di Stefano Lancioni
Chiesa di S. Andrea
di Carlano, nella Foresta demaniale regionale di Bocca Serriola (Apecchio).
Carta IGM 1:25.000 115 I S.E., rilievo 1952 (autorizz. IGM n. 4877 del
2-11-1998) (da www.lavalledelmetauro.org)
Il castello di Montefiore è localizzabile sulle mappe grazie all’indicazione
“Torre”, a nord della Chiesa di Carlano, a quota 794 s.l.m.
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Per giungere
a quello che fu il castello di Montefiore è necessario percorrere la Strada
Provinciale che da Apecchio raggiunge Città di Castello. Raggiunto il “Ponte
del Fumo” si prende una strada comunale sulla destra e, risalendo la vallata di
Carlano, si giunge alla chiesa, ora abbandonata, di S. Andrea. Poco lontano il
borgo, anch’esso abbandonato da tempo e ridotto ormai ad un cumulo di macerie,
di Carlano.
Bisogna
seguire il sentiero che, dalla chiesa di S. Andrea, si inerpica sulla collina
retrostante e giungere, dopo una breve passeggiata in mezzo ai boschi ed ai
calanchi della zona, allo spartiacque tra le vallate di Migliara e di Carlano,
sul quale si trova il poggio in cui fu costruito il castello di Montefiore.
Da secoli
abbandonato, il sito del castello conserva ancora, nascosti tra la vegetazione,
i resti della torre, delle abitazioni, del pozzo: pochi indizi che ci
permettono di immaginare quello che era, un tempo, uno dei più importanti
castelli della Vaccareccia.
Castello di Montefiore: ruderi del torrione (foto dell’autore) |
Il castello, probabilmente costruito tra 1278 (“guasto” di Monte Somole) e 1337 (prima menzione, in una divisione di beni tra appartenenti alla famiglia Ubaldini), viene descritto nel fondamentale lavoro sulla storia di Apecchio di monsignor Camillo Berliocchi. All’autore, e a Leonello Bei che lo coadiuvava e che ha misurato il sito, il merito di averlo riscoperto: “dopo una ventina d’anni di vane ricerche, i resti di questo maniero sono stati ritrovati casualmente da alcuni operai mentre stavano effettuando uno sfoltimento boschivo per conto del Corpo Forestale. Si è potuto riportare alla luce il basamento del torrione, qualche tratto delle mura di cinta, le fondamenta di alcune abitazioni e forse i resti di un pozzo, per il quale tuttavia occorre fare ulteriori accertamenti”[1].
Castello di Montefiore: il pozzo (foto dell’autore) |
Castello di Montefiore: ruderi di abitazioni (foto dell’autore) |
Cinquant’anni
dopo, in un atto del 29 marzo 1481[5],
vengono ricordati omnes homines castris
Montis Floris cum Turre, et Fortilizio: l’abitato aveva quindi ancora la
torre e una fortificazione (il cassero), distinti dal resto dell’abitato.
Nel 1541, in
una serie di atti riguardanti la divisione dei beni familiari tra due rami
degli Ubaldini, vengono menzionati luoghi ed edifici di Montefiore, situati
all’interno del castello:
-
la torre, che era in pessime condizioni (la parte della Torre verso Migliara, come si vede, ha bisogno di aiuto:
si prevedeva che il ramo degli Ubaldini che avesse ottenuto, nella divisione
del feudo di quell’anno, la zona meridionale, cioè quella non danneggiata,
fosse obbligato nel giro di tre anni a portare al poggio di Montefiore mattoni
e calcina per restaurare il lato settentrionale)[6];
-
tre case: una di proprietà di Ottaviano Ubaldini (in essa furono
rogati, tra il marzo e il maggio, diversi atti riguardanti la divisione della
giurisdizione del territorio)[7],
una delli figlioli di messer Tiberto[8],
una della Chiesa[9];
-
un pozzo e un orto[10],
situati nei pressi della torre.
Presenta
buona parte degli elementi individuati grazie alle carte d’archivio la
ricostruzione proposta da monsignor Camillo Berliocchi[11],
che, grazie alla verifica sul campo, ipotizza la presenza di un castello di 102 metri in lunghezza e 30 in ampiezza, circondato da
mura; il basamento del torrione si trova a nord; resti di abitazioni (quattro)
ad est, lungo il lato lungo; tra la prima abitazione e il torrione giungeva la
strada di accesso e si apriva una delle porte del castello; a sud del torrione
viene collocato il pozzo.
Nel 1622 il
conte Annibale Ubaldini (amministratore di Migliara)
denunciava il comportamento scorretto del
conte Giovanni Francesco di Carlano che si era impossessato della zona
indivisa in cui sorgeva il castello di Montefiore, aveva in gran parte
smantellato la torre e si arrogava il controllo esclusivo della terra comune: gli antichi nella divisione che fecero di
Monte Fiore divisero le famiglie e lassarono il castello così ruinato che non
vi è se non la torre, e quella restò per indiviso. Invece lui se l’è appropriata, l’ha guasta,
scoperta de’ coppi, levate ferrate, portati via mattoni, pianelle in buona
quantità, seminato nel distretto di detto castello, mandati bandi per riservare
la pastura e che nessuno desse danno con pene gravi, fatto pagare molte pene in
quello che non è suo[12].
E’ evidente da questo documento che nel 1622 non esisteva all’interno della
vecchia cinta muraria di Montefiore popolazione residente e anche la torre,
unico manufatto ricordato, era gravemente danneggiata.
Ricostruzione del Castello di Montefiore (G. Berliocchi, Apecchio tra Conti Duchi e Prelati, Città di Castello, 1997, p. 202)
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Sull’abbandono
del sito possiamo solo fare ipotesi. Uno dei motivi principali fu probabilmente
il peggioramento climatico della fine del Cinquecento: in quegli anni cominciò
in tutta Europa la "piccola età glaciale", un periodo freddo e
piovoso con avanzata dei ghiacciai che si sarebbe prolungato fino al 1850 e che
avrebbe messo in crisi soprattutto le popolazioni della montagna. La situazione
fu particolarmente drammatica nel biennio 1590-1591: in questi anni il Ducato
ebbe un vero e proprio tracollo demografico[13].
Diversi centri d’alta montagna furono pertanto in questi anni abbandonati e la
popolazione si spostà nelle basse vallate, dove le condizioni climatiche erano
più favorevoli.
Possiamo
anche ricordare che, negli anni Ottanta del XVI secolo, tutta la Massa Trabaria era
infestata “da ladri e banditi. Le popolazioni n’erano atterrite, le vie
malsicure, ovunque rapine, furti, uccisioni. I pochi militi posti a tutela dei
paesi non azzardavano opporsi direttamente per l’enorme numero dei malfattori
che si calcola superassero i 300” [14].
In un’operazione di polizia, condotta dal capitano Federico Cataldini di Cagli, fu coinvolto anche il castello di
Montefiore, dove si era rifugiato, nel settembre 1581, il conte Flaminio
Ubaldini, ricercato dalla giustizia
ducale: il castello fu nell’occasione assediato[15].
E’ comunque
da sottolineare che il castello aveva perso ormai da tempo la funzione
strategica che aveva avuto nel Trecento quando il poggio era stato fortificato
per assicurare il possesso del territorio agli Ubaldini, in lotta contro i
Tifernati: mantenere in buono stato delle strutture che si logoravano
facilmente per il clima e l’altitudine aveva un costo probabilmente esorbitante
e la spesa era, in fin dei conti, del tutto inutile. Le strutture castellane
pertanto, progressivamente abbandonate, caddero in rovina.
[1]C. BERLIOCCHI, Apecchio tra conti, duchi e prelati,
s.l. (Città di Castello), 1992, p. 201.
[2]Archivio di Stato di Pesaro
(d’ora in poi ASP), Legazione Apostolica
di Urbino e Pesaro (d’ora in poi Leg.),
Feudi, b. 11, CLI.
[3]Biblioteca Oliveriana di
Pesaro, ms. 455, vol. II, c. 195 r (Ascani riporta erroneamente la data del
1388)
[4]A. ASCANI, Apecchio contea degli Ubaldini,
Città di Castello, 1977, p. 134 e nota 17 p. 139.
[5]ASP, Leg., Feudi,
b. 9, v. 8523, XIV; b. 10, XIV.
[6]ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLI.
[7]Es. ASP, Leg., Feudi, b. 10, LIII; b. 11, CLI e
seguenti.
[8]ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLI.
[9]ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLI.
[10]ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLI.
[11]Berliocchi, Apecchio (cit.), p. 202.
[12]ASP, Leg., Lettere alle comunità di Massa
Trabaria, b. 8. La lettera, non datata, fu scritta negli ultimi mesi del 1622.
[13]A. VEGGIANI, Variazioni
climatiche e presenza umana sulla montagna tra Toscana e marche dall'alto
medioevo al XIX secolo, in S. Anselmi (a cura di), La
Montagna tra
Toscana e Marche. Ambiente, territorio, cultura, società dal medioevo al XIX
secolo, Milano 1985, pp. 25-39, alle pagg. 27 e 35. Vds. anche E. ROSSI, Memorie Civili di Casteldurante – Urbania,
Urbania 1945, pp 102-103. “1590-91 – Grande carestia di ogni sorta di derrate
di cui approfittarono gli strozzini. Il Duca con grida del 17 luglio, a metter
fine all’esose esorbitanze, cassò tutti i contratti usurai fatti durante
l’enorme penuria e ai contravventori minacciò la forca e la confisca dei beni.
Fu allora tanta la fame della povera gente che molti morivano d’inedia. I registri
mortuari dell’annata hanno ogni tanto questa frase “redatto a la terra morse”
ossia costretto dalla fame a mangiare la terra morì…”
[14]Rossi, Memorie civili (cit.), p. 100.
[15]Antonio
Gucci, Memorie della città di Cagli e de
principi suoi dominanti, parte sesta (1543-1576), anno 1581, pp. 236-237.
La superficie di circa 3.000 mq che il castello poteva contare a ridosso della peste nera del 1348, quindi del boom demografico, ci obbligano a considerare che all'interno non potevano essere inserite solo quattro case, ma almeno una ventina, in generale di piccole dimensioni, per almeno un centinaio di abitanti. L'altro elemento importante da definire è la corte, cioè il territorio di pertinenza del castello. A quanti ettari o a quanti kmq corrispondeva? Esistevano nella corte alcune case-torri-colombaie? Si tratta di domande indispensabili per continuare ad approfondire il buon lavoro iniziato da mons. Berliocci, con l'aiuto del sempre disponibile Leonello Bei, e continuato con grande passione dall'amico Stefano Lancioni.
RispondiEliminaCiao, Renzo. Posso rispondere alla prima tua domanda, non alla seconda (non ho idea). Il territorio del castello è ricostruibile dalle mappe delle varie rate (Migliara, Carlano, Somole, Rencarieno, Fumo), la cui estensione è desumibile dal Cessato catasto pontificio. la superficie è la seguente: Migliara: 3740,28 tavole; Carlano: 3479,94; Somole: 5264,73; Rencarieno: 1431,72; Fumo: 3483,38. Il totale è 17400,05 tavole, cioè 1740 ettari (10 tavole = un ettaro).
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