Nelle Marche la maggiore
concentrazione di grotte archeologiche si ha nella Gola di Frasassi (o del Sentino)
e in numero minore, limitatamente al Paleolitico superiore, nella vicina Gola
della Rossa, ma una preziosissima testimonianza si ha anche sul Monte Nerone,
nella Grotta delle Nottole di Fondarca, a testimoniare l‘interesse per le cavità
mostrato dall’uomo nelle diverse epoche.
Grotte che sono state utilizzate
non solo a scopo abitativo, ma che hanno rivestito un fondamentale ruolo come
luoghi di culto, soprattutto durante l‘età del Bronzo e presumibilmente già durante
il Paleolitico superiore.
Frasassi e le sue grotte
La Gola di Frasassi, nel comune di
Genga, lunga complessivamente 3 km, è una profonda e stretta valle attraversata
dal Fiume Sentino, incassata tra i massicci calcarei del Monte di Frasassi a
nord (708 m) e del Monte Valmontagnana a sud (930 m), lungo la quale si
sviluppa uno dei sistemi carsici più estesi dell’Appennino centrale
umbro-marchigiano.
Delle oltre cento cavità naturali
conosciute nella zona, solamente alcune risultano frequentate dall’uomo con
scopi non soltanto abitativi, ma anche cultuali e funerari.
Di queste solo tre (i complessi
della Grotta del Fiume-Grotta Grande del Vento, della Grotta del Mezzogiorno-Grotta
della Beata Vergine e il Buco Cattivo) raggiungono sviluppi considerevoli essendo
grotte speleologiche a tutti gli effetti e di queste solo la Grotta della Beata
Vergine è percorribile abbastanza agevolmente senza attrezzature speleologiche
presentando uno sviluppo suborizzontale di oltre 300 m.
Le altre grotte del comprensorio
sono cavità poco profonde, distribuite tra 700 e 200 m slm.
Le testimonianze archeologiche
nelle grotte di Frasassi, frutto di scavi regolari o di rinvenimenti occasionali,
coprono un lungo arco di tempo, dal Paleolitico superiore all’Alto Medioevo, e
sono localizzate in prossimità dell’ingresso delle cavità, tranne nel caso
della Beata Vergine nella quale l‘uomo, anche in epoche antiche, si è spinto
molto più all’interno.
Storia delle ricerche
archeologiche a Frasassi.
Le ricerche archeologiche nelle
grotte della Gola della Rossa e Frasassi, condotte da alcuni dei più illustri
archeologi degli ultimi secoli, sono iniziate nella Grotta della Beata Vergine,
con Luigi Pigorini nel 1872 e Giuseppe Scarabelli nel 1879, per poi continuare
nei primi anni del 1900 con Ugo Rellini e Innocenzo Dal’Osso. Le ricerche sono
proseguite in maniera più scientifica e sistematica, anche se sporadica, in
altre cavità (Caverna dei Baffoni, Grotta del Mezzogiorno, Grotta Leonardo,
Caverna del Carbone, il Grottone) indagate in contemporanea da Anton Mario Radmilli
e Salvatore Maria Puglisi dal 1952 al 1954 con la partecipazione della giovane
Delia Lollini, che fu a capo della Soprintendenza Archeologica delle Marche dal
1983 al 1989.
Dal 1964 al 1979, a seguito della
collaborazione tra Soprintendenza Archeologica delle Marche e Istituto di
Geologia dell’Università di Ferrara (G. Bartolomei, A. Broglio, A. Guerreschi),
furono avviate campagne di ricerca e di studio dei giacimenti epigravettiani di
Grotta del Prete, Grotta della Ferrovia e Cava Romita, che ancora rappresentano
siti chiave per la comprensione della periodizzazione del Paleolitico superiore
nelle Marche.
Negli ultimi decenni si sono avute
segnalazioni di rinvenimenti occasionali non meno importanti che hanno
consentito di ampliare le conoscenze sulla frequentazione delle cavità naturali
del comprensorio.
Disegno della sezione del’androne della Grotta della Beata Vergine
eseguito da Giuseppe Scarabelli nel 1879
|
Materiali sporadici del Paleolitico
inferiore/medio sono stati rinvenuti all’aperto o presso alcune grotte, ma è
nel Paleolitico superiore che si attesta la frequentazione di grotte e ripari
sia lungo la Gola della Rossa sia nella Gola di Frasassi.
La Grotta della Ferrovia è stata
frequentata a partire dal II Pleniglaciale wurmiano e nella successiva fase
temperata Bølling-Allerød datata a 13.500 cal BP (Before Present: da oggi).
A Cava Romita i livelli antropici
sono stati datati a circa 12.000 anni BP, correlati alla presenza di esemplari
di Capra ibex, di Cervus elaphus, Capreolus capreolus, Rupicapra rupicaprae,
indicando un momento temperato freddo del Tardoglaciale (fine Dryas recente).
Di poco più recente la
frequentazione della Grotta del Prete, la cui occupazione nel Paleolitico superiore
si colloca tra la fase finale del Tardoglaciale e l‘inizio dell’Olocene antico
che segna l‘inizio del periodo climatico attuale (11.500 cal BP).
Nei tre siti sono stati raccolti
manufatti litici ma anche oggetti di ornamento: canini atrofici di cervo con
fori per la sospensione, un ciottolo di selce forato e conchiglie marine
(bivalvi e gasteropodi).
Nella Grotta della Ferrovia sono
stati rinvenuti alcuni ciottoli con decorazione incisa a filo spinato o a
tacche di valenza simbolica.
La Sala del Fuoco nella Grotta del
Fiume
Per il Paleolitico superiore un
altro straordinario rinvenimento è quello segnalato in una delle sale dei
livelli superiori della Grotta del Fiume, ora accessibile solamente con la
difficile risalita di tre pozzi, ma che nel Pleistocene superiore comunicava
direttamente con l‘esterno attraverso un ingresso che si apriva sul versante del
monte, poi ostruito da una grande frana.
Qui, nella sala ora denominata
Sala del Fuoco nel 1986 è stato scoperto ad opera del Gruppo Speleologico
Marchigiano di Ancona e di Fabriano un cranio di stambecco che sembra intenzionalmente
deposto su una bassa stalagmite.
A breve distanza sono state
raccolte quattro lame in selce, tra cui una punta, mentre alla base di una sorte
di totem-stalagmitico è stato acceso un focolare, la cui datazione al C14 ha
fornito un’età calibrata di circa 16.000 anni da oggi. Si tratta dunque della
più antica datazione assoluta per la Gola di Frasassi e della Rossa e di uno
dei pochi siti a livello nazionale riferibili alla fase antica del Tardoglaciale
(fase iniziale del’Epigravettiano recente).
Ricerche condotte grazie alla
preziosa collaborazione tecnica e scientifica dei geologi Alessandro Montanari,
direttore del’Osservatorio Geologico di Coldigioco, e Maurizio Mainiero, della Federazione
Speleologica Marchigiana, hanno permesso di effettuare ricerche con georadar e
il prelievo di campioni (carboniosi, ossei e spelotemici) per ulteriori
datazioni.
Per il momento possiamo ipotizzare
una frequentazione della Sala del Fuoco all’inizio del Tardoglaciale, 16.000
anni fa, da parte di pochissimi individui e per uno o pochi momenti di breve durata
con scopo diverso da quello abitativo, probabilmente per qualche pratica di
culto legata forse proprio allo stambecco, uno degli animali allora
maggiormente cacciati dall’uomo.
Un reperto di grande interesse è
inoltre la piccola statuetta della Venere paleolitica, rinvenuta casualmente
nel 2008 in un non ben precisato punto della Grotta della Beata Vergine.
Alta 8,7 cm, realizzata su un
frammento di stalattite, rientra nella produzione delle cosiddette Veneri
paleolitiche, a rappresentazione della donna come misteriosa fonte di vita.
Poteva essere un idolo o un
amuleto utilizzato durante cerimonie, riti, offerte per favorire o proteggere
la fertilità, la gravidanza o il parto.
Un’altra ipotesi che vorrei
suggerire per la Venere di Frasassi è legata alla grotte cosiddette galattofore,
portatrici di latte, considerate magiche e terapeutiche in quanto si credeva
che l‘acqua gocciolante, se bevuta dalle madri durante l'allattamento, avesse
il potere magico di favorire la secrezione del latte. Appunto la materia prima
(un frammento di stalattite) e la posizione delle braccia protese in avanti,
forse non tanto in segno di offerta quanto piuttosto per raccogliere qualcosa
nelle mani, potrebbero indicare il collegamento materico e gestuale con l‘acqua
percolante dalla grotta.
A partire dal Neolitico e poi
soprattutto durante l’età del Bronzo
fino ad epoca storica (romana e alto medievale) sono state frequentate altre
grotte nella Gola di Frasassi (Grotta della Beata Vergine di Frasassi, Grotta
del Mezzogiorno, Grotta dei Baffoni e Caverna del Carbone).
Poco consistenti i materiali
riferibili al Bronzo antico mentre con il passaggio al Bronzo medio, circa
1.650 anni a.C., queste cavità risultano essere diventate importanti luoghi di
culto.
Nel caso della Grotta della Beata
Vergine è particolarmente significativo il ritrovamento di alcuni reperti
esclusivi e di pregio nella parte più interna della cavità. Il rinvenimento più
eclatante è quello avvenuto il 25 giugno 1909 “in un recondito nascondiglio vicino alla discesa dei pipistrelli”.
Si tratta di un pugnaletto di
bronzo e di un bottone in pasta vitrea con perforazione a V, non associati ad
alcun resto umano, che risalgono alle fasi iniziali del Bronzo medio (1650-1450
a.C.).
La provenienza di bottoni di
tipologia simile da grotte cultuali e funerarie del Lazio (Grotta dello Sventatoio-RM
e Grotta Vittorio Vecchi-LT) è un elemento che accomuna nelle fasi iniziali del
Bronzo medio alcune comunità dell’Italia centrale nella produzione di oggetti
di prestigio appartenuti in vita ad un personaggio eminente, in questo caso un
guerriero, offerti alle divinità sotterranee o deposti in grotte forse anche in
relazione al culto degli antenati.
Provengono dal “Salone” interno della Grotta della Beata
Vergine alcuni recipienti (olle, tazze, scodelle) datati dal Bronzo medio al
Bronzo finale utilizzati per offerte o per rituali che si svolgevano in una
sala della grotta lontana dall’ingresso e che attestano come questa cavità abbia
rivestito un ruolo importante come centro di culto in fasi diverse dell’età del
Bronzo.
Non è certo se anche altre grotte
di Frasassi abbiano avuto funzione cultuale nell’età del Bronzo.
Indizi di una probabile
frequentazione a scopo cultuale nel Bronzo recente provengono dalla Grotta del
Prete. Si tratta di un boccale e di una tazza con sopraelevazione cornuta
rinvenuti integri al di sopra dei livelli del Paleolitico. Si tratta di due
recipienti per contenere e per versare acqua o liquidi utilizzati probabilmente
per offerte o rituali.
Nella Grotta dei Baffoni invece il
rinvenimento di un pugnale a codolo ogivale del Bronzo recente accompagnato da
attrezzi da metallurgo potrebbe rivelare l’utilizzo della cavità per attività
di tipo metallurgico anche con una particolare connotazione magico-sacrale (con
riferimento alla figura mitologica greco-romana di Efesto-Vulcano, il fabbro
che forgiava le armi per gli dei e gli eroi).
Nella Grotta del Mezzogiorno la
limitata profondità della cavità e il ritrovamento di manufatti ceramici
frammisti ad abbondanti resti di fauna fanno propendere per un utilizzo
insediativo, senza escludere anche in questo caso una frequentazione a scopi
cultuali.
Nel caso della Grotta dei Baffoni,
profonda circa 50 m e delimitata sul fondo da un colonnato stalagmitico molto
suggestivo, il ritrovamento di materiali a 14 m dall’ingresso nel saggio B praticato
da Radmilli potrebbe indicare un utilizzo della grotta a carattere misto, sia
abitativo, forse stagionale e saltuario legato alle pratiche pastorali, ma
anche come luogo di culto e funerario occasionale data la presenza di resti
umani nel livello tra Bronzo antico e Bronzo medio 1-2.
L‘androne della Grotta della Beata Vergine con il tempietto ottocentesco |
La frequentazione di alcune grotte
nella Gola di Frasassi continua anche in età romana e nell’Alto Medioevo.
In particolare nella Grotta della
Beata Vergine il rinvenimento negli strati superficiali dei resti scheletrici
appartenuti a numerose sepolture fa pensare a un uso funerario della grotta.
Gli scheletri si rinvennero in
occasione dello sbancamento per la costruzione del tempietto commissionato dal
papa Leone XII nel 1819, quando fu asportata una grande quantità di sedimenti geologici
e archeologici, ma anche in occasione degli scavi condotti tra 1800 e 1900
nella prima galleria.
A queste sepolture della fase
tardoantica e altomedievale sono da associare alcuni probabili oggetti di
corredo, tra i quali, particolarmente interessanti, i pettini in materia dura
animale e un ago crinale in bronzo, comuni nelle necropoli longobarde, e una
fibbia con motivo a croce patente a occhi di dado, un elemento di connotazione
cristiana, anch’essa in corno, databili tra la fine del VI e il VII secolo
d.C., riferiti al periodo della conquista longobarda del territorio.
Materiali di età tardoromana e
altomedievale provengono anche dagli strati più superficiali di altre grotte
della Gola di Frasassi (la Grotta dei Baffoni e la Grotta del Mezzogiorno). In
questo caso la mancanza di resti di sepolture farebbe ipotizzare l’uso delle grotte
come ricoveri in un periodo travagliato di crisi.
La Grotta delle Nottole sul Monte
Nerone
Ancora più a nord si ha la Grotta
delle Nottole di Fondarca, sul versante meridionale del Monte Nerone, in
posizione centrale rispetto ai due “gruppi” di grotte, quello
emiliano-romagnolo e quello marchigiano di Frasassi e collegata anche alle
grotte del versante tirrenico.
Le campagne di scavo, condotte dall’Università
degli Studi della Tuscia, avviate nel 2001 sono ancora in corso con la
direzione di Mirella Cipolloni prima e Gian Maria Di Nocera ora.
La grotta ha conosciuto una
frequentazione periodica dall’età del Rame al Bronzo recente, con funzione
presumibilmente cultuale legata allo stillicidio delle acque e ad altri rituali
(offerte di cibo e di oggetti).
I materiali trovano confronto con
quelli delle grotte della vicina Gola di Frasassi-Sentino e dell’Italia
centrale adriatica e tirrenica.
Alcuni oggetti di pregio (una
fibula in bronzo, un bottone d’ambra) possono essere stati lasciati come
offerte con particolare valore simbolico e ideologico.
Dunque una serie di grotte che da
una semplice funzione come luoghi di riparo e ricovero, già nel Paleolitico
superiore e poi soprattutto nell’età del Bronzo hanno avuto funzione simbolica,
rientrando tra i cosiddetti luoghi cultuali, luoghi naturali, decentrati
rispetto agli insediamenti, dove venivano effettuate semplici deposizioni di
oggetti oppure dove si svolgevano rituali di culto più o meno complessi.
La ceramica del Bronzo medio iniziale dalla Grotta della Beata Vergine,
Grotta dei Baffoni e Grotta delle Nottole di Fondarca
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Bibliografia:
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PIGNOCCHI G., MONTANARI A. 2016, La Grotta della Beata Vergine di Frasassi (Genga – AN): vecchi e nuovi dati geo-archeologici, Rivista di Scienze Preistoriche LXVI, pp. 143-180.
PIGNOCCHI G., PANZINI A., SERPENTINI F. 2016, From Frasassi Gorge to The Via Flaminia. Real and Virtual Dimensions of The Local Area and Its Museums, Atti del Convegno “Landscape & Archaeology”, Fano, Fossombrone, Cagli - 23-24-25 giugno 2016, UNISCAPE En-Route - a. I - n. 4, pp. 360-366.
PIGNOCCHI G. 2018, La frequentazione archeologica delle grotte nelle Marche, in P. Boccuccia, R. Gabusi, C. Guarnieri, M. Miari, eds - "...nel sotterraneo Mondo”. La frequentazione delle grotte in Emilia-Romagna tra archeologia, storia e speleologia. Atti del Convegno, Brisighella (RA), 6-7 ottobre 2017. Bologna 2018, pp. 135-148.
PIGNOCCHI G.,MONTANARI A.,MAINIERO M.,MARIANI S.,MCGEE D., CURATOLO A. 2018, Archeometria e studio ambientale di un probabile sito di culto del Paleolitico superiore nella Grotta del Fiume a Frasassi (Marche, Italia), IV Incontro Annuale di Preistoria e Protostoria, Ferrara, pp.7-8.
Grazie "VER SACRUM" per le interessanti pubblicazioni che rendi disponibili in rete!
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