Alcune attività produttive nel territorio del Nerone da metà 800 a metà 900

di Paolo Faraoni 

L’area del Monte Nerone è stata sempre avara di buone terre adatte alla coltivazione. Questo breve racconto sulle attività produttive esistenti a Secchiano tra la fine dell’ottocento e la metà del novecento ci mostra come era possibile “creare” un reddito anche da attività che sembrano lontane anni luce dal mondo di oggi. Oltre all’agricoltura molto scarsa e povera visto i terreni poco fertili, il bestiame da fattoria, galline, pecore, capre conigli e qualche mucca, provvedeva in parte  soddisfare i bisogni delle famiglie di Secchiano nel secolo scorso. Di questa “economia” si occupavano prevalentemente le donne mentre i mariti intraprendevano l’attività di cavallaro o mulattiere e  si occupavano prevalentemente del  trasporto di legna e carbone. A queste classiche attività, il territorio offriva poche altre magre possibilità di reddito tra cui quelle che andremo a raccontare.

Mio nonno Paolo e il mio bisnonno Giuseppe durante i primi anni del novecento gestivano alcune  attività legate ai boschi e al legname e occupavano in queste lavorazioni  tanti lavoratori del paese.  Acquistavano i boschi, li facevano tagliare e vendevano poi o le fascine o il carbone. I boschi non crescevano imponenti come oggi, ed era molto raro trovarne vecchi oltre i venti anni. Ogni sette otto anni si procedeva al taglio, per utilizzare i piccoli fusti come carbonella e come fascine utilizzate nelle fornaci nella produzione della calce, molto richiesta allora perché da sempre sostituta del moderno cemento.


 

 Qui sopra da un diario di mio nonno Paolo possiamo ricostruire l’attività di taglio e gestione di un bosco comperato il  20 Gennaio 1926. Le spese di acquisto pari a Lire 500 e di seguito tutte le altre spese, per i lavori necessari al taglio e alle varie lavorazioni e i compensi di manodopera pagati.

Anche le donne  venivano impiegate in questi lavori pesanti, magari perché rimaste vedove o senza altri redditi. Avere la possibilità di “legare” le fascine era già una fonte di reddito in una società priva di qualsiasi forma di aiuto da parte dello stato. La vecchiaia, quando raramente arrivava, era un problema per chi non aveva una famiglia alle spalle, ma da racconti sentiti, un piatto di minestra o di polenta non veniva mai rifiutato a nessuno. Esisteva una rete di solidarietà paesana, che è durata fino a pochi decenni fa, quando ancora era usanza di assistere ai malati ricoverati in ospedale, con turni assolti da tutte le donne del paese. Insomma non si era mai da soli, e si facevano “le notti” di assistenza  all’ospedale con grande solidarietà e quando uno tornava dall’ospedale era usanza portare a casa alimenti nutrienti quali, bottiglie di marsala o altri alimenti energetici quali lo zucchero, in grado di fare “superare” senza inconvenienti il periodo di convalescenza al malato.

 

La produzione della calce

La calce era un materiale molto richiesto, e al Mulino di Secchiano c’era una fornace utilizzata a questo scopo. Il materiale principale veniva estratto dalla Montarella dei Torri dove si vede ancora parte della cava, e trasportato fino  al mulino con una apposita funivia di cui sono rimasti dei tralicci in ferro lungo il percorso. Il processo produttivo della calce iniziava con l’estrazione del materiale  che  veniva poi inviato tramite teleferica al Mulino dove erano presenti due fornaci con capacità di circa 10 tonnellate ciascuna. Riempite le due fornaci a forma di cilindro, veniva acceso un grande fuoco alla base, alimentato per diversi giorni da fascine, ed era necessaria  la massima attenzione a non fare diminuire la temperatura di questi due grandi forni che periodicamente dovevano poi essere sgomberati da carboni e cenere, e che quindi necessitavano di personale esperto e preparato. A temperature di almeno 800 gradi la pietra calcarea si trasforma, dando luogo alla cosiddetta calce. Il prodotto così ottenuto veniva raffreddato e macinato dando luogo alla calce che veniva usata in edilizia per preparare malte, miscelata con sabbia ed acqua, oppure molto diluita veniva utilizzata come pittura. Questa fiorente e redditizia attività, diventò poi obsoleta con l’avvento del più strutturato cemento e con la nascita dei cementifici a Gubbio.



Nella foto possiamo vedere il percorso del materiale che estratto sui Torri e precisamente alla base della Montarella veniva caricato su dei vagoncini e trasportato al Mulino con l’ausilio di una teleferica. Quaggiù  c’era un edificio adibito a fornace dove subiva i vari processi chimici per diventare calce.

 


    
         

 

Le pietre da macina e da costruzione

Lungo la vallata del Fiume Bosso, si possono ancora vedere, sui fianchi del Monte Petrano e Nerone numerose cave, situate lungo gli affioramenti di Corniola. Questa è  una pietra calcarea di origine sedimentaria, molto dura utilizzata oltre che per opere di costruzione anche per la realizzazione di macine per mulini. Infatti alcuni  filari di questa pietra, avevano alla sommità un strato di almeno quindici centimetri di selce, molto dura e resistente e adatta alla costruzione di macine da mulino.

Con un lavoro molto duro e pericoloso, e con l’aiuto di muli e di tregge il materiale veniva trasportato, alla strada principale e da lì a Cantiano dove già da inizio secolo esisteva la ditta Baldeschi e Sandreani specializzata in produzione di macine e di progettazione di mulini.

 



Il mulino Virgili




Il mulino Virgili è il più recente costruito nella vallata. Dal libro di Virgili Giuseppe ”La strada per Pietralunga” si possono estrapolare notizie importanti riguardo al mulino. Giuseppe ci racconta che venne costruito dal suo bisnonno Pietro, subito dopo l’unità d’Italia, (1861) avvalendosi di artigiani toscani. 

Al bisnonno Pietro subentrò il figlio Biagio padre di una numerosa famiglia che con i maschi Platone, e Desiderio continuò l’attività del mulino, mentre  Petronio si laureò in giurisprudenza a Ferrara nel 1912 ed esercitò la professione di avvocato.

 

Famiglia di Biagio Virgili foto dei prima anni del 900. A sinistra con il cappello il fratello  Pasquale; Biagio è seduto vicino alla moglie Giuseppa Sciamanna, che tiene in braccio il maschietto più piccolo Spartaco morto  da ragazzo. A destra del padre,  Platone ancora bambino,  e dietro Petronio, che stava studiando in seminario, mentre il ragazzo più alto è Desiderio; poi tutte le figlie che a partire da sinistra della foto sono: Caterina, Attilia, Isotta la maggiore, Clelia Elettra e Rachele.


Quadro ad olio di Biagio Virgili

Biagio Virgili sposò Giuseppa Sciamanna a quel tempo di famiglia  benestante perché proprietaria di vari  poderi alle Smirre. Siccome era molto contesa da tanti secchianesi, con un rivale particolarmente tenace, Biagio arrivò persino a una sfida cruenta nel quale ci rimise suo fratello Pasquale ferito ad un braccio. Con l’aiuto finanziario e logistico della moglie, Biagio rimise a nuovo il mulino e potenziò lo sbarramento del vallato utilizzando il legname di grossi faggi provenienti dal podere delle Smirre.  Per decenni tra la fine del 1800 ed il 1900 esso costituì un centro per la macinazione ed il commercio dei cereali e dei mangimi a cui faceva capo tutta le gente della vallata: da quella delle zone delle Serre a quella di Pianello, Moria, Polea, Cerreto e Pieia, Massa, Valdara, Serravalle, Secchiano, Via Stratta, Fosto, Rocca Leonella e a tutta la zona di San Vitale, San Fiorano e quotidiani erano i rapporti con la città di Cagli. Quindi il mulino era il punto naturale di confluenza per le necessità di tutte le popolazioni delle vallate vicine, per la sua posizione strategica vicino alla strada più importante e a pochi chilometri da Cagli, molto frequentata per le fiere, i mercati e per gli approvvigionamenti vari. Questa attività era dunque molto fiorente e permise a Biagio di dare una educazione scolastica a tutti i figli,  femmine comprese. Infatti le figlie che in quel periodo storico difficilmente potevano godere di una istruzione adeguata, studiarono tutte: Clelia Elettra, e Attilia diventarono maestre; Caterina postina, mentre  Isotta gestì un caffè in piazza a Cagli.  Platone studiò da  perito industriale, e infine Petronio che si laureò in giurisprudenza. Al mulino di Secchiano veniva spesso anche Angelo Celli (Cagli 1857 - 1914) amico di Biagio, grande  igienista, e deputato cagliese conosciuto in tutto il mondo per i suoi studi sulla malaria.

Altre notizie sul mulino Virgili, che per diversi anni ha fornito energia elettrica a servizio delle frazioni di Cagli (20 KW) oltre a utilizzare l’elettrificazione per la fase della macinatura,  durante i primi decenni del 900, qui sotto una richiesta di rinnovo della concessione:

 

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI Ufficio del Genio civile di Pesaro. Con decreto Ministeriale 26 giugno 1936-XIV Caterina, Attilia e Clelia di derivare dal torrente « Bosso » in comune di Cagli, la portata di mod. 5, per produrre col salto di In- 3.20 la potenza nominale di HP 21-33 nel solo periodo da novembre a luglio di ogni anno, per azionare un molino di sua proprietà e ciò a rinnovazione della concessione assentita, salvi i diritti di terzi, alla ditta Virgili, n. 4218, è concesso Desiderio, Platone, Petronio, Isotta, Rachele, alla ditta sua dante causa Virgili Biagio e Pasquale e Sciamanno Giuseppe con decreto Prefettizio 22 marzo Igo5 n. 1318, scaduta il 31 dicembre 1934· La concessione è accordata per anni 3o successivi e continui decorrenti dal 16 gennaio 1935, data immediatamente successiva a quella di scadenza della concessione originaria subordinatamente all'osservanza delle condizioni contenute nel disciplinare 16 marzo 1936 e verso il pagamento del canone annuo di L. 191,97. DISCIPLINARE (Omissis). Art. 7. -Garanzie da osservarsi. Saranno a carico della ditta concessionaria eseguite e mantenute tutte le opere necessarie, sia per attraversamenti di strade, canali, scoli e simili, sia per le difese della proprietà e del buon regime del torrente Bosso in dipendenza della concessa derivazione. Pesaro, 3o giugno 1936 - Anno XIV 592 (A pagamento). L'ingegnere capo: C. Braussi.

 


   
              

   
     
Questo breve racconto a dimostrazione di come erano sviluppate le sinergie tra quello che si poteva trovare sul territorio e le attività umane necessarie poi al mantenimento delle allora numerose famiglie presenti. Gli elementi principali quali, acqua, pietra, e bosco partecipavano attivamente e generosamente al ciclo vitale ed avevano un ruolo fondamentale al sostentamento famigliare.

Altri tempi che sembrano lontanissimi, ma nulla è per sempre e nulla è sicuro come dimostra la terribile pandemia a cui assistiamo impotenti. Conviene non perdere la memoria di quello che è stato, potrebbe anche tornarci utile in futuro.

 

Paolo Faraoni Aprile – 2021- (tratto dal libro Secchiano nel cuore).

Ringrazio Desiderio Virgili per l’aiuto nella ricerca della documentazione storica.

 

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