di Gabriele Presciutti, Maurizio Presciutti e Giuseppe Dromedari
Scotano (Cotinus coggygria) o albero delle nebbie in livrea autunnale (foto Giuseppe Dromedari) |
Della sua presenza ci accorgiamo soprattutto in autunno,
quando le sue foglie si accendono di tutte le gradazioni del rosso e del giallo
e appaiono al limitare dei boschi e sui fianchi più aridi e sassosi delle
nostre vallate, completando la tavolozza di colori a cui concorrono tutti gli
alberi e gli arbusti del nostro Appennino; stiamo parlando dello scòtano (Cotinus coggygria). E’ noto anche come
“albero della nebbia”, perché in primavera conosce un altro momento di gloria,
quando la sua ricca infiorescenza appare come un intreccio di fibre bianco/rosa
che al mattino intrappola le gocce di rugiada formando, in talune situazioni,
immagini che sembrano fiocchi di nebbia posati sui rami.
Scotano in livrea primaverile (foto dal web). |
Non era certo così ignorato fino a un paio di secoli orsono,
infatti dal medioevo fino all’Ottocento, lo scòtano è stato un arbusto
prezioso, ricercato, protetto e coltivato, poiché dalle sue foglie e dai suoi
rami si otteneva il tannino, prezioso nelle concerie per la lavorazione e la
concia delle pelli, inoltre era utilizzato anche nella preparazione di molti
colori (rosso, paonazzo, giallo, nero, cenerino, rosa, verde, turchino e altri
ancora) per la tintura dei tessuti, in particolare del cotone.
Il primo a richiamare la nostra attenzione su questo tema è
stato Franco Barbadoro il quale nel suo bellissimo libro “Le radici del Monte Catria storie
di fiori piante e uomini” ha dedicato all’argomento un capitolo (La comunità degli uomini di Serra
S.Abbondio, i monaci dell’Avellana e le Scotanarie –XV Sec. – pag.75) molto
ben documentato e di grande interesse, poi in una bella chiacchierata avuta
poco dopo la pubblicazione del libro ci ha ulteriormente stimolato a indagare
su questo fronte.
L’argomento aveva richiamato anche l’attenzione del compianto
Marcello Mensà, il quale nella sua instancabile attività di ricercatore
d’archivio, aveva intercettato numerosi documenti legati in qualche modo allo scòtano,
che ha raccolto e trascritto. Le testimonianze sulla raccolta, lavorazione, trasporto
e utilizzo dello scòtano sono moltissime e ci restituiscono uno spaccato
piuttosto preciso di quella porzione di “economia” che girava attorno a questa
essenza vegetale ormai quasi dimenticata dai più.
Tavolozza di colori autunnali in un'immagine di Cagli, sullo sfondo, vista da Monte Petrano (foto Giuseppe Dromedari). |
Guidobaldo II Della Rovere in un ritratto di Agnolo Bronzino. Fu lui ad imporre un'odiata gabella sullo scotano (foto da Wikipedia). |
Le preziose foglie dello scotano, ricchissime di tannino, in livrea autunnale (foto Gabriele Presciutti). |
Die 9 Aprile 1611
Matteo
Mattei esecutore Barigello
A
24 di Marzo prossimo passato andando noi ad esseguire al Pianello quanto fummo
li presso al ponte di Secchiano Andrea Piazzaro e me vedemmo passare uno il
quale veniva dal molino di Secchiano, et andava verso li Pianello, et haveva
doi bestie cariche di scotano, e adimandando di dove era, mi rispose che era da
Castello, et adimandando dove andava mi disse che andava a Gubbio, et io dissi
o bella strada per andare a Gubbio, hai tu pagato la gabella?, et lui disse,
l’ho pagata qui al molino ma non haveva bolletta, che però faccio instanza che
si proceda conforme alla giustitia
D.
D.
Andrea
alias Coccalino Piazzaro
E’
vero che alla vigilia della Madonna di Marzo prossima passata, andando noi al
Pianello à esseguire Matteo sbirro, e me
quando fummo vicini al ponte di
Secchiano vedessimo uno che veniva dalla volta del Molino di Secchiano et
andava alla volta del Pianello, e adimandandole detto Matteo di dove lui era
che cosa era quello che lui portava in certi sacchi sopra doi bestie che haveva
detto huomo, disse essere di Castello, et che quello era scòtano che lo portava
ad Agubbio, e dicendi detto Mattia, ho bella strada per andare a Gubbio, hai
pagata la gabella? Et quello disse che l’haveva pagata giù al molino di
Secchiano ma non mostrò bolletta, et il nome di detto huomo apparirà dalla
Sicurtà che ho inteso doi per questa causa d° giorno diede qui in Palazzo
(
Arch. Com. libro delle querele)
Le scotanare erano controllate e curate con molta attenzione,
lavoro spesso affidato alle donne, poiché il loro sfruttamento doveva essere
dosato con molta attenzione per evitare di impoverirle, inoltre il problema
principale era quello legato alla difesa dal pascolo degli animali, in
particolare pecore e capre, ghiotte delle foglie e dei ramoscelli più teneri di
questo arbusto. Spesso, per evitare problemi e pericolose invasioni di animali
al pascolo, le scotanare venivano circondate da muri a secco o da recinzioni
ottenute con arbusti spinosi. E’ forse questa la strada da seguire per capire l’uso
di quelle che, in un altro articolo apparso in questo blog, abbiamo chiamato “le
enigmatiche costruzioni del Serrone”? Probabilmente sì, e di questa indicazione
ringraziamo ancora Franco Barbadoro per averci indicato questa possibile
soluzione, anche se al momento non abbiamo ancora trovato riscontri oggettivi
documentali. In ogni caso la zona ove sorgono queste recinzioni, fatte di
pietre a secco, è compatibile con la coltivazione dello scòtano e si trova
molto vicino al luogo dove sorge l’Abbazia di San Pietro di Massa. Continueremo
ad indagare.
Un altro panorama autunnale delle nostre vallate nel quale spiccano le macchie di rosso e arancio dello scotano (foto Giuseppe Dromedari). |
I legittimi proprietari delle scotanare, però, talvolta, per
i motivi più svariati, erano costretti ad allontanarsi dai loro possedimenti e
al loro ritorno, con grande disappunto, trovavano i loro preziosi arbusti ridotti
a scheletri privi di foglie, divorate dagli animali al pascolo, o, peggio
ancora, depredati da ladri senza scrupoli. Ed ecco che partivano le denunce
all’autorità locale, più o meno circostanziate, nelle quali si chiedeva di
perseguire i colpevoli e di rifondere i danni.
A tale proposito è di particolare interesse la denuncia fatta
il 7 giugno 1660 da Jo Batta Fioravanti di Pianello, affittuario delle
scotanare dell’abbazia di S. Pietro di Massa poste a Frontino, nella Val Grande
e a Paginello di Moria, tutte località ubicate nei pressi di Pianello. Il
Fioravanti lamenta che, durante la sua assenza per la stagione fatta in Maremma
con i suoi bestiami, probabilmente per il trasporto dei legnami e del carbone
con i muli, le sue scotanare sono state devastate dalle capre ed accusa di ciò
gli abitanti di Pianello e di Moria. La sua denuncia, però, è rivolta contro
ignoti, non potendo sapere chi fossero i proprietari delle bestie che hanno
pascolato nelle scotanare.
In Dei nomine Amen Die 7 Junij
1660
Compare
Jo: Batta: Fioravanti del Pianello affittuario Abadia S. Pietro di Massa e
Episcopato di Cagli / Teste
“Faccio sapere a VS. come Io sono
affittuario di detta Abbatia ne i beni scotanati di detta Abbatia posti a
frontino del Pianello, la Val Grande del Pianello, et Paginello di Moria, et
finche Io mi sono trattenuto nelle Maremme con i Bestiami miei, che son pochi
giorni ch’Io son ritornato, Ho trovato, che mi son stati mangiati tutti i
scuotani suddetti dà Bestiami, cioè da Bestie caprine et perche mi han fatto un
danno incredibile / e però faccio Instanza,
che si provvedi contro à Delinquenti, et venanti vicini, che son quelli
del Pianello, che han bestie caprine, et quelli di Moria per il Paginello, non
sapendo Io precisamente le Bestie de quali siano quelle che mi han fatto tal
danno / et siano condannati à rifarmi ogni
danno, spesa, et interesse, et alle pene debite / et che detti danni si mandino
persona à stimare deti danni”
(Acv, Atti Crim.)
Capre e pecore al pascolo, "nemiche" naturali dello scotano. |
Un'altra immagine dello scotano. Qui l'arancio intenso prevale sugli altri colori (foto G.Presciutti) |
Die lunedì 8 ottobre 1648
Don Canonico Cancellus Reblius di
Cagli / Teste
“Faccio sapere a V.S. come il mio
canonicato di Santa Croce tiene, e possede un pezzo di terra vignata, selvata e
scotanata posto nella corte della Città in vocabolo San Leo appresso à suoi
lati / hieri sera trovai ………….figlio di Francescone di Bruscia da Cà Baldello lavoratone
di Ms Vina Zoccone con bestie caprine, e pecorine in buona quantità à far danno
nella detta mia scotanara, che però trovai à sua sorella, che era giù a basso
alle Case, et con me vi fù presente il Canonico Ceccarelli, che se bene non
havrà conosciuto la persona che guardava dette bestie, non di meno he veduto le
bestie nel luoco sudetto à far danno, et li non vi è altra persona …………..
(Arch. Curia Vesc. Danno dato Cartella)
Le
scotanare in primavera, come scrive Franco Barbadoro nel suo libro sopra
citato, venivano sottoposte a lavori di zappatura, per essere, a fine estate,
sfrondate e mietute. Il materiale raccolto si lasciava a seccare per il tempo
necessario per una completa asciugatura, poi subiva una prima operazione di
“battitura” per sminuzzare le foglie e i rametti, infine, generalmente in
inverno, si effettuava la triturazione finale con mazze ferrate o chiodate in
contenitori di legno, chiamati “trocchi” o “pile”, fino ad ottenerne quasi una
polvere che, riposta nei sacchi, veniva venduta alle concerie o ai tintori.
Anche
a tale proposito negli archivi si trovano querele curiose come questa che
riportiamo, del 21 settembre 1626, nella quale il Bargello di Cagli, su ordine
del Vicario, controlla che tutti quanti rispettino la festa di S.Matteo nella
contrada di Guazza a Cagli. Nel suo giro di controllo, però, trova Donna
Felice, Donna Marchegina e le rispettive figlie che, senza riguardo per la
festa, battevano lo scòtano in mezzo alla via, con scandalo pubblico. Il
Bargello passa due o tre volte, poi visto che l’attività non cessava, multa
Donna Marchegina:
Die 21 7bre 1626
Francesco F……. di Pesaro Barigello
“ Faccio sapere a VS qualmente avendo
avuto ordine dal Sigr Vic°di far il pegno à quelli , che non
guardavano la festa di oggi S. Matteo , sono andato nella Contrada di Guazza
posta nella Città di Cagli dove ho trovato che Da Felice di Carlo e
sua figliola, Donna Marchegina di Barbetta, e sua figlia che battevano lo
scuotono in mezzo la strada, che l’avevano battuto et lo raccoglievano per
riporlo in casa gli ho fatto il pegno a detta Da Marchegina e sua
figliola, et questo perché avendo avuto l’ordine essendo io passato per guazza
due, o tre volte l’ho trovate, che battevano, e poi me l’hanno confessato loro
proprio, et detto scuoto era in mezzo la strada dove lo battevano con scandalo
pubblico et disprezzo della festa / che è questo
(Arch
C. V, Atti Crim, 1624 a
1627, pag. 318t)
Questo sopra
riportato non è l’unico episodio di “conflitto” fra sacro e profano, infatti
nel settembre 1661 l’esito di un comportamento simile a quello delle due donne
della contrada di Guazza per Felice Arsenio di Smirra, è molto più rovinoso. Questi
infatti viene sorpreso, dal baiuolo (sorta di ufficiale giudiziario), dal
bargello e dagli sbirri, a battere lo scòtano nella sua ara il giorno della
festa di Santa Maria delle Stelle. Felice Arsenio di Smirra si rifiuta di
pagare la multa e allora il bargello lo fa ammanettare per condurlo in
prigione. A quel punto lo sventurato viene a miti consigli e vorrebbe pagare la
multa, ma il bargello a quel punto non sente ragioni e ordina di condurlo in
prigione:
Acta
Testium
9 Settembre 1661
Francesco Lorenzi Publico Baiolo di
Cagli / Teste
“Ieri sera nel tornare dalla fiera di
Monte Martello con il bargello di questa Città, et suoi Sbirri, quanto fossimo
di là dal fiume sentissimo che di là dal fiume
in un ara si batteva, come si suol battere il grano, non ostante, che ieri
fosse la festa della Nata della Beatissima Vergine di precetto, onde passammo
il fiume, et ce ne andammo a quella volta, cioè ad un’Ara sopra il fiume, et
sotto la Smirra, che Felice d’Arsenio nella qual’Ara trovassimo, che vi era lo
scuotano parte battuto, e parte da battere stratato, et vi erano due frusti et
un cappello da uomo, che era il cappello di Felice quale, come anco sua moglie,
che si erano subito ritirati, che ci avevano aver veduti et erano fuggiti
dall’Ara, et perche il Bargello voleva il pegno per non averla lui con il
battere guardata la festa, non gli lò volse dare, et perciò lo condusse
prigione a Cagli, et ben vero, che doppo esser legato, et postergli le manette
avrebbe dato il pegno, ò sicurtà, ma il Barigello non volse altro, ma lo
condusse prigione come ho detto. Quando arrivammo li all’Ara non trovammo
alcuno, che battesse, ma però andammo a detta Ara, perche li sentiva da Noi il
battere, e non altrove, et detti Felice et sua moglie essendosi accorti di Noi
e Corte, se ne erano fuggiti, et non li potemmo coglier nell’Atto della
battuta, ma appunto ve erano due frusti nell’Ara pronti al battere per due
persone come erano loro, el il Cappello, qual era del detto Felice”
(Arch.C.V. Atti Crim. Cartella)
Un
tale Francesco di Fabrizio da Fosto fu ancora più temerario perché ebbe
addirittura: “ l’ardire di battere lo
scotano dentro la chiesa di Fosto”. Non conosciamo quale sanzione gli fu
inflitta per quest’atto sacrilego!
Non
solo le scotanare erano oggetto delle mire dei malfattori, infatti, seppure di
minor pregio, le concerie e le tintorie acquistavano a mani piene per le stesse
finalità anche le scorze di corteccia di noce. Il prezzo pagato per tale
prodotto era all’incirca la metà di quanto pagato per lo scòtano, ma restava
comunque un commercio profittevole, a condizione di essere proprietari di
piante di noci, l’alternativa era … scorzare le noci degli altri. Questa
denuncia del 1670, contro ignoti, di danno dato nei beni dell’Abbazia di S.
Pietro di Massa uniti al Vescovato, rappresenta in modo esemplare una delle
situazioni che di frequente si verificavano:
Il Bargello e i birri in un'immagine seicentesca. |
Sopramonte – Pianello
Circa 150 o 200 noci sono state
scorzate per vendere la scorza ai Tintori di Cagli e Cantiano. Le scotanare
sono state danneggiate dalla raccolta di foglie sempre per lo stesso uso, altri
Scuotani sono stati danneggiati dal numero grande di capre, pecore e bovini nei
Vocli Val Granda, Fiamma, Pagino, Frontino, il pero, Val della noce
e i sassi di Pieia.
(Arch. c. v. Atti Crim. Anno 1670 – 1673 pagne
94- 149t- 160- 162)
L’esame
di questi atti ci riconsegna in modo vivido e concreto un mondo ormai andato
perduto nel quale il rapporto tra gli uomini e l’ambiente circostante
condizionava in modo determinante l’esistenza. L’ambiente era fonte di
sussistenza diretta, per il cibo prodotto, e indiretta, per i commerci che ne
derivavano e nulla era trascurato. In mezzo a tutto questo si muovevano gli
uomini con i loro istinti e i loro bisogni insopprimibili.
© Gabriele Presciutti, Maurizio Presciutti, Dromedari Giuseppe - Ottobre 2019
,Molto interessante.è sempre un piacere leggere quello chè pubblicate
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