Alla ricerca di tracce di antichi ghiacciai nei rilievi minori dell'Appennino umbro-marchigiano

di Daniele Ionna

 

Introduzione

L'ipotesi della presenza di ghiacciai risalenti alle più recenti glaciazioni pleistoceniche (Riss 200000-130000, Würm 110000 – 13000 anni fa ) nei rilievi minori dell'Appennino umbro-marchigiano rientra nel tema più generale del glacialismo in tutta la catena Appenninica ed è un argomento molto controverso che non trova tutti gli studiosi in accordo.

Questo scritto vuole essere un invito all'approfondimento di questo aspetto storico del nostro ambiente montano che è stato erroneamente trascurato.

Nelle Alpi la glaciazione pleistocenica viene suddivisa in quattro periodi intervallati da altrettanti periodi interglaciali.(fig 1)

    Periodo                 Migliaia di anni                 Periodo geologico

    Recente                     0 - 10                                 Olocene

    Würm                      12 – 110 

    Riss                        130 – 200                             Pleistocene

    Mindel                    300 – 455

    Günz                      900 – 1200

    Fig. 1 - suddivisione delle fasi glaciali pleistoceniche nelle Alpi

Questa suddivisione non è condivisa da tutti gli studiosi riguardo il glacialismo appenninico e non si è ancora trovato un accordo riguardo una cronologia valida per tutta la catena montuosa.

Qui ho usato la cronologia alpina dato che è quella usata dagli autori dei lavori di cui mi sono servito per la stesura del presente elaborato,

Studi precedenti

Molti studiosi si sono occupati dell'argomento riguardo i gruppi maggiori della catena tra quali più recentemente per i Sibillini (Damiani 1975), il Gran Sasso (Giraudi 2000), il Terminillo (Giraudi 1998) la Maiella (Damiani 1979,1985, Giraudi 1998 ecc.) Pollino (Fiucciet alii1997, Giraudi 1998), Alpi Apuane (Federici 1981, Braschi et allii 1986), tutti gruppi montuosi con altitudine al di sopra dei 1800/2000 metri e rare se non uniche sono le pubblicazioni riguardo i cosiddetti rilievi minori ovvero montagne con altitudine inferiore a 1700 metri.

I lavori sopra citati non consentono una chiara visione dell'aspetto che al tempo della massima espansione dei ghiacci dovevano presentare i vari complessi montuosi dell'Appennino, tutti sono però concordi a riservare la presenza di ghiacciai a quote elevate, ma delle anomalie morfologiche che possono essere riscontrare facendo delle escursioni o passeggiate lungo le nostre montagne cosiddette minori, che più avanti vi descriverò, possono far pensare diversamente.

Le glaciazioni

Alcuni tra questi studiosi segnalando tracce di almeno 2 glaciazioni, delle quali la più antica (Riss) molto più attiva e più impattante nel territorio alla quale si devono le tracce più evidenti ancora oggi visibili ad alta quota e la più recente (Würm) che si è instaurata su le strutture già deformate dal ghiaccio e dall'erosione cancellandole parzialmente alle quote più basse.

Fino a pochi anni fa era convinzione che il limite dei ghiacci presente all'epoca della glaciazione Riss e principalmente della Würm non avrebbe permesso la formazione di ghiacciai almeno di una certa importanza nei rilievi a quote relativamente basse (1500/1600 m) e segnalano lo sviluppo dei fronti glaciali spintisi nelle valli fino ad una quota di 950 m nei massicci più importanti della catena quali il massiccio del Gran Sasso (2912), il massiccio della Maiella (2793) ecc. e solo la presenza ambienti di periglaciali in tutto il resto della catena Appenninica.

Segni dell'azione dei ghiacci

Un ambiente periglaciale è tipico oggi nelle zone immediatamente a ridosso dei poli o delle grandi altitudini e della tundra dove l'intenso raffreddamento, con l'azione del gelo/disgelo delle superfici generano una considerevole azione erosiva.

Forme tipiche dell'azione delle 2 glaciazioni quali circhi o valli sospese possono (fig.2) essere individuate facilmente nelle nostre parti ad esempio nei rilievi più alti della catena dei monti Sibillini,

dove sono presenti circhi glaciali facilmente osservabili come il “catino” tra le cime nord e sud (fig.3) del monte Bove (2169), oppure la parte terminale della valle di Panico tra il monte Bove e il pizzo Berro (2260) (fig.4), o la nella valle dell'infernaccio tra il monte Priora (2232) e il monte Sibilla (2175) o nella più nota valle del lago di Pilato nel gruppo del monte Vettore (2476) (fig.5) dove sono sono evidenti anche rocce abrase, massi erratici e altri segni del passaggio della massa glaciale.



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Le caratteristiche valli a U si possono osservare solo in quota come nella parte terminale del Rio Sacro nel monte Rotondo (2102) (fig.6) a ridosso dei circhi glaciali e più difficilmente nel fondovalle se non si eseguono elaborati calcoli del profilo altimetrico longitudinale delle valli.

Esker e Drumlins e altre forme geomorfologiche di modellamento glaciale come sembrano non essere più presenti nel territorio in esame o si confondono con altre forme di erosione e modellamento ambientale (fig.7).



Altri segnali della presenza di un ghiacciaio potrebbero essere le morene e i cosiddetti massi erratici che sono stati trasportati dallo scorrimento del ghiaccio anche a grande distanza dal luogo di prelievo, ma questi fenomeni si mescolano con i detriti di falda e con gli accumuli di frane creando difficoltà nello distinguere la genesi degli uni e degli altri.

Anche la geologia non aiuta a fare la distinzione visto che le azioni dei fenomeni erosivi si è sovrapposta e la natura delle rocce disgregate è la stessa.

Altra forma di paesaggio poco nota, ma presente ed eccezionalmente ben conservata è quella dei rock-glaciers (Giacciai di pietra, , che sono delle colate di pietre e detriti che hanno un nucleo di ghiaccio sepolto; sul Gran Sasso se ne possono osservare molti inattivi ma ancora non sono stati segnalati dalle nostre parti (fig. 8).

La ricerca di forme del glacialismo appenninico nei rilievi minori, comunque si presenta molto più difficoltosa, in quanto i ghiacciai dovevano essere di piccola estensione, tutti i rilievi sono stati nei millenni oggetto di imponenti azioni erosive da parte dei fenomeni atmosferici e gravitativi tanto da cancellare quasi totalmente le tracce dell'azione dei ghiacciai che vengono accertate solo con campagne di rilevamento in loco e con studi specifici sui sedimenti presenti nel territorio.

Primi indizi della presenza di ghiacciai a quote basse

Il primo a segnalare tracce della presenza di morfologia glaciale nei rilievi minori dell'appennino marchigiano fu R. Selli in una pubblicazione nel 1952 ma da quel momento dobbiamo aspettare gli studi portati avanti dall'Università di Urbino dai proff.ri Nesci, Savelli e Basili che hanno evidenziato nel 1995 un apparato glaciale Würmano o Rissiano nel monte Catria (1701) e alcune segnalazioni, di morfologie glaciali nel monte Nerone (1525) che hanno in parte ridisegnato la nostra storia geologica, senza però dare un seguito a sviluppi importanti.

Da ricerche informali degli stessi autori pubblicate nella rivista Marche e Montagna del CAI nel 1999 si segnala la presenza di detritici morenici e altri segni della presenza di apparati glaciali in quasi tutti i rilievi della Appennino nord delle Marche e all'interno e allo sbocco di quasi tutti i valloni senza arrivare però ad invadere le principali valli.

Altri indizi che presuppongono la presenza di ghiacciai nei rilievi della nostra regione più estesa di quella fino adesso creduta, sono gli studi eseguiti sui terrazzi fluviali presenti nelle valli marchigiane, fatti da diversi studiosi (Nesci, Savelli et allii 2005, Ranciaro 2017, ecc.) che rilevano una portata molto cospicua dei fiumi dell'epoca con apporto di grandi quantità di materiale eroso, in contrasto con un clima secco come quello della steppa o della tundra cui si pensa che sia stato presente qui durante la glaciazione.

Indizi presenti nel territorio

Altra anomalia che pare importante segnalare è la presenza di forme di erosione molto importanti quali grotte e forre presenti in quasi tutte le montagne del nostro Appennino posizionate ad altitudini comuni in tutti i gruppi montuosi che sono indice della presenza di grandi portate di acqua che scorrevano nei torrenti pleistocenici prodotte forse da apparati posti tutti a quote più o meno elevate, formazioni molto simili si ritrovano anche al termine di valli glaciali sulle nostre Alpi.

Questa ipotesi è surrogata anche da studi eseguiti dal GSM di Ancona alla fine del millennio, ma non pubblicati sul fenomeno carsico del monte Nerone che mettono in correlazione la presenza di un gran numero di grotte con dei ghiacciai in quota che hanno prodotto con il loro scioglimento l'azione erosiva per la formazione di cavità carsiche di notevole estensione.

Anche nello studio dell'azione dei fiumi lungo le pianure si possono riscontrare delle difformità nella formazione dei terrazzi fluviali che sono in accordo i grandi cicli glaciali comunemente riconosciuti nel Pleistocene ovvero 4 glaciazioni e 4 ordini di terrazzi, ma per gli ultimi 2 si constata un cospicuo afflusso di materiale sedimentato durante le fasi fredde del pleistocene segno di una azione importante dei ghiacciai nei rilievi appenninici (Dramis 1986).

Tracce di passate glaciazioni

Nelle nostre montagne come già accennato precedentemente, alcuni autori (Damiani 1975, Dramis et alii 1980) segnalano anche una fase glaciale più antica e più estesa risalente al periodo della glaciazione Riss (200000-130000 anni fa) ben evidente nei rilievi maggiori (Sibillini e Laga ecc.) ma di difficile individuazione alle quote piu basse per il motivo già prima evidenziato della erosione se non con campagne di rilevamento appositamente organizzate.

Da una illustrazione di 2 profili (fig.9) trasversali delle valli del Tenna e dell'Ambro nei Sibillini tratti dal lavoro del prof. Damiani del 1975 si possono individuare i profili a U di 2 fasi glaciali evidenti nella parte alta delle valli ma erose dall’azione torrentizia nelle quote più basse.

Altri esempi di queste 2 fasi glaciali sono evidenti anche in altre valli del complesso dei Sibillini come nella valle del torrente Fiastrone e nella valle del fiume Aso mentre non si rinvengono nella valle del torrente Ussita e nella parte alta del bacino del fiume Nera.

Anche nello studio citato in precedenza fatto nel massiccio del monte Catria si evidenziano 2 fasi di sviluppo del ghiacciaio del “Bevano”. La prima più antica, dove il fronte glaciale è arrivato fino ad una quota di 540 m per uno sviluppo di c.a 3 km e una seconda più recente meno sviluppata ma che ha lasciato delle tracce ben evidenti della sua azione.

Le tracce più basse dell'azione erosiva del ghiacciaio sono la presenza di tasche di suolo rosso bruno fersiallitico che sembrano indicare episodi riferibili ad un glaciale pre-würmiano. A onor di cronaca altri autori fanno risalire queste fasi tutte al Würmiano segnalando almeno tre ordini di morene stadiali rilevabili nel monte Vettore e nella Maiella ovvero depositi sedimentati che il ghiacciaio avrebbe lasciato in ripetute espansioni e ritiri che si sarebbero succedute tutte nel pleistocene superiore fino al completo ritiro avvenuto all'inizio dell'olocene (c.a 10000 anni fa).

Anomalie rilevate in campo

Qui di seguito pubblico alcune foto che potrebbero mostrare a mio avviso delle tracce di probabili formazioni glaciali, la prime sono foto (foto 10-11) del versante nord del monte Pennino (1571 m) la prima presa dall'abitato di Laverinello la seconda da Google-earth dove sembra che sia presente una strana forma che suggerisce forse la presenza di un circo glaciale forse parzialmente eroso.

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Tale struttura potrebbe essere anche riconosciuta come la la nicchia di distacco di una frana e questo mette bene in evidenza la difficoltà di distinguere efficacemente la geomorfologia glaciale da altre forme di erosione delle nostre montagne.

La seconda è una foto (fig 12) del fosso del Crino una valle nel versante nordest del monte San Vicino (1479 m) dove è evidente la grande azione erosiva dell’acqua che ha prodotto una forra di circa 2 km di lunghezza.

La testata della valle sembra avere la tipica forma circoide anche se a cornice della stessa i rilievi non si elevano al attorno i 1300 metri e solo il “picco” del San vicino supera i 1400. Il “talweg” ovvero il profilo longitudinale, presenta una giacitura a sedia a sdraio senza rottura del versante tipica dell’azione di piccoli ghiacciai e a circa metà della valle è presente un dosso che si sviluppa perpendicolarmente alla valle stessa costituito prevalentemente da detrito e da brecce che potrebbe far a pensare ad una morena terminale di una lingua glaciale. La presenza della forra di grandi dimensioni a chiusura della valle è segno di una grande disponibilità di acqua che ha svolto la sua azione erosiva per lungo tempo a dispetto delle dimensioni ridotte della valle soprastante e ciò può far suppore la presenza di un piccolo ghiacciaio o al limite un nevaio permanente.

Altre valli nel monte del San Vicino, nel monte Pennino, e in altri rilievi presentano forme di accumulo di massi in strane posizioni o di erosione quali le forre le cui origine lasciano dei dubbi ad attribuirle  alle sole azioni del ruscellamento, o di fenomeno gravitativi.

Altri indizi possono essere evidenziati dalle immagini aeree prese dal satellite dei rilievi del nostro Appennino come la vista della parete nord-ovest della vetta del monte Cucco (1566 m) (fig. 13) dove sembra sia presente una forma circoide, anche se in questo rilievo non sono ancora stati ritrovati sedimenti relativi ad una azione glaciale, nel versante nord del monte Pennino, oppure il circo alle spalle dell'abitato di Cantiano (fig. 14) o più in generale in tutto il massiccio del monte Catria (fig 15).

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Nel monte Nerone (fig. 16) nel versante nord ovest, a valle de il Cimaio si apre un'ampia depressione morfologica contenente il Fosso Tragolone e Fosso Scandolera dove si osservano chiare tracce di modellamento glaciale nella forma del vallone, negli argini morenici e altri depositi di natura glaciale che si trovano all'interno della depressione mentre nel versante sud sopra a Pieia si apre una valle sospesa in prossimità della risorgenza del torrente Giordano.

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Conclusioni

Spero che qualche Istituto Universitario ritorni ad interessarsi di questo argomento in modo più approfondito, di quello che io ho cercato qui di mettere in luce, perché penso che in futuro questo oggetto di ricerca sicuramente potrà riservare delle sorprese interessanti.

Ad un esperto questa breve trattazione figurerà superficiale, inesatta e forse anche presuntuosa e mi scuso per questo, soprattutto se ho usato della terminologia non consona e ho ipotizzato delle teorie al limite del fantastico, ma dato che non sono un professionista, né uno specialista del settore, ho solo cercato nei miei limiti di fornire delle informazioni e di segnalare alcune strutture del paesaggio, che possono dare adito a domande, o suscitare la curiosità ad un visitatore attento e desideroso di conoscere o approfondire un aspetto nuovo e particolare del nostro ambiente così vario, articolato e spesso selvaggio.

Qui di seguito segnalo alcune pubblicazioni di cui mi sono servito per realizzare questo articolo, nelle quali, chi sarà interessato, potrà trovare tutti riferimenti dei lavori sopra citati ma non menzionati per intero.


Bibliografia

1. S.Braschi, P. Del Freo, L. Trevisan – Ricostruzione degli antichi ghiacciai sulle alpi apuane – Atti Soc. Tosc. Sci Nat. Serie A (1986)

2. M. Coltorti, F. Dramis - The significance of stratified slope-waste deposits in the quaternary of Umbria-Marche Apennines – geomorph. N.F. 71 (1988)

3. M. Coltorti, M. Farabolini – Quateranary evolution of the “Castelluccio di Norcia” basin – Il Quaternario (1995)

4. F. Dramis, C. Bisci – Aspetti geomorfologici del territorio marchigiano – Studi geologici Camerti (1986)

5. P. R. Federici – Una ipotesi di cronologia glaciale tardo e post Würmiana nell'appennino centrale – Geogr. Fis.Dinam .Quater. 2 (1979)

6. A. V. Damiani – Aspetti geomorfologici e possibile schema evolutivo dei monti Sibillini – Boll. Serv. Geol. it. 96 (1975)

7. C. Giraudi – I rock glacier tardo pleistocenici ed olocenici dell'Appennino, età, distribuzione, significato paleoclimatico – Ital. Jour. of Quater. 15 (2002)

8. C.Giraudi – Middle Pleistocene to Holocene Apennine glaciations - Il Quaternario (2003)

9. G. Nangeroni – I fenomeni periglaciali in Italia - Quaternaria, II, (1955)

10. O. Nesci, D. Savelli, A. Diligenti, D. Marinangeli – Geomorphological sites in the northern Marche (Italy) ecc. - Ital. Jour. of Quater. 18 (2005)

11. R. Ranciaro - Ipotesi sull'evoluzione geomorfologica peistocenica -olocenica dell'area ovest della dorsale di Cingoli tra i fiumi Chienti ed Esino – www. Georancia.it (2017)

12. Savelli, O. Nesci, M.Basili – Evidenze di un apparato glaciale pleistocenico sul massiccio del Catria (App. March.).-Geogr. Fis.Dinam.Quater. 18 (1995)

13. Savelli, C. Pergolini – Scolpito dal freddo. Alla ricerca delle tracce di antichi ghiacciai sul Massiccio Catria e Nerone - Marche e Montagna Rivista della Delegazione Regionale CAI (1999


© Daniele Ionna - Febbraio 2021

Tutte le immagini sono state fornite dall'Autore che ne risponde verso terzi per l'utilizzo

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