attività qualche numero di persone armate, così potrete
unitamente al magistrato combinare la nomina di tre soggetti idonei da
presentarsi a Noi, onde eleggerne uno di essi, e quello poi colla vostra
intelligenza scelga dieci o dodici soggetti oltre un altro come in figura di
sargente, che non siano stati, o attualmente non siano inquisiti o querelati,
ma probi, ed onesti per essere a lui subordinati. Di questi soggetti se ne
dovrà a noi trasmettere la nota, ed i
Pubblici Rappresentanti premettendo a Noi la richiesta per mezzo vostro ogni
volta che ne occorra il bisogno a meno d’un istantaneità, potranno ottenere di
servirsene alle occasioni, fintanto che la Congregazione Militare
abbia ultimato un Piano di Milizie, che sta ora formando[33].
Ad Apecchio in un primo momento i pubblici
rappresentanti non stimarono di dover formare tale milizia, dato che in quella
Terra non occorrerebbe di porla in
attività per la mancanza di feste, spettacoli, ed altro[34]. Successivamente
(15 maggio 1802), evidentemente dietro precisa nuova richiesta da Pesaro, il
podestà Ubaldo Coldagelli inviò i tre nominativi richiesti, tra i quali Sua
Eminenza doveva scegliere il capo della milizia: Marsilio Vagni[35],
Marco Collesi e Francesco Tamagnini.
Il primo fu
scelto da Sua Eminenza come capo della milizia e, il 5 giugno 1802, il podestà
Coldagelli poteva inviare l’elenco dei
soggetti componenti il corpo di Milizia[36]:
¨
Capo di
Milizia: Marsilio Vagni
¨
Sargente.
Giovanni Palleri
¨
Comuni:
Giuseppe Tamagnini, Gaspare Nicolucci, Luca Tamagnini, Luigi Pattiochi,
Giovanni Domenico Ghigi, Marco Tocci, Giovanni Tiligalli, Francesco Vandini,
Pietro Cancellieri, Giuseppe Matteucci, Paolo Cancellieri, Mattia Marini.
Oziosi
e vagabondi
Nel giugno 1804 il podestà Ubaldo
Coldagelli, in risposta ad una circolare del 30 maggio precedente di Sua
Eminenza, precisava che non esistevano nella Terra di Apecchio oziosi e
vagabondi (… ho l’onore di riferire, che né in questa Terra né in tutto il
rimanente della Giurisdizione evvi domiciliato alcun estero, onde mi trovo
esentato dal trasmettere di questi la nota prescritta. Inoltre, per le indagini
praticate anche in altre occasioni posso con sicurezza asserire che fra
gl’individui che compongono questa ristretta popolazione non ve ne è neppure
uno che possa dirsi veramente ozioso, ma in ordine a questi, e alle persone dei
vagabondi non ometterò di usare tutta la vigilanza, acciò gli ordini sovrani
vengano esattamente adempiti). Non c’erano cioè problemi di ordine pubblico
a causa della presenza di forestieri[37]
[1]G. GARAVANI, Urbino
e il suo territorio nel periodo francese (1797-1814), Urbino 1906, parte II
, pp. 121-139.
[2]D. CECCHI, Dagli
Stati signorili all'età postunitaria: le giurisdizioni amministrative in età
moderna, in S. Anselmi (a cura di), "Economia e Società: le Marche tra
XV e XX secolo", Bologna 1978, p. 76.
[3]Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in poi ASP), Legazione di Urbino e Pesaro (d’ora in
poi Leg.), Risposte a circolari, b
11, n. 46 (risposte alla circolare
relativa alle rendite camerali), lettera di Alessandro Ionj podestà - S.
Angelo in Vado per Apecchio, 30 agosto 1800.
[4]C.
BERLIOCCHI, Apecchio tra conti, duchi e
prelati, s.l. (Città di Castello), 1992, p. 204.
[5]Il vescovo aveva visionato già il rescritto, l’aveva
giudicato alterato, ne aveva fatto fare copia da un notaio ed inviato al De
Iacobj; contemporaneamente aveva informato le autorità apecchiesi
dell’illegalità dell’atto. Il De Iacobj aveva confermato alle autorità
apecchiesi le informazioni del Vescovo. L’alterazione del carattere del
rescritto viene sostenuto anche in una lettera di don Antonio Cancellieri del 6
novembre 1799 conservata nell’Archivo Ubaldini di Jesi, b. 17, 20.
[6]Biblioteca Planettiana di Jesi (d’ora in poi BPJ), Archivio Ubaldini, b. 17, 20, Istruzioni
pel signor Rosini, non datato né sottoscritto.
[7]BPJ, Archivio Ubaldini, b. 23, 90, 91, relazione del
notaio Cassiano Rosini del 10 novembre 1799 (giorno successivo all’andata in
Apecchio).
[8]BPJ, Archivio
Ubaldini, b. 17, 20, Urbino, 26 settembre 1799, relazione di Cassiano
Rosini.
[9]BPJ, Archivio
Ubaldini, b. 17, 20, non numerata. Così si esprimeva don Antonio
Consiglieri in una missiva datata Apecchio, 24 settembre 1799, indirizzata al
conte Luigi Ubaldini (conservata nella stessa busta): Non si è potuto
effettuare quanto brama Vostra Signoria Illustrissima attese l’inibizioni date
da monsignor Agostini a tutti li oficiali di questa comunità che badino bene di
non rimuovere cosa alcuna senza ordine del Dejacobi, però né il signor
Arciprete né io abbiamo stimato prudenza fare alcun atto anche per non correre
pericolo di mettere a masagro il signor
dottore Rosini come rileverà dalla lettera del prelodato signor arciprete…
[10]BPJ, Archivio
Ubaldini, b. 41, 42, 89, lettera di Antonio di Cavallar, imperial
regio commissario cesareo al conte Luigi Ubaldini, dal quartier generale di Varano, 2 novembre 1799.
[11]Cecchi, Dagli
Stati signorili (cit.), pp. 76-77. Il 16 agosto di quell’anno, nell’ambito
di una risistemazione complessiva del territorio delle delegazioni marchigiane,
anche Fano veniva posta nella Delegazione di Urbino.
[12]G. ALLEGRETTI, Note
sulle mutazioni nei comuni di Montefeltro e Massa (1790-1814), in
"Studi Montefeltrani", 6/7 (1978/79), pp. 69-110, alle pagg. 87-88.
[13]Garavani, Urbino
(cit.), II, p. 143.
[14]ASP, Leg.,
Risposte a circolari, b 11, n. 46
(risposte alla circolare relativa alle rendite camerali), lettera di
Alessandro Ionj podestà - S. Angelo in Vado per Apecchio, 30 agosto 1800.
[15]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio,
b. 8 (1800-1804), copia del consiglio comunitativo, 22 ottobre 1800.
L’approvazione di Sua Eminenza alla richiesta è del 5 novembre 1800.
[16]ASP, Leg.,
Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà
Alessandro Ioni, Apecchio, 31 dicembre 1800: Eccellenza reverendissima. In coerenza di quanto l’Eccellenza Vostra
Reverendissima si è degnata ingiungermi colla rispettabilissima circolare dei 6
spirante, nel consiglio dei 20 detto seguì la ripristinazione
dell’amministrazione economica di questa comunità sul piede, in cui era
nell’anno 1796, avendo in simile occasione formato li bussoli della nuova
magistratura, e quindi da essi estratti tre soggetti, che la devono comporre
giusta lo stile di questa Terra. Domani farò che cassino dalle carichegli
esercenti, col dare il formale possesso ai nuovi. Tanto m’accade riferire
all’Eccellenza Vostra Reverendissima nell’atto chele fu un profondissimo
inchino.
[17]ASP, Leg.,
Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera di Girolamo
Martinelli, 4 ottobre 1800 (Sì come prima
riscotevo delle legne, e paglia capretti e li castrati, onde io ho fatto
affiger lo editto come prima ma nesuno ha pagato e nemmeno ho fatto li agnelli
per li castrati per questo altero anno onde ricorro a Vostra Signoria come mi
devo contenere tanto bramo dalla di lei persona…)
[18]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio,
b. 8 (1800-1804), passim.
[19]ASP, Leg.,
Risposte a circolari, b. 11, n. 47 (Risposta alle istruzioni richieste dal
tesoriere generale con circolare del 16 ottobre 1800 relativa ai debiti
fruttiferi ed infruttiferi che gravano sulle comunità), lettera del podestà
Alessandro Ioni, 25 ottobre 1800.
[20]ASP, Leg.,
Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ottavio
Gasparini, Apecchio, 3 gennaio 1801 (Serafino Ercolani è molto cognito in
codesta suppressa udienza… ma la sua maniera di operare lo caratterizza
per un uomo da non potersi ripromettere, e così andarne di mezzo il giudice, e
farci cattiva figura)
[21]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio,
b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ottavio Gasparini,, Apecchio, 14 luglio
1801.
[22]R.
PACI, L’ascesa della borghesia nella
Legazione di Urbino dalle riforme alla Restaurazione, Milano 1966, p. 93.
[23]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p.
100.
[24]Paci,
L’ascesa della borghesia (cit.), p.
102.
[25]Paci,
L’ascesa della borghesia (cit.), p.
103.
[26]Paci,
L’ascesa della borghesia (cit.), p.
104.
[27]Paci,
L’ascesa della borghesia (cit.), p.
100. Vds anche nota 11 pp. 100-101: “Nella Legazione di Urbino prima
dell’occupazione francese il macinato camerale era di 18 bajocchi al rubbio…,
mentre il sale si pagava 4 quattrini
alla libbra anziché 12 come veniva disposto nel 1805” e pag. 106: “questa tassa
(la tassa dei sei paoli) nelle generali condizioni di depauperamento, parve
qualcuno insostenibile e suscitò sorde resistenze e diffusi malcontenti”.
Quest’ultima tassa colpiva in modo particolare le comunità dell’Appennino, il
valore dei cui terreni era stato erroneamente sovrastimato nella precedente
catastazione.
[28]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio,
b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 27 gennaio
1802
[29]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio,
b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 3 aprile
1802: In esecuzione degl’ordini veneratissimi dell’Eminenza Vostra
Reverendissima emanati con circolare delli 22 scaduto marzo ho presentati a
Serafino Ercolani segretario dei tutte le comunità soggette a questa
giurisdizione i bolli inviatimi. Egli però ha ricusato riceverli colla legge
dello sborso di bajocchi trenta fini per cadauno, asserendo che per non esservi
nelle comunità suddette veruna sorte di manifatture, non giungerebbe giammai a
rivalersi dell’improntato. La stessa renitenza ho sperimentato tanto dal
sacerdote Antonio Cancellieri vice-conte del Fumo, quanto nell’altro sacerdote
Giovanni Battista Ghigi vice conte di Colle Stregone, e Colle Lungo, ai quali
li ho esibiti in mancanza de pubblici segretarj, di cui sono privi li
menzionati luoghi baronali. Li bolli dunque permangono tuttora in mie mani,
onde supplico l’Eccellenza Vostra Reverendissima a volersi degnare di avanzarmi
ordini più precisi…
[30]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio,
b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 3 aprile 1802
(minuta di risposta ivi presente).
[31]ASP, Leg.,
Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo
Coldagelli, Apecchio, 24 aprile 1802: In gruppo separato ho l’onore
d’inviare all’Eccellenza Vostra Reverendissima la somma di scudi due e baiocchi
dieci fini, valuta dei sette bolli destinati a contrassegnare le manifatture
nostrali, che ripartitamente ho esatta
da questo pubblico segretario, e dalli vice-conti del Fumo, Colle Stregone e Colle
Lungo, in conformità degl’ordini veneratissimi dell’Eminenza Vostra
Reverendissima.
[32]ASP, Leg.,
Risposte a circolari, b. 12 (1801-1802), n. 53 (Risposte a lettera
delegatizia del novembre 1801 relativa a fondi, beni stbili rustici ed urbani
appartenenti alla Camera Aposotlica, alle Comunità, Luoghi Pii e così detti
“Nazionali” e alienati sotto il governo Repubblicano), lettera del podestà
Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 11 novembre 1801.
[33]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 13
(1802-1806), n. 55 (Risposte alla circolare del 15 aprile 1802 circa la scelta
degli individui per sovrintendere al buon ordine), circolare di monsignor
Giovanni Cacciapiatti Delegato Apostolico, Pesaro, 15 aprile 1802.
[34]ASP, Leg.,
Risposte a circolari, b. 13 (1802-1806), n. 55, lettera del podestà Ublado
Coldagelli, 15 maggio 1802: Eccellenza
Reverendissima. Riguardando come puramente permissiva la formazione del Corpo
di milizia provvisoria, in conformità della veneratissima circolare
dell’Eccellenza Vostra Reverendissima delli 15 scorso aprile, ed avendo questi
Pubblici Rappresentanti stimato superfluo, come ebbi l’onore di significarle
con altra mia rispettosissima delli 10 corrente, lo stabilirla in questo Luogo,
ove giammai non occorrerebbe di porla in attività per la mancanza di feste,
spettacoli, ed altro, omisi di trasmettere l’elenco degl’individui per
l’elezione di un capo. Siccome però mi viene ora supposto che l’Eccellenza
Vostra Reverendissima esiga da per tutto lo stabilimento della detta milizia,
così mi faccio un dovere di umiliarle qui inserto l’elenco suddivisato nel
mentre che col più profondo ed umile ossequio ho l’onore di rassegnarmi.
Apecchio, 15 maggio 1802. Dell’Eccellenza Vostra Reverendissima umilissimo,
devotissimo ed obbligatissimo servitore Ubaldo Coldagelli podestà.
[35]Era
l’esattore repubblicano per la comunità di Apecchio e le annesse (1799).
[36]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 13
(1802-1806), n. 55, lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 5 giugno
1802.
[37]ASP, Leg.,
Risposte a circolari, b. 13 (1802-1806), n. 58 (risposte delle comunità alle
circolari del 20 marzo 1804 e 30 maggio 1804 circa gli oziosi e vagabondi),
lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 16 giugno 1804.
(*) "Ponte apecchio" di Wolfra - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ponte_apecchio.jpg#/media/File:Ponte_apecchio.jpg
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