La
Madonna del Carmelo di Apecchio
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Entriamo nella storia del Ducato di Urbino nei primi anni del 1600. Erano passati i brutti periodi che avevano visto l’usurpante dominio di Cesare Borgia e quello ecclesiastico di Lorenzino dei Medici, che avevano costretto i duchi Guidubaldo I e Francesco Maria I a periodi di esilio e tutti i feudatari a scappare o sottoporsi alla loro autorità. Quelli che non l’avevano fatto, come Federico Brancaleoni della Rocca di Piobbico nel 1517, avevano subito il sequestro dei propri beni e il taglio della testa nella piazza di Urbino. Era passato Guidubaldo II che aveva imposto con la forza tasse pesantissime, facendo impiccare a Pesaro gli ambasciatori che Urbino aveva mandato per protestare. Ora, sotto il dominio del buon duca Francesco Maria II della Rovere, con il passare degli anni il problema più grande era quello di avere un successore per far sì che lo Stato non ritornasse nelle mani del Papa, e in fine il 16 maggio 1605, sia pure in ritardo, la duchessa Livia aveva dato alla luce il sospirato erede Federico Ubaldo. Giovan Battista Bettini, maggiordomo del duca a Pesaro, così scrisse:
“È
nato il Principe di Urbino, sia lodato Iddio. Sono stato il secondo a pigliarlo
nelle mie braccia et pianto per allegreza, la signora duchessa sta benissimo,
il putto è bellissimo, grande, comincia subito a piangere e a girare gli occhi
suoi come persona grande. Altro non posso scrivere che non sto in me per
l’allegreza et perciò mi scusino et bascio le mane”.
Passiamo
ora a parlare della Contea di Apecchio. Assieme a quella di Carpegna erano le
uniche che godevano di piena autonomia, infatti saranno le sole che
continueranno ad esistere per altri centoventi anni dopo la fine del ducato. In
questo racconto parleremo del conte Gentile II Ubaldini, il personaggio che più
spicca all’inizio del 1600.
Di lui e di questo periodo si parla ampiamente nel libro di Mons. Berliocchi “ Quando c’erano le torri, Apecchio tra Conti, Duchi e Prelati”. Si racconta quando, ancora giovane, contrasse alcuni debiti, mettendo in imbarazzo anche il padre, si parla anche di quando, diventato adulto, seppe dirigere con polso fermo la Contea, adeguando alle necessità che via via si presentavano, i vecchi codici di leggi dati da Ottaviano Ubaldini nel 1494. Si racconta anche della sua morte, per la quale, lui stesso, aveva disposto il funerale, accompagnato da 13 preti con 13 torce. Noi con questa ricerca cercheremo di aggiungere degli aspetti nuovi di Gentile II, scoperti di recente nell’archivio Ubaldini di Urbino, che ci hanno ricollegato alla storia di questo quadro.
Di lui e di questo periodo si parla ampiamente nel libro di Mons. Berliocchi “ Quando c’erano le torri, Apecchio tra Conti, Duchi e Prelati”. Si racconta quando, ancora giovane, contrasse alcuni debiti, mettendo in imbarazzo anche il padre, si parla anche di quando, diventato adulto, seppe dirigere con polso fermo la Contea, adeguando alle necessità che via via si presentavano, i vecchi codici di leggi dati da Ottaviano Ubaldini nel 1494. Si racconta anche della sua morte, per la quale, lui stesso, aveva disposto il funerale, accompagnato da 13 preti con 13 torce. Noi con questa ricerca cercheremo di aggiungere degli aspetti nuovi di Gentile II, scoperti di recente nell’archivio Ubaldini di Urbino, che ci hanno ricollegato alla storia di questo quadro.
Aveva
sposato in seconde nozze la nobile Cecilia Amici di Senigallia, dalla quale
aveva avuto due maschi, Gentile III e Ottaviano.
A
proposito del piccolo Gentile abbiamo trovato alcuni documenti interessanti che
vogliamo proporvi; il primo riguarda la nascita e dice così:
“Nacque
il Conte Gentile Ubaldini in giorno di domenica, li 9 del mese di settembre
l’anno 1601 e gli fu posto il nome del padre che aveva nome Gentile, e da
Cecilia Amici, famiglia delle più nobili della Marca, seconda consorte di
Gentile, e fu battezzato li 10 dello stesso mese. Nacque come dissi in
Apecchio, diocesi di Città di Castello. Il luogo è murato, civile e popolato
per quanto comporta la condizione del sito aspro fra l’Alpi nel declinare del
giogo dell’ Appennino che soprasta al Borgo San Sepolcro e a Città di Castello.
E’ a capo di Massa Vaccareccia, perciò l’ Arme della Comunità è una vacca con
un picchio in groppa, picciola Provincetta e antichissima signoria degli
Ubaldini ed è il ramo più illustre e famoso nelle istorie, tra gl’altri molti
della casa. La suddetta Vaccareccia è bagnata da tre fiumi: Vescubio,
Candigliano e Menatoro. Ripiena di villaggi e con molte castella in
particolare: Apecchio, La Carda, Seravalle, Vergonzano, Rocca Leonella,
Valbuscosa, Pietragialla, Montefiore, Fagnille, Basciuccheto, Monte Vicino,
Castiglione e Monte Forno, in mezzo dè
quali è Apecchio e quivi nacque Gentile, con pericolo della vita della madre.
Fu educato nella puerizia sotto la disciplina di buoni maestri, che li provvide
il padre et in breve se ne vide il profitto in tutte le arti”.
Nel 1607 il Ducato di Urbino venne colpito
da un’epidemia di vaiolo e il duca per salvaguardare l’incolumità dell’unico
figlio, lo fece allontanare dalla città. Era tenuto a Casteldurante, dove era
amorevolmente custodito dalla sua balia, la contessa Vittoria Tortora
Santinelli, ma “il 5 di maggio fu riportato a Urbino poiché qui si erano
scoperti dei varoli assai cattivi”. Il 4 giugno “ritornò a Casteldurante per
essersi scoperti a Urbino varoli di mala qualità”. Purtroppo in questo periodo
anche il duchino era rimasto contagiato dalla malattia, venne curato dai
migliori medici del ducato, il Bassoia, medico personale del duca, Rinaldo
Moco, Giulio Oddi, Flaminio Palma, che erano accorsi dalle principali città
feltresche, arrivò addirittura Piergiorgio Lampugnano, medico personale del duca
di Parma. Constatata l’inutilità delle cure, per cambiare aria fu portato a
stare a Berticchio. Poi visto che il principino si era ulteriormente aggravato
“il 2 luglio si mandò Federigo ad Apecchi per l’accrescimento di varoli maligni
che ogni dì per tutti quest’altri luoghi crescevano”.
Federico
Ubaldo della Rovere
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Riportiamo un brano di una lettera spedita
da Urbino al granduca di Toscana Cosimo II dei Medici, per informarlo sulla
salute del duchino Federico Ubaldo poiché questi già all’età di sei anni era
stato fidanzato con Claudia dei Medici, sorella di Cosimo, di cinque anni. La
lettera dice così:
“Il
Sig. Principe cominciò ad avere un poco l’inappetenza con un poco di raucedine
e di scesa sul collo, poi ebbe un po’ di febbre e cominciarono a comparire
alcuni varoli nella testa e nel viso e dopo in maggior copia per tutta la vita
e in parte nel petto e nella schiena“.
Quindi
Federico Ubaldo fu spedito ad Apecchio dove nel giro di tre mesi con sorpresa
di tutti guarì completamente dalla sua malattia. “Si pensava che se anche fosse
guarito gli sarebbe rimasto il bel faccino bucato dal vaiolo, ma poi
prodigiosamente i varoli seccarono di furia e Federichino tornò a crescere a
‘occhiate’ robusto e compagnevole al massimo”. Perché venne mandato ad Apecchio
e non altrove, con tutti i luoghi belli e lussuosi che possedeva il ducato? Per
almeno tre buoni motivi:
Primo:
il Duca riteneva che mandarlo in casa del Conte Gentile, sarebbe stato al
sicuro come in casa propria, poiché la fiducia che aveva verso il Conte era
grandissima, come vedremo in seguito, inoltre possedeva un lussuoso palazzo che
aveva appena finito di sistemare, adatto al modo in cui il duchino era abituato
a vivere.
Secondo:
ed è un fattore molto importante, il territorio d’Apecchio era ed è tuttora
ricchissimo di sorgenti solfuree, considerate da sempre un toccasana per la
cure della pelle. Le varie fonti: delle Vaie, del Gatto, della Taverna, di Pian
di Lupino e della Piscina Nera producevano fresche acque e preziosi fanghi neri
che gli apecchiesi da sempre usavano per curare piaghe e ferite.
Terzo:
avrebbe potuto usufruire per non annoiarsi, della compagnia di uno dei figli
del Conte, che gli era quasi coetaneo e che portava lo stesso nome del Padre.
Federichino
Ubaldo e Gentile III in questa estate apecchiese dettero sfogo alla loro
esuberanza giovanile combinandone di tutti i colori. Il prossimo documento
riguarda appunto i rapporti trascorsi ad Apecchio tra Gentile e il piccolo
principe Federico:
“Gentile
Ubaldini, figliolo di Gentile Ubaldini Conte d’Apecchio, Pietragialla e
Montefiore, di anni 7 incirca, ebbe la conversazione domestica di Federico
Principe d’Urbino, figliolo di Francesco Maria, Duca d’Urbino, per lo spazio di
due mesi e mezzo continui che stanziò in Apecchio apresso il Conte Gentile suo
padre, dalli 2 di luglio fino alli 19 di settembre, andando con il Principe
d’Urbino a spasso, con meraviglia degli Apecchiesi, sopra una bella carrozzina
tirata da un gran cane di Bertagna, che la Marchesa Camilla Malvezzi, madre del
Marchese Chiapio Vitelli, aveva fatto venire da Fiorenza e donatala al Principe
d’Urbino mentre dimorava in Apecchio“.
Gentile
Ubaldini da grande si trasferì a Roma al seguito del cugino Cardinale Roberto,
si fece frate col nome di Fra Girolamo e successivamente prese i voti col nome
di Padre Agostino. Fu preposto della Chiesa di San Biagio in Montecitorio, dopo
aver insegnato nelle scuole religiose più importanti d’Italia, rifiutò gli
Arcivescovati di Avignone e di Amalfi offertigli da Papa Innocenzo X, per non
allontanarsi troppo da Roma, di dove assicurava benessere e prosperità alla
Contea di Apecchio che era stata affidata al suo posto al fratello minore
Ottaviano III.
Ritorniamo
a parlare del quadro cercando di spiegarne i personaggi che ci sono rappresentati.
E’ intitolato alla Madonna del Carmine; più in basso vi sono tre personaggi
reali, sulla destra, contrapposti a tre Santi sulla sinistra.
Il conte Gentile dimostra la sua particolare devozione a San Francesco |
Il
primo in alto a destra vestito con il saio francescano è il Conte d’Apecchio
Gentile II. E’ contrapposto a San Francesco, perché lo riteneva il suo
protettore, la sua guida spirituale, lo specchio su cui basare la propria vita.
In questa pieve fece costruire la cappella dedicata a San Francesco e nella
quale chiese di essere sepolto vestito solo del saio francescano.
Ma vediamo che
tipo era questo pacioccone barbuto, applicatore inflessibile delle leggi
nell’amministrazione della giustizia. Aveva bandito la bestemmia e a chi veniva
colto in flagrante veniva forata la lingua e imprigionata tra due stecche di
legno. Godeva della massima fiducia del Duca, che gliela dimostrava in ogni
occasione di bisogno.
Era
usanza del Duca dare delle patenti di comando ogni qualvolta se ne presentava
la necessità. Incaricando del comando, persone della massima fiducia; per
l’appunto il Conte Gentile che sembrava averne il monopolio come si può vedere
da questi documenti:
“Il
duca d’Urbino spedì patente al Conte Gentile II Ubaldini in Apecchio li 22
giugno 1584, nella quale comanda che il Conte Gentile sia obbedito come la
Persona Propria del Duca, volendo che abbia ogni maggiore autorità che sia mai
solita darsi in quella carica, inserendosi nella patente per motivo, essere
destinato a uno dei principali governi quale era il governo dell’armi della
città e fortezza di Sinigalia, che il Duca di Urbino abbia nel suo stato, e che
ha cercato di eleggere persona non solo di valore, fede e diligenza, ma che sia
acompagnata da autorità e rispetto.”
“In
data 19 giugno 1590 spedì il Duca d’Urbino patente ducale al Conte Gentile II
degli Ubaldini, di potere comandare a ministri e offiziali e d’essere obbedito
come la Persona Propria nella provincia di Massa. Patente fatta con occasione
d’un certo numero di banditi presenti in loco”.
“In
quest’anno 1595 il Duca d’Urbino spedì li 4 giugno Patente Ducale, dove si vede
il sudetto Duca, dichiara il Conte Gentile II Ubaldini d’Apecchio, suo Comisario
Generale nelle città di Pesaro e Sinigalia e ne loro territori, con piena
autorità come la Persona Propria del Duca, per il passaggio delle genti
ecclesiastiche di Papa Clemente VIII ch’andavano in Ungaria”.
“Il
dì ultimo di novembre 1597 per il passaggio d’altri soldati ecclesiastici per
lo Stato d’Urbino, fu spedita patente al Conte Gentile Ubaldini d’Apecchio e
dichiarato dal Duca d’Urbino: Comisario Generale nelle città di Gubbio, Cagli,
Urbino, Fossombrone, Massa, Montefeltro e loro territori, con darle suprema
autorità di comandare a tutti e specialmente agl’altri Comisari, Capitani,
Offiziali e milizie, e che sieno tenuti d’obedire agl’ordini del Conte Gentile,
non meno che fossero dati dallo stesso Duca”.
Preciso
che l’esercito ducale era composto di cinquemila soldati, numerosi colonnelli e
quaranta svizzeri come guardia personale del duca.
Quindi il Duca
nelle situazioni di pericolo era solito affidarsi al Conte d’Apecchio, ma era
pronto anche a gratificarlo pubblicamente quando se ne presentava l’occasione,
come dimostrano alcuni altri documenti:
“Anno 1597 hebbe
ancora il Conte Gentile Ubaldini la provisione di Gentile Huomo da Cocchio del
Duca, ancorché assente dalla Corte e residente nella sua Giurisdizione o
altrove. Favore molto singolare ne ad altro Cavaliere o titolato, concesso, se
non al Conte Horazio di Carpegna”.
“Il Conte Gentile
Ubaldini nel mese di novembre asistè al Battesimo solenne del Principe Federico
figlio del Duca d’Urbino, nato li 16 di maggio, e il Duca fece trattenere il
Conte Gentile a mangiare seco publicamente”.
In questa
cerimonia il conte di Apecchio era addetto a reggere l’orciolo d’argento con
l’acqua battesimale.
“Fu eletto il
Conte Gentile d’Apecchio dal Duca d’Urbino, come Capitano della scorta e per
compagno della Marchesa del Vasto, sorella del Duca, nel viaggio di ritorno da
Napoli”.
“Il Conte Gentile
di Apecchio, operò in modo apresso il Duca d’Urbino, che Timocrate Aloigi, suo
suddito nato in Apecchio, fosse eletto da Papa Paolo V, Vescovo di Cagli per
nominazione del Duca, al cui servizio era stato per lungo tempo in Roma.”
Il duca affida lo scettro del potere al vescovo, cioè alla Chiesa
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Passando ai
personaggi seguenti, troviamo il Duca d’Urbino, Francesco Maria II della Rovere
contrapposto a San Benedetto Vescovo. Perché San Benedetto?
Perché il Duca
preferiva abitare nel suo palazzo di Urbania, piuttosto che in Urbino, e li era
protettore dell’Abbazia di San Cristoforo al Ponte, appunto Benedettina.
Lo vediamo
raffigurato con indosso tutti i simboli del suo potere. Lo scettro del comando
in mano, che sta porgendo verso il Vescovo in atto di palese sottomissione alla
Chiesa. Indossa l’ermellino, infatti i Duchi d’Urbino erano stati insigniti
“dell’Ordine dell’Ermellino” dal Re di
Napoli nella persona di Federico da Montefeltro; come possiamo vedere porta
anche il Tosone d’oro, un’enorme collana d’oro massiccio donatagli dal Re di
Spagna il 2 maggio 1585 in segno di ammirazione e gratitudine per i servizi
resigli in guerra, collana con la quale venne sepolto in Urbania e che forse fu
causa della scomparsa del suo corpo come risulta nella storia di Casteldurante.
Gli stessi gigli che adornano la sua veste, che hanno tratto in inganno
qualcuno facendogli pensare che si trattasse di San Luigi di Francia, sono
simboli del suo potere. La madre del Duca era Vittoria Farnese e aveva nel suo
stemma principesco i gigli di Francia, perciò dimostrare la parentela con una
famiglia che aveva Dignità Sovrana e che poteva vantare di aver avuto un Papa,
Paolo III e vari Cardinali, era per lui molto importante.
In fondo troviamo
il Principino Federico Ubaldo in contrapposizione con San Carlo Borromeo. Un
Santo questi, considerato di famiglia poiché un suo fratello aveva sposato
Virgina, sorella di Francesco Maria. Pochi anni prima, nel 1579, era stato
ospite del Ducato di Urbino, e aveva lasciato una forte impressione su tutto il
territorio tanto che ogni Chiesa aveva fatto dipingere quadri in suo onore.
Anche Federichino offre la sua corona, come atto di sottomissione alla Chiesa,
forse dimostrando una premonizione per quello che sarebbe successo, infatti la
prematura morte del Principe, avvenuta a soli 18 anni nel giugno del 1623, fece
si che il Ducato, senza eredi, ritornasse sotto il dominio della Santa Sede.
Il principino è affidato alla protezione di San Carlo Borromeo
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Un ultimo
particolare da osservare nel quadro, sono gli angeli in alto. Se tutti gli
interessati dovevano esservi riprodotti, si ritiene che nei due angeli di
sinistra siano raffigurati i volti della contessa Cecilia e del piccolo
Ottaviano, mentre a destra sarebbe ritratto il giovane Gentile.
Le cose dette
finora potrebbero sembrare solo delle supposizioni, e lo sarebbero se non
fossero supportate dai seguenti documenti; il primo trovato nell’archivio di
Palazzo Ubaldini in Urbino dice così:
“Il Duca d’Urbino
in segno di straordinaria confidenza e amore, mandò li 2 luglio 1607 il
Principe Federico, suo figlio, in Apecchio in casa del Conte Gentile Ubaldini,
dove dimorò assieme con la sua consorte fino alli 19 di settembre,
concorrendovi di continuo genti da tutto lo Stato. Di questo fatto apparisce
nobile attestazione in un quadro ben grande, fatto dipingere dal medesimo Conte
Gentile e da lui collocato nella galleria della magnifica sua abitazione in
Apecchio. A questo è stata posta un’iscrizione rappresentante la verità del
seguito a perpetua memoria.”
Il secondo è nel
volume manoscritto del Certini Memorie
istoriche di 30 famiglie, redatto nell’anno 1716, dove l’autore dice di
aver veduto nelle sale del Palazzo di Apecchio, gran copia di quadri, e ricopiò
le didascalie di quelli dei membri della famiglia; prosegue poi dicendo di aver
visto un grande quadro dove erano raffigurati vari personaggi non decifrati con
la seguente iscrizione:
“Adi 2 luglio
1607, piacque al Serenissimo Francesco Maria, Duca d’Urbino, con l’occasione
dei mali varoli c’attorno erano, mandare il Sig. Federico Principe, in Apecchio
in casa del Sig. Conte Gentile Ubaldini, dove stette con la sua consorte
persino alli 19 settembre 1607 per Dio grazia con sanità et acquisto nella sua
persona, conforme il ritratto che a perpetua memoria è fatto fare dal Sig.
Conte”.
Lo stesso quadro è
registrato all’archivio Capitolare di Città di Castello nel volume
contrassegnato VB 28.
Dove sono finiti
tutti quei quadri visti dal Certini? A questo proposito si possono solo
formulare delle ipotesi. Forse la moglie dell’ultimo conte di Apecchio Federico
II li portò via facendoli in seguito sparire, se invece fossero rimasti nel
palazzo, è necessario segnalere che il 10 dicembre 1841 Papa Gregorio XVI
concesse la dimora degli Ubaldini al comune per destinarlo a sede Municipale, e
in quell’occasione per la formazione degli uffici furono tolti gli arredi, è
possibile che il grande quadro in cui era raffigurata la Madonna con dei Santi
fosse preso dall’arciprete e messo in chiesa, infatti quella attuale è una
sistemazione posticcia e rimediata, non essendo mai stato posto in un altare.
Mentre gli altri quadri raffiguranti personaggi che non interessavano più
nessuno, è probabile che siano stati portati altrove o magari venduti in blocco
a qualche rigattiere. Ne è la prova il fatto che uno di questi, quello di
Bernardino Ubaldini della Carda, è stato ritrovato in un negozio di
antiquariato a Rimini e acquistato dal signor Massimo Fortini. Fatto sta che
Apecchio in quell’occasione perse un patrimonio di altissimo valore artistico e
soprattutto storico.
Vediamo ora che
fine ha fatto crescendo questo piccolo principe, per il quale tutti si erano
dati un gran da fare e che rappresentava le speranze di tutto il ducato di Urbino.
A diciassette
anni, nel 1621, Federico Ubaldo sposa Claudia dei Medici dalla quale ha una
figlia, Vittoria. In seguito, riempie la vita di bravate assurde, “ha due
figlie illegittime, una delle quali la uccide investendola guidando una
carrozza tirata da diciotto cavalli; gira di notte sparacchiando con un
terribile schioppetto; è come un grosso bambino irresponsabile e viziato che
adora il lusso, i soldi, le donne e l’inutilità”. La madre Livia gli diceva: “a
voi ci vorrebbe la borsa del re di Spagna”. Si innamora di una attrice di
strada chiamata Argentina, per lei dimentica tutto, ducato, decoro, madre,
padre, moglie, figlia, quando la moglie lo riprende lui risponde assestandole
due schiaffi, alla presenza della contessa di Carpegna e della marchesa Onorata
Piccolomini. Va a vivere con i guitti, amici dell’amante, e fa l’attore di
strada davanti ai suoi sudditi che lo applaudono come l’attore più bravo del
mondo. Il padre Francesco Maria per tentare di modificarne il carattere,
raccomandava al figlio “di non impicciarsi degli acidenti del mondo, rimanere
in intrinsichezza e collegatione con i Principi d’Italia, coltivare l’amicizia
della Spagna, tenersi buoni i francesi, item il Papa, etiam i nipoti del Papa,
similiter i cardinali che papeggiano e non lasciar spadroneggiare i preti, anzi
tutt’altro, gli ripeteva: lasciateli attendere all’offitio loro e voi attendete
al vostro senza l’aiuto di essi”. Delle donne gli diceva: “sono creature
lunatiche e uterine di una grande imbecillità. Quelle intelligenti sono rare e
in esse l’intelligenza si accoppia all’intrigo. A vostra sposa siate sempre
amorevolissimo ma non lasciate che si ingerisca in cose del governo”.
Concludeva: “ora con l’aiuto divino entrate a supportare questo peso
alegramente, che io alegramente starò aspettando il mio fine”.
Purtroppo la fine
venne invece per Federico Ubaldo. Dicono le cronache che “un mese prima della
sua morte un nugolo di farfalle attraversò tutto il ducato dirette al mare e
che in una grotta della Scheggia, all’interno della quale vi erano stalattiti a
forma dell’armi del ducato, si trasformorono d’improvviso nell’armi del Papa”.
Questi fatti,
interpretati come segnali di sventura, si avverarono, poiché il 28 giugno 1623
andò normalmente a dormire e la mattina il suo cameriere lo trovò morto “con
copiosa schiuma che gli usciva dalla bocca, nel voltarlo per soccorrerlo, gettò
per bocca molta materia puzzolente et il collo era in maniera che pareva come
strangolato con la parte manca tutta nera. Di che cosa morì? Forse per lo
sforzo di aver portato la sera prima in spalla sei giocolieri, forse di una
pietanza col veleno destinata all’Argentina, forse per violentissimo catarro,
oppure soffocato da sei uomini incogniti di toscana pronuncia che in quei
giorni s’aggiravano per Urbino”. Il duca suo padre quando fu avvertito della
morte del figlio, disse: “chi nasce di miracolo, muore di schianto. Dominus
dedit, Domine abstulit, sit nomen Domini benedictum”.
Durante un
sopralluogo della Soprintendenza ai Beni Culturali delle Marche, personale
addetto alla catalogazione delle opere, ha attribuito il quadro della Madonna
del Carmelo a Federico Zuccari, che lo avrebbe dipinto negli ultimi anni della
sua vita. Un ulteriore studio condotto dalla dottoressa Bonita Cleri,
insegnante di storia dell’arte all’università di Urbino, lo avrebbe invece
attribuito a Giovangiacomo Pandolfi, pittore di Pesaro.
Ceramica policroma posta all’ingresso della pieve di Apecchio sulla quale esiste uno studio del signor Giuseppe Lumbrici.
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Lo stemma centrale
è il simbolo dell’arcipretura di Apecchio, ai lati sono rappresentate le effigi
della famiglia Ubaldini nei loro stemmi particolari ecclesiastico e nobiliare.
Bibliografia
- Archivio
Capitolare di Città di Castello, Vol. VB 28, Quadro Madonna del Carmelo di
Apecchio.
- Archivio Ubaldini
di Urbino.
- Berliocchi
Camillo, Quando c’erano le torri,
Apecchio tra conti, duchi e prelati.
- Bei Leonello, Le origini di Apecchio.
- Certini A., Memorie istoriche di XXX famiglie, 1716.
- Diario di Francesco Maria II della Rovere.
- Menichetti P.L., Storia di Gubbio.
- Pirenne Henry, Maometto e Carlo Magno.
- Solari G., Ventidue storie dei duchi di Urbino
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