di Paolo Faraoni e Fiorenzo Bei
La
cittadina di Cantiano è situata ai piedi del Monte Catria, a
cavallo tra le Marche e l' Umbria ed
è attraversata dalla Via Flaminia, importante arteria che
collega Roma alla costa
adriatica.
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Immagine di Cantiano con i campi lavorati. |
Come tutte le cittadine
dell’entroterra marchigiano, soffre da anni per il continuo spopolamento
passando dai 5000 abitanti degli anni venti del novecento, ai pochi più dei
duemila di oggi.
Nell’800, la popolazione
oscillava tra i 3000 e i 4000 abitanti, e
grazie alle ricerche dell’appassionato storico locale Bei Fiorenzo, sappiamo
che gli abitanti si occupavano
prevalentemente di agricoltura e delle attività legate ai boschi del Catria, quali
legname e produzione del carbone.
Riguardo l’agricoltura, erano
presenti tutte le colture, dal grano al granoturco, dal farro al riso che veniva coltivato nella pianura
alluvionale di Pontedazzo. Dalla metà dell’800 era fiorente anche la lavorazione
delle macine di pietra e dei molini, con la ditta Baldeschi e Sandreani che
occupava più di cento persone, senza considerare l’indotto dei cavatori che
operavano nelle vicine cave situate nelle vallate dei fiumi Bosso e Burano.
Nel
territorio è ancora possibile rinvenire
gli attrezzi che ricordano il duro
lavoro degli abitanti del luogo. Asce, bilance, e altri vecchi strumenti arruginiti che vengono
ripuliti e conservati da Fiorenzo come fossero delle preziose reliquie. Ogni
pezzo ha visto le fatiche di tante gente e ha una storia da raccontare e
quindi merita il necessario rispetto.
Oggigiorno
si tende a eliminare tutto quello che è vecchio, come mobili, utensili e
tradizioni, mentre questi oggetti ci
ricordano tempi certamente più difficili ma sicuramente molto più solidali e
romantici di oggi.
Oltre agli strumenti da lavoro della storia contadina, Fiorenzo ha una ricca collezione di medagliette votive.
Tutte
queste medagliette sono state trovate nei campi intorno a Cantiano, quando ogni
pezzetto di terra veniva amorevolmente coltivato.
Fin
dal seicento era usuale fare pellegrinaggi
ai santuari più importanti, tra cui quello di Loreto e riportare a casa
le medagliette votive locali, che in parte venivano cucite alla biancheria
intima, quali magliette di lana fatte ai
ferri dalle nonne, e altre appese nelle croci di canne che ogni anno e
precisamente il 3 di
maggio “ Festa della Santa Croce” venivano posizionate a protezione delle
coltivazioni.
Il 3 maggio “Giorno della Santa Croce”, la tradizione perpetuata in tutta Italia,
prevedeva di mettere nei campi coltivati, una croce (sulla quale vengono
posti dei ramoscelli di ulivo, benedetti la Domenica delle Palme). Secondo
l’antica usanza, il contadino la mattina del 3 maggio, a digiuno, portava la
croce con il rametto d’ulivo benedetto nell’orto o nel campo e dopo averla
collocata si faceva il segno della croce. Al rametto di ulivo benedetto si
potevano anche aggiungere o un santino o una medaglietta votiva, proveniente da
qualche santuario o da un altro importante luogo di culto. La croce “benedetta”
con rametto di ulivo e fiocchetto rosso,
secondo una tradizione toscana,
poteva anche essere usata per
impedire che un fulmine cadesse su di un
pagliaio. In Umbria si proteggevano i campi con le piccole croci da mettere nei campi fatte di
canne, adorne delle candeline benedette il giorno della Candelora e dei
ramoscelli d’ulivo della Domenica delle Palme. Questa antica tradizione con
diverse e locali procedure spazia fino al Molise, Puglia e Calabria dove al termine della mietitura la croce veniva
portata sull’aia e inalberata sulla sommità delle “barche” di covi di grano e
infine posta sulla sommità dei pagliai.
La tradizione di porre le croci nei campi di grano, ci può apparire una forma
di superstizione, però per il contadino di allora, che poteva perdere in poco
tempo, mesi e mesi di lavoro anche solo per una grandinata improvvisa o un
temporale particolarmente violento, non era così scontato, come extrema ratio,
affidarsi a Dio.
Maggio infatti è il periodo dell’anno più
“pericoloso” per le colture, perché il seme non è più al sicuro sotto terra, le
piantine sono germogliate e verdi svettano nei campi. Si sono già formate le
spighe ma non sono ancora mature e pronte per il raccolto, sono sufficienti
quindi condizioni atmosferiche avverse di qualsiasi tipo, per danneggiarle
irrimediabilmente. In questo periodo, nemmeno il più esperto dei contadini può
fare più niente, se non invocare la protezione divina, affinché tutto vada come
deve andare.
Poter beneficiare del raccolto in tutte le sue
parti, dal frumento alla paglia, era garanzia di sopravvivenza per intere famiglie,
e non era cosa da poco, considerando che la dura vita contadina, assicurava il
minimo indispensabile, a volte, giusto per non morire di fame.
Questo antico rito propiziatorio prende origine dagli “Ambarvali” che erano una serie di riti, che si tenevano nell'antica Roma alla fine di maggio per propiziare la fertilità dei campi, celebrati in onore di Cerere. Durante queste celebrazioni, si sacrificavano un toro, una scrofa ed una pecora che, prima del sacrificio, erano condotti in processione tre volte attorno ai campi; i rituali prendono il loro nome da questo momento, derivando appunto da ambio (vado in giro) ed arvum (campo). Questo tipo di sacrificio in latino era chiamato suovetaurilia. Esistevano due tipi di queste feste, quelle pubbliche e quelle private. Quelle private, nei villaggi e nelle fattorie fuori Roma, venivano celebrate solennemente dai capifamiglia, accompagnati dai figli e dai servi. Quelle pubbliche, si celebravano invece appena fuori città e vi partecipavano i dodici fratres arvales che procedevano alla testa della processione composta dai cittadini di Roma, che possedevano terreni e vigneti. Nel corso della processione, si elevavano preghiere alla dea Cerere. Le sistematiche ricerche condotte nel territorio di Cantiano da Fiorenzo Bei negli ultimi decenni, hanno permesso di raccogliere numerose medagliette e crocifissi devozionali che ci consentono ora di presentare in anteprima un inedito capitolo di un ramo minore, ma altamente significativo, dell'archeologia popolare devozionale a partire dal 500 fino alla meta del 900.
Una serie di crocifissi rinvenuti nel territorio di Cantiano. La precarietà degli oggetti e il tempo, rendono molto difficile la loro conservazione. |
Questo recupero è particolarmente interessante poichè si tratta di reperti non facilmente rinvenibili data le loro ridotte dimensioni. Va precisato innanzitutto, che questi reperti venivano posizionati nelle croci votive, oppure gettate nei campi per ingraziarsi i raccolti o anche smarriti dai contadini durante i vari lavori. Lo smarrimento di questi rari reperti, derivava principalmente dalla precaria resistenza del supporto che li sosteneva, che consisteva in un semplice filo di lana o di cotone o di una spilletta.
Da un primo esame preliminare, su circa il 30% del materiale meglio conservato, si nota una abbondante diffusione del culto alla Madonna di Loreto, alla Madonna dei sette dolori e a S. Antonio da Padova, che prevalentemente è associato alle due Madonne precedentemente citate.
A causa della cattiva conservazione
non è facile identificare tutti i soggetti rappresentati, anche per il fatto che
molte di esse sono anepigrafi, oppure hanno soltanto alcune lettere o le sole
iniziali del santo; ad esempio S.A.D.P. (San Antonio da Padova), che peraltro è
facilmente identificabile anche senza lettere perchè è sempre raffigurato con
Gesù bambino e con il giglio. Le dimensioni medie di questi reperti si aggirano
sui due centimetri, con variazioni da un minimo di un centimetro, ad una
massimo di quattro, misura questa molto rara. Per quanto riguarda la forma,
questa varia probabilmente a seconda dell'evoluzione attraverso i secoli, forse
per questioni di moda locale. Le medagliette più antiche, hanno una forma
prevalentemente ovoidale o quadrata con un appicagnolo trasversale. Nelle forme
più recenti l’appicagnolo è frontale. Sono presenti medagliette cuoriformi. Le
raffigurazioni sono prevalentemente a figura intera, in misura leggermente
inferiore a mezzo busto; molto più raramente sono raffigurate solo le teste o
si hanno composizioni multiple.
Concludendo, la raccolta di medagliette devozionali di Fiorenzo Bei, alcune delle quali risalgono al seicento, ci trasportano in tempi remoti, mostrandoci come era difficile e spesso aleatoria la vita dei nostri avi, che nella speranza di trovare qualche sicurezza in più, si affidavano alla benevolenza delle entità superiori. La speranza di avere il necessario per vivere, era tutta riposta nell’esito di un buon raccolto, e contro le quotidiane avversità c’ era sempre un Santo da invocare e pregare.
Tutte tradizioni millenarie perpetuate da
generazione in generazione in una ritualità che ha visto nel tempo mutare i
nomi e l’aspetto dei numi tutelari o dei Santi protettori, ma che aveva da
sempre lo scopo di non rendere vano e inutile il duro lavoro e la fatica necessaria
per sopravvivere.
Bibliografia:
Quaderni Friulani di Archeologia III/1993
MEDAGLIETTE E CROCIFISSI DEVOZIONALI DI EPOCA RINASCIMENTALE RINVENUTI NEL
TERRITORIO FRIULANO.
MEDAGLIE RELIGIOSE - VOTIVE – DEVOZIONALI Gruppo Privato FB Catalogo PDF-
Paolo Faraoni e
Fiorenzo Bei maggio 2021.
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