Alla ricerca dei toponimi di Secchiano e dintorni



(breve viaggio in tempi e luoghi di cui si è persa la memoria)


di Paolo Faraoni 



Figura 1- foto di Benedetto Lucarelli

 In questa nota si fa un breve racconto di qualche episodio di vita degli anni tra le due guerre, quando il paese di Secchiano si prolungava fino alle montagne circostanti, e ogni poggio, valle, prato e macchia aveva il suo nome (toponomastica) e il suo proprietario.
    Tutti i pezzi di terreno di proprietà facevano parte integrante della famiglia che li possedeva, e ogni metro di Montagnola (il monte di Secchiano) era coccolato, ripulito, controllato e in tempo di fienagione, vissuto come fosse una pertinenza della casa.
    Tutte le proprietà servivano al mantenimento della famiglia, e in quei tempi in cui i soldi erano veramente scarsi, anche il melo del campo, aveva la sua preziosa funzione di procurare i frutti utilizzati in inverno e riposti religiosamente nei magazzini, ovvero nelle stanze ora adibite a sale e salotti.
    C’era una interazione continua tra gli abitanti del paese e l’ambiente circostante, e molta popolazione viveva e passava le giornate, nei boschi, nelle vigne, nei campi e sulle valli. Chi tagliava le macchie, chi pascolava le pecore, chi potava le viti, chi arava, chi smacchiava con i muli, era tutto un brulicare di gente che trascorreva molta parte della vita all’aria aperta.
    Ora sono pochi i sentieri praticabili e il bosco si è ripreso quasi tutti i campi di una volta. Solo qualche nome di luogo rimane a ricordo di vecchie e solidali collaborazioni vissute tra gli uomini e le montagne, i campi, i ranchi, le genghe, le macchie le vigne di cui si è persa la memoria

    Mi sembra quindi giusto recuperarne almeno alcuni che abbiamo sentito pronunciare dai nostri padri e nonni prima che si perda tutto nell’oblio.
  


Anni fa quando si ascoltavano le discussioni delle persone del paese era frequente sentire i nomi di luoghi e posti che oggi non ricorda più nessuno. Il taglio dei boschi della Scortatora, e di Carpneta, i funghi trovati sopra il Traforat, le bevute di acqua fresca fatte alla Font del capatò, la spignolaia del Pass d’Pietron, e i muli che pascolavano sopra la Piazza dei Somari. Quando a piedi si tornava dalla Montagnola dopo essere andati a funghi, si passava per la viarella  Sotta l’ Balz e dopo una bella bevuta alla Font Vecchia si arrivava a Via Strada, dove si incontava spesso  Marino che chiedeva: <>  Noi << si Marino quelle maremmane dai corni lunghi erano sul Pian del Tegolà, ma alcune erano  verso Pietratonda e a Coll Long.>>  Marino:<< ma all’Erm non c’erano le bestiole?>>  Noi: << Si Marino un po di cavalli, anche sul Pur e sul Varc >> Marino <  da che turaie vengono?>> Noi: < 
del Prat dla Luigiotta, e dle Cim del Mont.
    Questi grossi gli abbiamo trovati invece sui Prati d’Biagiola e sopra il Traforat. Nella Paganella ancora niente, e i turi gentili di Coll Long ancora sono indietro. Quest’anno non si è trovato nemmeno uno spignolo a Pian d’Sorb e sul Captel, ma molti sulla Val Canella.>>
    Per non perdere definitivamente questo patrimonio da sempre appartenuto ai nostri avi che hanno vissuto e percorso nei secoli, tutti questi luoghi del territorio ho cercato di fare una mappa più o meno precisa dove collocare i toponimi storici grazie soprattutto alla collaborazione di Benito Guiducci che con mente fresca da diciottenne ha ripercorso mentalmente tutti i luoghi della sua giovinezza.
    Caro Benito, in tutti questi anni mi sono sempre appuntato nel diario della memoria tutti i tuoi racconti e le storie che hai vissuto a Secchiano nella tua giovinezza. Gli anni prima della seconda guerra mondiale, quando tutto era diverso da oggi. Allora possedere un fazzoletto di terra era fondamentale per sopravvivere e per fare crescere i tanti figli di cui era composta ogni famiglia. Si lavoravano orti ovunque era possibile farlo, anche nei posti più impervi (Gli ortaggi, l’Ort d’Tutlin,) e decine di persone abitavano a Ca’Giovanni, a Fosto e Via Strada e a San Vitale mentre a Secchiano si superavano ampiamente i 600 abitanti (contro i 200 di adesso).
    Oltre alle persone, le case e le stalle del piano terra, erano abitate dagli animali di famiglia. Tutti avevano le galline, i conigli il maiale e non mancavano muli, somari e mucche per il latte e buoi per arare i campi. Inoltre c’erano le pecore, tre quattro per famiglia, per un totale di due o trecento in tutto il paese. I maiali venivano presi piccoletti alla fiera a Cagli (più erano piccoli e meno costavano e così si risparmiava qualche lira) poi fatti crescere a ghiande e pastoni di cereali.  E non era certo facile trovare le ghiande, perché tutti se le litigavano fin dalla mattina presto.
    Era una battaglia continua per la ricerca della frasca, della fascina, della legna, e anche l’erba era preziosa e non se ne lasciava nemmeno un filo. Si falciavano tutti i prati possibili, le coste, la Montagnola e fatta seccare diventava fieno, alimento prezioso per le bestie durante l’inverno. Caro Benito, mi sembra di vederla la scena che mi hai raccontato, quando tu e tuo padre partiti da Ca’Giovanni, fino alle coste della Montagnola e legato con una corda tuo padre, per non farlo cadere dalla balza, avete potuto raccogliere una balla d’erba per i muletti, perché anche allevare i muletti era un lavoro. Se ne prendevano due o tre molto piccoli, e si facevano crescere, e non era certo facile perché tutti proteggevano i loro terreni, i boschi non erano certo come oggi, le piante si  facevano crescere solo alcuni anni per poi tagliarle ancora piccole per fare le fascine e nel frattempo che crescevano era proibitissimo mandare le bestie nella tagliata….c’erano i campi della parrocchia sorvegliati dal prete, le macchie della Villa sorvegliate da un guardiano…e se si prendeva una multa si perdeva il guadagno di mesi.
    E il guardiano non faceva sconti…non si curava dell’estremo bisogno in cui versavano molti abitanti, delle necessità di fare mangiare qualche cosa alle loro povere bestie, muli, asini, mucche che si aggiravano sempre affamate nei ripidi pendii delle montagne circostanti il paese. Il maiale poi era l’unico salvacondotto per riuscire a svernare. Se diventava bello grasso si poteva integrare quel poco di pane e formaggio anche con qualche salsiccia, lardo e prosciutto, ma se moriva era la disperazione. Succedeva anche questo, e allora l’unica speranza era andare dal Molinaro che era sempre generoso e faceva credito di un quintale di farina con la quale si faceva il pane e si andava avanti con quello…pane e formaggio e qualche zuppa. Le pecore del paese venivano portate al pascolo tutte insieme e c’era a turno, un proprietario che le pascolava, quindi ogni famiglia a rotazione, mandava al mattino un figlio a portare, tutte le pecore verso la Montagnola che era il monte di Secchiano. Alla sera quando tornavano, le intelligenti pecorelle si dividevano e tornavano alle loro stalle da sole.
    Qualche famiglia benestante si faceva aiutare da qualche ragazzo più volenteroso e bisognoso e alla fine della stagione lo chiamava a casa e preparava per lui una bisaccia di cose da mangiare. C’era la padrona di casa meno avara, che metteva tante cose, pagnotta di pane bianco, bottiglione di vino, forma di formaggio, qualche salamino, noci, mele…ma anche altre meno generose. Con queste cose si aiutava la famiglia, sempre numerosa e bisognosa. Tutto veniva raccolto e conservato gelosamente nei magazzini per l’inverno. Mele, sorbe, noci niente sfuggiva al controllo di ogni famiglia, e le piante da frutto sparse nei campi erano controllate a vista. E chi aveva poco, aspettava la notte ventosa che faceva cadere le noci e via, nella notte fonda, a tastoni sotto le piante ad anticipare la padrona che era sempre quella più sveglia e attenta alla salvaguardia dei frutti del campo. Gli orti poi erano protetti come se nascondessero oro fino. Fratte di spini, filo spinato, cancelli sbarrati, ogni più piccolo pertugio veniva chiuso e sigillato che nemmeno un passero poteva passare. Eppure la fame faceva violare anche queste estreme barriere……si trovava spesso un punto debole e allora era un arraffare di pomodori ancora verdi, cetrioli di pochi centimetri e tutto quello che poteva essere mangiato veniva arraffato e preso.
    Quando si andava a pascolare le pecore si partiva il mattino con in tasca un piccolo pezzo di pane e un più piccolo pezzettino di formaggio. Questo era il menu giornaliero. Quindi era tutto un integrare……le more si mangiavano già da rosse, le mele di qualche centimetro di diametro erano già buone, e buoni erano anche i fiorellini rosa delle boinaghe.
    Una fortuna famigliare era quella di mettere un figlio in seminario dai frati. In primis c’era una bocca in meno da sfamare e poi, da grande un frate era sempre una benedizione per la famiglia. Diventare prete era più difficile per i lunghi studi in seminari, ma poteva essere veramente la svolta. Molti ragazzini del paese sono diventati fraticelli e preti, e quelli che non hanno poi resistito hanno sempre potuto usufruire degli studi fatti in seminario, per occupare poi i tanti uffici statali particolarmente bisognosi di personale.
    Il paese era pieno di stalle di muli e il lavoro di mulattiere era un classico, infatti molti uomini partivano per smacchiare in Maremma per molti mesi all’anno e quelli che non erano mulattieri potevano diventare o boscaioli o carbonai. Nulla veniva sprecato, del formaggio si mangiava tutto, dopo una pulitina alla crosta. I sorbi venivano raccolti rossi e gialli ancora immaturi, e messi a maturare in delle buchette ricoperte di fieno. Poi dopo un mese o due si scavavano e mangiavano ormai belli marroni e maturi, quasi come gli scoiattoli che nascondono ghiande e noci per l’inverno.


    Questo era un breve spaccato di vita, quando i soldi erano pochissimi e comunque si riusciva a vivere anche senza di essi. Oggi si vive molto nel virtuale, abbiamo le App che risolvono tutti i problemi, siamo tutti in rete… come i pesci nella rete dei pescatori.


Sulla valle con zia Gina
    Ho dei bei ricordi di questa zia che mi portava spesso con lei. Io che a cinque o sei anni sgambettavo veloce dietro i suoi passi forti e sicuri. Una tappa fissa era Ca’Giovanni a trovare la sua amica l’Anna dla Menca.
    La gita era bella quando si passava sulla Spindinella, la scorciatoia che portava da Secchiano a Ca’Giovanni, e che, piccolo come ero, mi sembrava un percorso difficilissimo. Poi l’aia d’Biagiola, il biroccio, tutte cose meravigliosamente interessanti…soprattutto quello sportellino nascosto nell’asse di traino.
    Meno attraente era il tempo passato in casa dell’Anna, che lavorava con la macchina da cucire, e parlava per ore con mia zia e nemmeno un gatto da stuzzicare. Altra avventura era quando si andava ai “filoni” ovvero al campo dietro le scuole. Uva, mele, noci, fichi, e soprattutto quando nel periodo dell’aratura c’era Pierino d’barbanera e Ivetto con i buoi che tracciavano profondi solchi orizzontali nella breccia rosa del campo. Era bello quando giravano i buoi per il solco di ritorno, l’odore della terra smossa, il forte odore dei buoi sudati (Bio e Bone), le imprecazioni, i vestiti di fustagno e tutto il movimento e il rumore dell’operazione che mi sembrava una impresa epocale.
    La valle poi era un viaggio straordinario. Prima l’attraversamento del fiume sui saltatò, poi la stradina che passava per i campi di Pian d’Andrea carichi di uva, mele, granturco. Poi la lunga salita nel bosco, che non finiva mai e all’improvviso il giallo del grano, alto, ondeggiante a ridosso dello stradino. Una valle piena di cose buone. E’ quasi impossibile credere che dove ora c’è solo una fitta macchia una cinquantina di anni fa era un paradiso. La vigna di Cecarin, e di German, i campi dei Virgili, e dei Lucarelli. Un grandioso sorbo sempre pieno di frutto rossi e gialli all’ingresso di questo paradiso, e poi meli, peri e ciliegi. Le vigne circondate da fili di ferro su cui penzolavano vecchi barattoli arruginiti pieni di sassi che dovevano servire a spaventare il tasso. Si l’unico vero problema della valle…il famelico tasso che nei mesi estivi ed autunnali faceva razzie di granturco e di uva. E allora non era escluso che i proprietari per salvaguardare i raccolti dovessero passare le notti nei campi, col fuoco acceso a “spaurà el tass” insaziabile nemico dei raccolti.


    Dopo questi brevi racconti di vita passata, apriamo la parentesi dei toponimi utilizzati nel territorio di Secchiano con un breve accenno a come si creano e al loro significato. I nomi di luogo rispecchiano la lingua che si parla in una certa località nel momento in cui vengono attribuiti e il toponimo, essendo un nome proprio o finendo per assumere i connotati del nome proprio, può sopravvivere su quel territorio a molti cambiamenti di lingue.

    Per questa ragione il toponimo è in genere molto più durevole del nome comune. Infatti il nome della località verrà conservato dalla nuova popolazione che va ad abitare quella località. Ma qual è il criterio che regola l’attribuzione dei nomi alle località? I toponimi possono essere improntati alla conformazione fisica, mettendo così in evidenza un elemento caratterizzante della geografia del luogo; possono riflettere la prevalenza di una determinata specie vegetale (alberi, piante); possono essere suggeriti dal nome di animali. Ma può anche essere determinante la geografia umana: il luogo può denominarsi da costruzioni che vi sono presenti (porto, castello, rocca); dall’uso che se ne fa; e inoltre da nomi di persona, di santi, dai vari nomi della Madonna.

    É la natura accidentata del territorio, attraversato da montagne sia in senso longitudinale che latitudinale, a frazionare le vallate e quindi gli insediamenti, a distinguere scoscendimenti, clivi, pendii.I toponimi propriamente detti, cioè i nomi di paesi e città, hanno generalmente origine o da una caratteristica geografica locale o da un nome di persona (il fondatore, il proprietario di un antico fondo, ecc.)


Nelle immagini sotto: il territorio di Secchiano da Google Hearth e particolare dalla mappa I.G.M 




 
MAPPA I.G.M. DIVISA IN QUATTRO SETTORI DALL’ALTO IN BASSO: (26-25-24-23)  E CON I NUMERI DEI TOPONIMI ELENCATI IN CALCE
   







Settore 26 zone Fosto, Torcella, e Ranco Burano.
115) Val granaiola - 114) Fossa Granda – 116) Ranc Milott – 117) Fosso Pagina – 118) Buga di Paginei – 119) Prati dla Pianaccia – 120) Col d’Mezz – 121) Costa d’Mencarola – 122) Ca Tozz –  25) Ranc Buran 23) La Rocchetta – 42) Val del Cotn – 41) Val Mena – 38) La Quastrina – 39) I Laghi – 40) Camp Grand – 36) Carpneta – 20) La Buga d’Ranc Buran – 27) Ranc d’Ercl – 26) Le Valdrell – 28) Sotta la Genga – 125) Ranc Bartl – 29) Le Lame - 21) I Prati d’Ranc Buran – 22) La Capanna d’Tasann –

Settore 25 zona Montagnola, Secchiano e Locco.
1) Camp d’Armet – 2) I Paganei – 3) Capdacqua – 4) La Casa – 5) I Torri – 6) La Vall – 7) La Montarella – 8) Pont d’Sass – 9) Pian d’Pota – 10) L’Tanell – 11) Camp Alotta – 12) Pian del Pont – 13) La Pieg – 14) La Lama – 15) El Canapin – 16) Camp del Mulin – 17) La Piazza di Somari – 18) La Font del Capatò – 19) La Strada Alta – 30) Pian D’Andrea – 31) Camp d’Beccacin – 32) El Fagg – 33) Carengatt – 34) Val Piana -24) I Pianei – 35) La Croc d’Cagiuann – 36) Carpneta – 37) La vall d’Biagiola – 43) La Costa -44) le Cup – 45) El Camp d’Baldin – 46) L’ Scotanai – 47) I Ravoni – 48) Le Vign d’Via Strada – 49) La Font Vecchia – 50) Sotta l’Balz – 51) Pian d’Sorb – 52) Pian d’Mezz – 53) Pian Mandrì – 54) El Captell – 55) I Cotleti – 56) I Campi d’Via strada – 65) El Camp dla Luigiotta – 66) La Paganella – 67) El Pass d’Petron – 70) El Castell – 71) El Pur – 72) El Varc – 126) L’Macchie d’Trombetta – 127) La Vigna d’Guglielm – 129) La Spindinella – 130) El Pian – 131) L’Aia dl’Monache – 133) I Pianacci.


Settore 24 zona Montagnola, Passerella e Cimentini.
91) I Faggioni – 90) Val Tea – 92) L’Ort d’Tutlin – 87) I Ortaggi – 123) Le Venell – 93) Genga Rundlina – 94) L’ Lastr – 95) La Camptella 89) Pontone delle Ferbe – 86) La Curva dell’Isla – 88) La Buga dla Volp – 85) Le Spugn – 80) Meltemp – 81) I Coi – 82) Genga Roscia – 103) L’Isla – 124) La Cava di Cotleti – 83) La Balza del Lup – 79) I Fornacci – 109) L’Scheggion – 110) La Rava dla Fossa – 112) La Cereta – 66) La Paganella – 69) L’Cim del Mont – 68) Val Canella – 62) El Traforat – 61) La Pianaccia d’Biagiola – 60) I Prati d’Armet – 57) Pian del tegolà – 63) Coll Long – 64) Scheggion – 58) Pietratonda – 59) Pass dla Mandraccia – 77) Balza dal’Ort –

Settore 24 zona Val della Barca, La Romita, Fonte dei Brusceti.
96) Ranctel d’vin – 104) Camp Long – 105) I Brusceti – 107) Genga Maia – 102) Le Caldaie – 100) I Orneti – 101) Balza Nera – 97) I Bregni – 98) La Piazza d’Luigion – 99) La Scortatora – 106) El Bagn – 108) El Capann d’Panichi – 73) I Cereti – 74) l’Aia d’Sett Font – 76) El Paiar -  75) La Balza del Bambin -128) El Manajol

 
Al centro della foto “La Valle” come si presenta oggi, completamente ricoperta di macchia. Non molti anni fa era un luogo fertilissimo, con piantagioni di grano, vigne rigogliose e tanti alberi da frutto, meli, peri, ciliegi, susini sorbi.





Esempio di come cambia il paesaggio: La famosa vigna di Pierin d’Via Strada, a Carpneta, che produceva il classico brincetto locale. Tra qualche anno come “la Valle” verrà totalmente assorbita dalla macchia.


© 2017 by Paolo Faraoni - Tutti i diritti riservati - Tutte le immagini sono state fornite dall'autore.
 

1 commento:

  1. Molto interessante. Avevo già pubblicato l'itinerario di Via Strata sul mio libro di Secchiano.

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