di Marco Bani
Scheletro di Ursus spelaeus parzialmente ricostruito nel Museo Brancaleoni di Piobbico (foto Marco Bani) |
Sappiamo bene che gli orsi prediligono le
grotte per trascorrere il letargo invernale, ma un loro antenato aveva con le
grotte un legame ancora più stretto. L’orso delle caverne (Ursus spelaeus) si è estinto circa 12.000 anni or sono lasciando
nelle cavità sotterranee le testimonianze di una frequentazione che oltre al
letargo prevedeva anche l’allevamento dei piccoli e attività varie legate alla
grotta.
Le diverse tracce che noi speleologi troviamo, lasciano pensare anche a momenti di gioco e socialità con una fedeltà al sito tanto accentuata che potrebbe aver costituito un indebolimento genetico per consanguineità e le conseguenti malattie che le ossa spesso rivelano. Non estraneo all’estinzione penso sia stato l’uomo, per la facile caccia durante il letargo e la competizione per i ripari sotterranei.
Affermatosi come specie circa 350.000 anni fa
nella linea evolutiva dell’U. etruscus,
l’orso delle caverne si è diffuso dal sud dell’Inghilterra all’Italia centrale
e in longitudine dalla Spagna al Mar Caspio. L’appiattimento dei molari ne
rivela abitudini prevalentemente vegetariane, rara peculiarità nell’ambito
degli ursidi. Aveva le dimensioni degli odierni Grizzly, con un aspetto però
più massiccio.
Grandi depositi di questi grandi plantigradi
caratterizzano alcune grotte del centro Europa. In Italia una ottantina di
grotte alpine hanno restituito ossame dell’orso delle caverne. Le grotte di
Toirano in Liguria, le Conturines in Alto Adige, i Covoli di Velo in Veneto, La
Grotta Pocala presso Trieste, la Tecchia di Equi in Toscana sono alcuni dei siti
di rinvenimento di orsi spelei più noti.
Marco Bani nel 1986 immortalato dalla moglie Patrizia con un grande cranio nei giorni della scoperta della Grotta degli Orsi (foto Marco Bani) |
Nel 1986 il parroco-paleontologo Don Domenico
Rinaldini di Piobbico (PU) mi segnalò una grotta di Monte Nerone dove erano
stati avvistati grandi crani. In quella piccola grotta raccolsi i resti di una
sessantina orsi delle caverne. Nell’esame biometrico rilevai che l’assimmetria
nella presenza dei resti ossei fa pensare ad un trasporto per fluitazione e una
conseguente selezione volumetrica dei reperti. Rimane quindi l’enigma di dove
sia la vera e grande grotta degli orsi.
L'aspetto caotico dell'ossame trovato nella grotta da Marco Bani (foto Marco Bani) |
Nel 2000 ho realizzato nel Museo Brancaleoni di
Piobbico una ricostruzione parziale dell’U.
spelaeus di Monte Nerone, i cui esemplari vantano le dimensioni massime
note per la specie. Nella parte museale realizzata da Luca Girelli, Silvia
Renghi e Paolo Formica figura anche la ricostruzione di una parte del pavimento
della Grotta degli Orsi oltre a informazioni speleologiche e bio-speleologiche
riguardanti le grotte del sovrastante Monte Nerone.
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