di Massimo Mattiacci
IL
CONVENTO
2.1
Edificazione del convento
L’Urbanelli,
che scrisse la storia dei cappuccini nelle Marche, riferisce che furono proprio
i cittadini a volere un convento nel territorio, per motivi prettamente
spirituali12. Proprio per questo nel 1565 il comune di Cagli, con l’appoggio
del vescovo Battista Torleoni (1565-1567), si rivolse al capitolo provinciale
dei cappuccini, celebrato a Fossombrone per realizzare il desiderio dei
cittadini.
Per
una storia sul convento dei cappuccini G. Santarelli, I cappuccini a Cagli,
Ancona, 1996.
I
cappuccini, ordine fondato nel 1520 da Matteo da Bascio, accettarono la
proposta a patto di una prestazione d’opera e del trasporto gratuito del
materiale.
Il
tutto era combinato, mancava solo il luogo dove poggiare la prima pietra. I
cappuccini in genere si insediavano circa ad un km e mezzo dalla città per
trovare un equilibrio tra la vita contemplativa e quella apostolica.
Prediligevano poi, se il territorio lo permetteva siti sopraelevati. Proprio
per questo la scelta cadde sul colle di San Geronzio, dove era ancora presente
la rocca martiniana decurtata delle parti principali.
La
rocca era in parte posseduta dal duca d’Urbino Guidubaldo II e in parte dalle
suore di San Nicolò di Cagli.
Il
comune acquistò la proprietà delle suore mentre al duca venne chiesto di donare
la sua parte. La concessione avvenne immediatamente, permettendo inoltre di
usufruire delle pietre della decaduta rocca. Non essendo poi sufficiente il
terreno venne deciso di chiedere altro spazio al capitano Berardino Benedetti,
proprietario di alcune terre circostanti la rocca. Il Benedetti accettò la
proposta; in cambio gli venne dato un altro appezzamento di terreno.
I
cappuccini domandarono al consiglio di eleggere due uomini che si prendessero
carico della fondazione del loro convento. Vennero nominati nella seduta del
consiglio del dicembre 1565 Brancuto Brancuti e Felice Castellucci, personaggi
autorevoli del luogo in campo militare.
Nel luglio del 1567 simbolicamente
venne eretta la croce come presa di possesso del luogo e per dare il via ai
lavori venne posta la prima pietra dal nuovo Vescovo Paolo Mario Della Rovere.
I lavori iniziarono però solo nel 1568 secondo l’Urbanelli, dato che i
cappuccini vollero prima trovare persone adatte per dare loro un aiuto[1].
Infatti non gradivano che a questa opera contribuissero i più poveri, i quali
lavoravano tutto il giorno per vivere. Il consiglio comunale risolse il
problema chiedendo ai religiosi di redigere una lista indicando le persone più
abbienti, che possedevano bestie e che dunque li potessero aiutare nei lavori.
Prima dell’inizio dell’opera anche le confraternite, i luoghi pii, i castelli e
le ville del contado di Cagli prestarono aiuti con operai. P. Bernardino da
Forlì, direttore dei lavori, si trovò a dover coordinare più persone, venuti a
testimonianza del desiderio dei cagliesi di avere i frati cappuccini.
Il 30 agosto del 1568 il vescovo di Cagli pose di nuovo la
prima pietra, questa volta per la chiesa del convento, che venne dedicata a S.
Geronzio, in onore del precedente monastero benedettino.
Secondo il Gucci il primo guardiano del convento fu p. Ubaldo
da Cagli, colui che in precedenza decise l’ubicazione del convento[2].
2.2 Fatti inerenti il convento
Alcuni decenni dopo la costruzione, per l’esattezza nel 1605,
il convento mostrava segni di cedimento e fu necessario ristrutturarlo.
Benefattore del dispendioso lavoro di ristrutturazione fu il
benestante cagliese Ettore Berardi, ricordato per aver partecipato, insieme ad
altri concittadini, alla battaglia di Lepanto. La donazione fu fatta perchè il
Berardi promise mille scudi ai cappuccini se Dio avesse concesso un figlio a
Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino. Nel 1605 nacque Federico
Ubaldo, l’erede del duca. Il Berardi rispettò la promessa fatta; in seguito,
data la dispendiosità dei lavori, aggiunse altri mille scudi. Da segnalare è il
fatto che lo stesso benefattore decise, in accordo
con il comune, per la ristrutturazione del vecchio convento opponendosi alla
ricostruzione di questo in un altro luogo.
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Fig. 1 - F. Mingucci, veduta della città di Cagli, eseguita nel 1626 (Codice Vaticano Barberini). A destra è visibile il convento dei cappuccini circondato dalle mura dell’antica rocca.
Oltre Berardi, anche altri cagliesi contribuirono alla
ristrutturazione, come lo stesso municipio che donò il legname per la
costruzione del coro. L’intervento terminò nel 1610. Oltre al rinnovamento del
convento, venne esteso il muro della clausura e venne sistemata la strada che
dalla città portava al colle. La chiesa invece, come ricorda una lapide posta
al suo interno, venne consacrata solo nel 1706 dal vescovo di Cagli Benedetto
Luperti e fu dedicata ai Ss. Michele Arcangelo, Geronzio e Filippo Neri.Un intervento più recente invece è quello che risale al 1781
anno in cui Cagli fu colpita da un violento terremoto. A causa di questa
calamità, chiesa e convento subirono gravi danni. Il comune intervenne subito
per dare ai cappuccini il sussidio richiesto per riparare il danno. I frati per
un breve periodo si spostarono a Cagli in un’abitazione di emergenza per il
periodo che venne impiegato per i lavori. Nel 1789 i frati rientrarono nel
convento, dato che in quell’anno venne costruito un pozzo nel giardino in cui è
incisa la data di realizzazione[3].
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Fig. 2 - Leandro Picchi, ricostruzione grafica del convento dei cappuccini di Cagli. |
Nel 1810, con la “soppressione napoleonica”, il convento
venne chiuso. I libri della biblioteca finirono in parte ad Urbino, mentre i
più pregevoli andarono smarriti. Le opere d’arte non vennero prese, poiché
ritenute di scarso valore; infatti la chiesa non venne nemmeno visitata.
Nel 1815, con la fine del dominio napoleonico, i frati
tornarono nel convento. Vennero poi riportati anche i libri, ad eccezione di
alcuni rari.
Con la “soppressione piemontese” del 1866, voluta dal nuovo
Regno d’Italia, venne di nuovo chiuso il convento, ma la chiesa rimase aperta
sotto il controllo del custode p. Giuseppe da Scapezzano, autore di un
inventario molto importante sulla collocazione delle varie opere nel XIX
secolo.
Nel 1881 venne riscattato il convento per 5.800 lire ed i
frati ne ritornarono in possesso.
Nel 1884 venne edificato sull’orto dei frati un
“professorio”, abitazione a due piani in cui risiedevano i giovani cappuccini
che dovevano ancora avere una formazione. Questo rimase in vita solamente fino
al 1892.
Nel 1950-1955 il convento fu sottoposto ad interventi
strutturali, che ne hanno rispettato lo stile umile dell’edificio[4]. I
restauri invece del 1975-1977 hanno portato a delle scoperte, come l’uscita del
“soccorso coverto”, ma soprattutto venne scoperto l’affresco della
lavanda dei piedi nel refettorio, trattato in seguito.
2.3 Fine di una storia.
Nel Settembre del 2010 il convento è stato chiuso per ordine
dei Cappuccini di Fossombrone, gli stessi che in origine diedero il consenso
per la sua edificazione.
I motivi sono da ricercare nella crisi di vocazioni che si
assiste da diversi anni e nelle spese di mantenimento dei conventi, poiché è
meno dispendioso riunire i frati nel minor numero di sedi.
A Cagli sono state realizzate diverse fiaccolate da parte dei
cittadini per mantenere in vita questo luogo di culto, che è stato rifugio,
storia e simbolo della città.
2.4 Descrizione strutturale del convento
2.4.1 Ambienti conventuali
Santarelli considera il convento di Cagli come il più insigne
fra tutti i conventi delle Marche, dopo quello di Camerino, per antichità e
stile a suo dire “genuinamente cappuccino che si nota nella spiccata povertà
e nell’ elegante semplicità delle forme”[5].
Il convento è composto da una struttura quadrangolare con al
centro un cortile, dove è collocato un pozzo che corrisponde, come detto in
precedenza, al primo referto della rocca, situato sotto il mastio, occupato ora
dalla chiesa.
L’ala est del convento, rivolta verso la città, è in parte un
riuso della vecchia rocca. Infatti, nelle cantine che i frati chiamano “Grotte”
sono ancora visibili rimanenze della vecchia costruzione martiniana, come il
forno utilizzato per scaldare acqua ed olio da gettare contro i nemici,
modificato poi nel tempo dai frati per i propri usi.
Anche il refettorio si pensa che fosse parte della vecchia
rocca. Esso è situato nell’ala sud, al primo piano del convento, piano adibito
alle attività giornaliere.
Nel secondo piano sono situate le piccole celle per i frati.
Sono ambienti molto umili, arredati solamente da un letto, una scrivania e un
lavabo. In questa zona è collocata anche la biblioteca, comprendente diversi
libri stampati, anche antichi.
2.4.2 La chiesa
La chiesa del convento mostra tutta la sobrietà di forme e
materiali ricercati dai cappuccini, i quali fondano la loro devozione sugli
esempi di povertà dati da San Francesco d’Assisi.
Molto simile ad altre chiese cappuccine, è composta da una
copertura a capanna, con un campanile a vela nella parte posteriore, con un
unico fornice. L’entrata è protetta da un basso portico a tre archi poggianti
su pilastri quadrangolari in muratura con volta a crociera, che terminano a
destra in un piccolo ambiente adibito a foresteria[6].
L’interno è ad una sola navata, con la zona dell’ altare maggiore che si
differenzia dal resto per la volta sovrastante, terminante nel coro retrostante
l‘altare, separato dallo stesso altare ligneo seicentesco. A destra della
navata sono collocate tre cappelle intercomunicanti con volte a botte. Sopra
ciascuna delle tre cappelle è collocata una finestra da cui entra luce, così
come dalle tre finestre situate nella facciata d’ingresso della chiesa. Proprio
in questa parete, a sinistra di chi entra, è presente la lapide commemorativa
che ricorda l’anno di consacrazione della chiesa.
2.4.3 L’area esterna
Il lato nord del convento è la parte d’ingresso
dell’edificio. La strada che porta a quest’ala un tempo era molto più stretta:
essa era solamente un sentiero che permetteva di raggiungere il convento. Nel
piazzale è stata posizionata una statua di San Pio da Pietralcina ed una croce
che è posta sopra un antica macina da guado.
Dietro il convento è situato il giardino dei frati. In questo
luogo è presente anche il pozzo realizzato nel 1789 e il “professorio” del
1884, descritto in precedenza.
Da qui si accede alla collinetta posizionata sul fianco
ovest. Questa oggi è ricoperta da una folta vegetazione, ma rimane comunque
percorribile attraverso un breve sentiero che gira attorno ad essa. Fino alla
seconda metà del XVI secolo, sulla collinetta esisteva una piccola cappella
chiamata “cappella di S. Domenico”, facente parte dell’antico monastero
benedettino. Su questo colle erano soliti recarsi i cagliesi nelle domeniche di
ottobre, per chiedere indulgenze. I frati, infastiditi da ciò, chiesero al
vescovo di Cagli Paolo Mario della Rovere di abbattere la cappella.
Quest’ultima probabilmente conteneva le spoglie di San Geronzio che, a causa
della distruzione della cappella, andarono perdute. Inoltre, nel 1600, i frati
cappuccini chiusero con un muro la collinetta, dando fine alle processioni. Nel
1883 il sacerdote Raffele Celli tentò di riportare alla luce la cappella nella
sommità del colle. Qui trovò i resti di un pavimento e di una piccola finestra,
ma purtroppo qualche frate adoperò le pietre per costruire un pollaio[7].
In ultimo, nel lato est che corrisponde all’antica piazza
d’armi (secondo referto), sono ancora presenti le mura della rocca martiniana e
l’ingresso per il “soccorso coverto”. Da qui si può notare un bellissimo
panorama della città di Cagli e la gola del Furlo in lontananza.
Passeggiando
su questo colle si intuiscono i motivi che portarono alla realizzazione del
convento, che sono da ricercare nella pace e nella bellezza del paesaggio
circostante, immerso nel verde del monte Petrano.
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[1] C. Urbanelli, op.cit., pp. 119-138.
[2] C. Urbanelli, Storia dei cappuccini nelle marche, parte I, vol.
II, Roma 1978,pp. 119-138. Cfr. Carlo Arseni, storia raccontata della città
dalle origini all’avvento della repubblica, Cortona, 1989. Qui il frate
viene chiamato Baldantonio da Cagli.
[3] G. Santarelli, I cappuccini a Cagli,Ancona, 1996, p. 25.
[4] G. Santarelli, op. cit., p. 27
[5] G. Santarelli, op. cit., p.5
[6] A. Mazzacchera, op .cit., p. 167.
[7] G. Santarelli, op. cit., pp. 20-23
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