La "chiocana" e un quesito: quando fu costruito il Palazzo Ubaldini di Apecchio?

di Stefano Lancioni




In un paio di lavori degli anni precedenti (Il Palazzo Ubaldini di Apecchio, Fano 2009, in www.storiapesarourbino.altervista.org/Palazzoubaldini.pdf; Nuovi documenti riguardanti Palazzo Ubaldini, Fano 2014 in www.storiapesarourbino.altervista.org/Nuovidocumenti.pdf), ho cercato di ricostruire, interpretando diversamente una serie di documenti già conosciuti dagli storici di Apecchio ed inserendo nuove testimonianze, la nascita e lo sviluppo di Palazzo Ubaldini di Apecchio.
In tali lavori ho sostenuto che il Palazzo Ubaldini fu costruito negli anni 1588-1597 dal conte Gentile II Ubaldini di Apecchio unendo due diverse abitazioni di cui era entrato in possesso, o per confisca (quello del conte Bernardino Ubaldini di Montefiore), o per acquisto (quello dei conti di Montevicino): la prima abitazione si trovava a sud, la seconda a nord, tra questa e la Pieve.


Ma cosa vi si trovava nell’area prima della costruzione delle due abitazioni?
Spulciando gli atti notarili del secolo XVI mi sono imbattuto in un interessante documento, inedito, del notaio vadese Giovanni Antonio Clavari, riguardante l’acquisto di una casa in Apecchio, nel 1531, da parte di Tiberto Ubaldini (nonno paterno del conte Bernardino): l’abitazione in questione era per metà proprietà di Pietro Francesco del quondam Luca di Apecchio e della di lui moglie donna Maddalena, per metà di Agostino, fratello di Pietro Francesco. Essa confinava su due lati con stratas publicas (“strade pubbliche”, inequivocabilmente al plurale), a 3° la chiocana et a 4° bona prefati domini Tibertj emptoris (“nel terzo lato con la chiocana e nel quarto con i beni del predetto compratore dominus Tiberto”)[1].
La chiocana menzionata nell’atto non è altro che un canale di raccolta e scorrimento delle acque: il termine, derivato dal latino “cloaca”, veniva utilizzato in area umbra ed è attestato in un documento perugino del 1322-1338; negli statuti di Perugia del 1342 (Ancora sia tenuto el dicto conpangno e ofitiale fare spedire e remolire e aconciare ciascuna fonte, aqueducto overo chiocana de ciascune fonte staente presso a la citade de Peroscia per uno miglio a êlla citade predicta...), in un glossario latino-eugubino del XIV secolo (Hec cloacha, id est la chiocana)[2]. Corrisponde con ogni evidenza all’aqueductum (“acquedotto”, ma anche “canale”, “condotto”) ricordato solo  tre anni dopo, nel 1534, nel cortile della domus del conte Girolamo  Ubaldini di Montevicino, contigua alla casa degli eredi di Tiberto Ubaldini.
In uno dei volumi delle lettere d’Udienza (in cui veniva registrata la corrispondenza inviata dall’Udienza Ducale ai vari funzionari del Ducato), ora catalogati nell’Archivio di Stato di Pesaro con la dicitura “Copialettere”, viene infatti ordinato, il 15 marzo 1534 al capitano d’Apecchio ut faciat quod Hieronymus Ubaldinatius aperiat aqueductum in cortile eius domus, per quod transeunt acque pluviales de domo filiorum domini Tiberti, et reducat illum ad pristinum servitium provideatque in posterum conservetur: “che faccia in modo che Girolamo Ubaldini (scil. dei conti di Montevicino) apra il canale nel cortile della sua casa, attraverso il quale passano le acque piovane dalla casa dei figli del dominus Tiberto (scil. di Montefiore) e lo riconduca al precedente servizio e provveda che sia conservato per il futuro” [3].
Sia per la presenza nei due documenti di un canale di scorrimento delle acque, sia in base alla considerazione che altre case appartenenti agli Ubaldini di Montefiore non sono attestate in Apecchio in questo o nei periodi successivi, possiamo considerare che venga menzionata in entrambi i documenti la zona del futuro Palazzo Ubaldini, anche se non viene ricordata, nel documento del 1531, il confine con la proprietà contigua dei conti di Montevicino.
Se la casa comprata nel 1531, come tutti gli indizi fanno pensare, sarà successivamente inglobata nella parte meridionale di Palazzo Ubaldini, è giocoforza ipotizzare la presenza delle strade pubbliche a sud e ad est dell’abitazione, dei beni di Tiberto a ovest e della chiocana a nord. La mancata menzione dell’abitazione dei conti di Montevicino indica semplicemente che tale costruzione si trovava oltre il canale di scolo – che era quindi collocato dove ora è il lato meridionale del porticato di Palazzo Ubaldini, cioè dove attualmente e si trova il corridoio d’ingresso al Palazzo - e che le due case non erano contigue. 



Tre anni dopo, invece, il decorso delle acque pluviali era stato modificato per colpa dei conti di Montevicino, che avevano impedito il normale deflusso delle acque o appoggiando la loro abitazione a quella dei conti di Montefiore o, più semplicemente, recintando il cortile di loro uso antistante l’abitazione.
Come venne risolta la questione? Forse i contrasti furono appianati facendo defluire in altro modo le acque pluviali (verso l’attuale piazza, nella quale sarà costruito un pozzo, ricordato fino ad inizio Ottocento?) oppure realizzando una chiavica che, passando sotto il palazzo, conduceva l’acqua pluviale al fiume, senza pregiudizio delle strutture dei due palazzi.

  
Conseguenza di questa ricostruzione? Il porticato di Palazzo Ubaldini sarebbe successivo al 1534. Il bellissimo porticato, che possiamo oggi ammirare, non venne quindi costruito, come vuole la tradizione, qualche decennio prima, con interessamento di Francesco di Giorgio Martini, ma dopo tale data. Quando? Non lo sappiamo. Forse contestualmente alla radicale trasformazione delle due abitazioni in un unico palazzo ad opera del conte Gentile nel 1588-1597. 

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[1]Archivio di Stato di Pesaro, Archivio notarile S. Angelo in Vado, Clavari Giovanni Antonio (n. 8), vol. 4, p. 468, 2 gennaio 1531.
[2]Tlio (Tesoro della Lingua italiana delle Origini), s.v. “chiòcana” (http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO ).
[3]Archivio di Stato di Pesaro, Copialettere, vol. 2 (1533-1534), f. 145 v, 15 Martij 1534, capitano Appiculi. Lo stesso documento è stato copiato in  Leg., Feudi, b. 12, IV E (15 marzo 1534), al capitano d’Apecchio. In quegli anni Apecchio era sotto diretto controllo ducale e la giurisdizione comitale era stata sospesa.

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