Antichi culti a Fondarca

di G. Presciutti, M. Presciutti e G. Dromedari 




Vista da Pieia del complesso naturale di Fondarca con, al centro, l'arco di roccia
Il complesso naturale di Fondarca a Pieia (Pu) è molto conosciuto ed è meta continua di escursioni di appassionati di trekking, speleologi, naturalisti e amanti della natura in generale. Chiunque abbia avuto la fortuna di recarvisi, ha inevitabilmente subito l'atmosfera particolare del luogo, dominato da un imponente arco di roccia, che segna l'accesso a un anfiteatro naturale modellato in milioni di anni da fenomeni carsici ancora attivi.
Quello che si respira, arrivando a Fondarca dal sentiero che parte dall'abitato di Pieia, è il senso di maestosità della natura, della sua forza che sovrasta senza fatica i nostri orizzonti temporali, segnando un tempo dilatato che si contrappone al nostro tempo finito. Se queste suggestioni siamo in grado di percepirle ancora oggi, in un'epoca nella quale la razionalità e la conoscenza hanno intorpidito i nostri sensi più istintivi, significa che il luogo è veramente particolare.
L'arco visto dall'interno dell'anfiteatro naturale
Non è un caso, quindi, che le tracce più antiche di frequentazione delle vallate interne dell'appennino pesarese, siano emerse proprio nel complesso naturale di Fondarca, grazie agli scavi archeologici condotti dall'Università della Tuscia in diverse campagne, le prime dirette dalla professoressa Mirella Cipolloni e l'ultima, nel 2013, sotto la direzione scientifica del prof. Gian Maria di Nocera.
L'indagine stratigrafica effettuata all'interno della “Grotta delle Nottole”, situata ai piedi del masso calcareo di Fondarca, ha rivelato frequentazioni che, allo stato degli scavi, iniziano quantomeno  nell'età del Bronzo Medio e Recente, ossia un periodo compreso tra il 1700 e il 1200 a.C., per protrarsi, con fasi di abbandono, fino al III secolo d.C.. 


La Grotta delle Nottole
La “Grotta delle Nottole” si inserisce quindi in un’area di particolare interesse archeologico, oltre che paesaggistico, e si colloca in posizione centrale rispetto ad altri due “gruppi” di grotte cultuali già esplorati e cioè quello emiliano-romagnolo e quello marchigiano della gola del Sentino.

L'entrata della Grotta delle Nottole
Gli archeologi, viste anche le condizioni microclimatiche interne (temperatura costante interna di circa 14°C e tasso di umidità dell' 82%), ipotizzano un utilizzo della caverna a scopo cultuale e non abitativo, svolgendo questa un ruolo importante, sociale e politico, come luogo periodico d’incontro fra le comunità, ruolo analogo a quello più tardi rivestito dai santuari di frontiera. 
Il geotritone (Speleomantes) che sin dalla preistoria custodisce i segreti della Grotta delle Nottole

Durante l’età del Bronzo ebbero grande importanza i culti legati alle alture, alle sorgenti, alle acque, allo stillicidio ed alle grotte e il complesso di Fondarca è situato in posizione centrale in un paesaggio di spettacolare grandiosità nel quale l’arco naturale dà il nome ai luoghi, la dolina che la sovrasta e le risorgive del Giordano, poco al di sotto, costituiscono punti focali, emergenti nel territorio e dislocati lungo un percorso che attraversa i due versanti della montagna e pone in collegamento vaste aree di pianura, caratteristiche tutte che richiamano quelle ricorrenti in molti luoghi di culto antichi, fortemente legati alla suggestione dei “paesaggi rituali”.
Gli scavi finora effettuati hanno portato alla luce numerosi reperti, attualmente conservati nel Museo archeologico di Cagli, che comprendono, oltre a pochi elementi ceramici di età romana provenienti dai livelli superficiali, una notevole quantità di frammenti, che gli archeologi hanno identificato come risalenti alle prime fasi della media età del Bronzo. 

Alcuni dei reperti provenienti da Fondarca (Fonte M.L. Cipolloni)
Sono state ritrovate parti di grandi olle, di fogge varie e diversamente decorate, tazze carenate e ciotole. Il fatto che molti dei tipi di ceramica rinvenuti a Fondarca abbiano la caratteristica di essere presenti solo in grotta, rafforza l'ipotesi degli archeologi che si tratti di un luogo di culto piuttosto che un sito abitato.
I materiali finora recuperati presentano molte affinità con quelli rinvenuti nelle grotte della gola del Sentino, con le quali il complesso di Fondarca ha molte analogie, dove si rintracciano le stesse tipologie costruttive e gli stessi motivi decorativi. 
Nei livelli scavati nelle prime due campagne, di cui si dà conto nella relazione della prof.ssa Cipolloni, quelli più superficiali, l’industria litica è ancora assente, mentre l’industria ossea è ben rappresentata da alcuni frammenti di piccole spatole, punteruoli, punte e una doppia punta in corno di cervo lunga ben 22 centimetri. Fra i resti di animali ritrovati negli strati scavati prevalgono, fra le specie domestiche, caprovini e suini, mentre fra le specie selvatiche è nettamente maggioritario il cervo. I risultati dell'ultima campagna di scavo diretta dal prof. Di Nocera non sono ancora stati pubblicati, ma si preannunciano molto interessanti. 

Scena di vita preistorica ambientata a Fondarca tratta dal libro "Pianello di Cagli - Viaggio nella storia di una vallata" pubblicato dagli autori dell'articolo (Disegno realizzato da Maurizio Romagnoli) 

Fondarca e il culto di Cerere e Ercole
Abbiamo visto come gli archeologi dell’Università della Tuscia propendano ad individuare il complesso di Fondarca come “paesaggio sacro”, punto focale di antichi culti con un ruolo importante svolto in tale contesto dalla risorgiva del torrente Giordano che, ancora oggi, nei mesi più piovosi dell’anno, è un fenomeno che affascina. Un documento del 1243[1]  ci conferma che anticamente il torrente si chiamava Certanum, ovvero Certano o Ceretano, che potremmo anche parafrasare come “fiume di Ceres” se pensiamo al latino, oppure “fiume di Kerres” se pensiamo alla denominazione umbra della dea Cerere. Il Certano era il fiume di Cerere, la risorgiva era il punto nel quale Cerere nasceva, si manifestava, e quindi era il luogo nel quale il culto della dea era praticato, era il centro del paesaggio sacro, il punto nel quale la dea si manifestava con tutta la sua potenza creatrice, l’acqua che scaturisce dalla pietra e che dà la vita.
La risorgiva del "Certanum"
La dea Cerere, chiamata Ceres in lingua latina e Kerres o Kerri o Kerria in osco umbro, era la divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti e dea della nascita, poiché tutti i frutti, i fiori e le cose viventi erano ritenuti suoi doni nella convinzione che fosse stata lei ad insegnare agli uomini la coltivazione dei campi.
Il nome Ceres o Kerres, deriva dalla stessa radice di cresco e creare, verbo originato dalla radice indoeuropea *ker (crescere, nutrire), indicativo dell’origine italica del culto e del suo carattere agrario e cerealicolo. 
Le "acqua di Cerere" abbandonano la risorgiva e si lanciano verso valle
Cerere era però intimamente connessa anche al mondo dei morti, attraverso il Caereris mundus, una fossa che veniva aperta soltanto tre giorni all’anno, durante i quali tutte le attività venivano sospese, perché l’apertura della fossa metteva idealmente in comunicazione il mondo dei vivi con quello sotterraneo dei morti. A tale proposito dobbiamo segnalare un termine derivato da tali culti, “cerritus”, che significa “invaso dallo spirito di Cerere”. Forse il nome Cerreto non ha nulla a che vedere con i cerri, piuttosto le sue radici vanno cercate nel culto di Cerere? Noi pensiamo sia proprio così.
Statua di Cerere (*)
Cerere aveva uno stretto rapporto cultuale e funzionale con Tellus, la terra: l’una (Ceres) dà origine alle colture, l’altra (Tellus) ne costituisce il luogo, una restituisce e trasforma ciò che l’altra ha nascosto. Le due dee erano considerate le madri delle messi (frugum matres).
Sempre nell’atto del 1243 sopra citato si fa riferimento ad una parrocchia di “Sancti Arcolani de Frandarcoli”. Si tratta dell’unico documento a noi noto nel quale si parla di questa parrocchia di Sant’Ercolano di Fondarca e non se ne trova traccia neanche nei registri delle decime pagate dalle singole parrocchie nel XIII secolo, mentre per tutte le altre chiese sparse nella vallata la documentazione storica è abbastanza precisa e affidabile.
Resti di antichi paramenti murari forse riconducibili all'eremo di Sancti Arcolani de Frandarcoli
È noto che il cristianesimo, anche dopo la fine delle persecuzioni, faticò non poco ad imporsi sui culti pagani che, in alcuni casi, erano radicati da secoli nelle varie popolazioni della penisola. Nelle città la diffusione della nuova religione fu più veloce, mentre nelle campagne i culti preesistenti continuarono ancora a lungo, fino a che, in molti casi, al culto pagano venne sovrapposta la devozione ad un santo cristiano che, in alcuni casi, veniva costruito ad hoc per assumere caratteristiche simili, nel nome e/o negli attributi, al dio pagano venerato in precedenza, rendendo così meno traumatico l’abbandono del paganesimo.
Ebbene noi riteniamo che nel caso di Fondarca possa essere avvenuto qualcosa di simile e quindi il “Sancti Arcolani” cristiano altri non sarebbe che “Ercole”, una potente divinità italica dell’Italia centrale, che proteggeva ogni onesta attività umana e ogni genere di persone, il dio di una comunità dove vivevano pastori e mercanti, il grande dio vicino agli uomini nelle vicende quotidiane. Sulle origini di tale culto gli storici non sono concordi a causa dell’assimilazione che avvenne poi con l’Eracle greco, dal quale, in realtà, la divinità italica differiva molto, in ogni caso però le attestazioni del culto nelle campagne dell’Italia centrale, sia in ambito etrusco che osco-umbro sono molto numerose.
Statua di Ercole (**)
I luoghi di culto erano quasi sempre abbinati alla presenza di fonti, sorgenti e acque termali, ritenute in qualche modo miracolose grazie all’azione del dio taumaturgo e, molto spesso, il culto di Ercole lo troviamo associato a quello di Cerere ed ecco che il nostro quadro indiziario si completa. A supporto di quanto affermato vogliamo portare un solo esempio, ma significativo, che è quello del complesso termale delle “Aquae Caeretane”, scoperto nel 1988 in Toscana, e del quale già parlava Livio riferendo di una “fons Herculis” presso le “Aquae Caerites”, dove troviamo associati il culto di Ercole, Cerere e, in questo caso, anche di Giove. Altre località nelle quali è attestato il culto delle acque associato ad Ercole sono, in Abruzzo, il Santuario di Ercole Curino a Sulmona e l’area archeologica di S. Ippolito presso Corfinio (Corfinium) in provincia de L’Aquila, nella quale la sacralità del luogo si è perpetuata fino ai nostri giorni passando dal culto pagano di Ercole a quello cristiano di S. Ippolito.
In sintesi gli “indizi” dei quali abbiamo cercato di dare conto ci portano ad ipotizzare che il complesso di Fondarca e la risorgiva del Giordano fossero dedicati al culto di Ercole, Cerere e Tellus, volendo così indicare una direzione verso la quale orientare analisi più qualificate delle nostre che, ci auguriamo, verranno in futuro.

Nota degli autori: Molti dei contenuti del presente articolo sono stati tratti dal libro "Pianello di Cagli - Viaggio nella storia di una vallata" al quale rinviamo coloro che fossero interessati ad approfondire il contesto storico della vallata di Pianello di Cagli.
http://versacrumricerche.blogspot.it/p/pianello-di-cagli-viaggio-nella-storia.html

© 2015 by Gabriele Presciutti, Maurizio Presciutti, Giuseppe Dromedari - Tutti i diritti riservati
    



[1] E. Baldetti – Documenti del Comune di Cagli (1115-1287) –atto n.155 – Urbania 2006
(*) "GiorcesBardo7" di Giorces - Opera propria. Con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:GiorcesBardo7.jpg#/media/File:GiorcesBardo7.jpg
(**) "Arte romana con restauri moderni, ercole con la clava" di Sailko - Opera propria. Con licenza CC BY 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Arte_romana_con_restauri_moderni,_ercole_con_la_clava.JPG#/media/File:Arte_romana_con_restauri_moderni,_ercole_con_la_clava.JPG

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