Il Bosco di Tecchie - foto gentilmente messa a disposizione dall'Associazione Le Tecchie |
Il bosco di Tecchie (o Tecchio come forse sarebbe più corretto chiamarlo) è molto conosciuto fra gli
escursionisti e gli amanti della natura incontaminata. Nell’area è stato
ricavato un parco naturalistico (1986) avente un’estensione di circa 195
ettari, a ridosso della Serra di Burano, nel comune di Cantiano, caratterizzato
da bosco ad alto fusto, composto prevalentemente da faggi e cerri, e da una
fauna molto diversificata, fra cui spiccano la Salamandra pezzata, il Falco
pecchiaiolo, l’Astore e il Picchio rosso minore[1].
Foto gentilmente messa disposizione dalla Associazione Le Tecchie |
L'area del Parco di Tecchie |
La salamandra pezzata che troviamo a Tecchie - Foto gentilmente concessa dalla Associazione Le Tecchie |
Cominciamo dai ruderi. Salendo verso la cima del
crinale da Pian dei Santi arriviamo alla sommità di San Silvestro, dalla quale
possiamo beneficiare di un panorama spettacoloso sulle vallate che si aprono da
Serravalle di Carda fino a Chiaserna, avendo di fronte a noi il Monte Nerone,
il Petrano e, infine il Catria.
San Silvestro e la visuale verso le vallate di Pianello di Cagli e Serravalle di Carda |
Chiaramonti, San Silvestro e la visuale verso Cantiano |
In epoca medievale quel luogo ospitava la Chiesa di
San Silvestro in Tetto (Ecclesie S. Silvestri
de Tecti), che ricadeva nel territorio della Diocesi di Gubbio, ma
dipendeva dalla Abbazia benedettina di Massa, insieme con altre tre chiese
della zona (Sant’Agata in Capite, San Bartolomeo di Belforte e Santa Maria di
Vilano)[2].
Nell’elenco delle decime versate dalla Ecclesie
S.Silvestri de Tecti troviamo che questa depositò nel 1295, presso la
canonica di Gubbio, 10 soldi di denari ravennati e poi ancora 11 soldi e 7
denari nel 1296, 15 soldi nel 1333 e, infine, 31 soldi nel 1334. Dopo il 1334
non conosciamo atti che si riferiscano direttamente a San Silvestro in Tetto,
però la troviamo indicata nella preziosissima mappa redatta da Don Ubaldo Giorgi[3],
disegnata all’incirca nel 1570, su incarico del vescovo eugubino Mariano Savelli.
Secondo tale mappa la chiesa fa parte del territorio della Villa di Balbano,
che comprende anche la Pieve di San Crescentino, e nelle vicinanze della
chiesa, nel raggio di 2/3 miglia, sono localizzati una quindicina di “fuochi”,
ovvero di nuclei famigliari, per una popolazione complessiva di circa 75/80
persone. Infine nel 1603 riceve la visita apostolica del vescovo Sorbolongo[4],
il quale fa annotare la mancanza del campanile; evidentemente la fase di
abbandono era già iniziata, agevolata dal progressivo spopolamento di quelle
zone.
Estratto della Carta del Giorgi con, al centro, la rappresentazione di San Silvestro |
La chiesa era probabilmente intitolata a San Silvestro I Papa, morto nel 335 e
sotto il quale, tra l’altro, venne costruita la prima basilica di San Pietro a
Roma. Silvestro, nei secoli seguenti, fu poi protagonista suo malgrado di uno
dei più famosi e importanti falsi storici, ovvero la “donazione costantiniana”, un documento contraffatto redatto
probabilmente nell’VIII secolo, assunto per secoli come atto fondante del
potere temporale della Chiesa.
La sommità del crinale, però, non ospitava soltanto
una chiesa, piuttosto la chiesa si trovava all’interno di un castrum fortificato del quale, fino a
poco tempo fa, era ancora possibile individuare il perimetro esterno con buona
approssimazione, essendo ancora visibili alcuni conci di arenaria che ne
costituivano la cinta muraria nel versante orientato a nord/est; il versante
verso sud/ovest era invece caratterizzato da ampi terrazzamenti digradanti
verso valle, cintati da muretti che, molto probabilmente, costituivano le clausure del castrum, ossia gli orti protetti del castello, preposti a fornire
un minimo di prodotti freschi a coloro che risiedevano temporaneamente e/o
stabilmente nel presidio, allo stesso tempo civile e militare. Ancora oggi sono
visibili i resti dei bastioni che invece proteggevano l’ingresso al castrum sul
lato del sentiero proveniente da Tecchio e Pian dei Santi, mentre, oltrepassati
i ruderi dei bastioni, si possono osservare altre rovine completamente diroccate
che, molto probabilmente, possono essere riferite alla piccola chiesa di San
Silvestro in Tetto.
Il presidio fortificato, posto a pochissima distanza dal
castello di Chiaramonti, quest’ultimo citato anche dal noto annalista cagliese
Francesco Bricchi[5], era di
enorme importanza strategica, perché consentiva di controllare una delle vie di
comunicazione più antiche fra la vallata di Cantiano e quella di Pianello di
Cagli, che era utilizzata già dagli antichi Umbri e che poi sarà fondamentale
per la gestione della viabilità appenninica durante il periodo della
dominazione longobarda, diventando uno dei diverticoli più importanti
nell’ambito del sistema viario rappresentato dal cosiddetto “corridoio bizantino”[6].
Il luogo inoltre consentiva di tenere sotto controllo tutto ciò che avveniva
all’interno della valle di Pianello di Cagli, in contatto visivo con quasi
tutti gli altri undici castelli e torri che ne orlavano le alture, con al
centro l’abbazia di Massa il cui abate era il dominus di tutta la zona, il vero e proprio feudatario dei
territori dipendenti dall’abbazia.
I ruderi della piccola chiesa di San Silvestro in Tetto |
Abbiamo accennato all’utilizzo antichissimo della via
che univa la vallata di Cantiano a quella di Pianello, attraverso il Pian di
Balbano; secondo alcuni storici locali
(Paolo Rinolfi e Ferdinando De Rosa) l’origine del toponimo Tecchie sarebbe da ricondurre proprio al
termine umbro tekvia[7] (decuvia in latino), che significa decima
parte della tota, ossia della nazione
iguvina, nel nostro caso con particolare riferimento alla tribù Klavernia[8].
Se questa interpretazione è corretta, il toponimo attesterebbe un utilizzo
particolarmente significativo del luogo già in epoca pre-romana.
Estratto dalle mappa del Catasto Pontificio del 1815 circa. Come si può notare, allora la denominazione era "Tecchio" e non "Tecchie" |
Abbiamo parlato anche dell’importanza riconquistata
della via che attraversava il Bosco di Tecchie e San Silvestro al tempo delle
guerre gotiche e poi durante la dominazione longobarda, quando percorrere in
sicurezza la Flaminia era diventato molto difficile. In quel periodo nacque
l’esigenza di utilizzare una viabilità alternativa, per impedire che fosse
interrotto il collegamento fra Ravenna, la capitale dell’esarcato bizantino e
Roma, la sede papale.
Gli
studi effettuati, pur con accenti e sfumature diverse, convergono sul fatto che
l’area compresa fra la Serra di Burano e quella di Chiaramonti, fosse una zona
di confine fra i territori sottoposti al controllo dei bizantini, a difesa del
“corridoio bizantino”, e quelli longobardi del Ducato della Tuscia e del Ducato
di Spoleto[9].
Nell’ambito di tali studi, prendendo proprio a
riferimento i toponimi limitanei[10]
(che richiamano l’esistenza di un confine) presenti nella zona, è stata
proposta una nuova interpretazione secondo la quale Tecchie potrebbe derivare da teclatura,
ossia incisione di un albero come segno di confine (teclaturas) e che reca inciso un segno (teclatus). Il vocabolo, di origine longobarda, era già presente
nell’Editto di Rotari (ticlatura aut
snaida). Il cl sembra essersi
evoluto in ch secondo un processo
piuttosto comune. Non molto distante è stato individuato un altro importante
toponimo limitaneo, C. Col del Fico
che sarebbe riconducibile a fi(c)to,
ovvero “termine infisso a terra”[11].
Foto gentilmente messa disposizione dalla Associazione Le Tecchie |
E’ evidente che, quando si parla di toponomastica,
ogni ipotesi presenta ampi margini di errore, però, abbiamo indizi evidenti
della particolarità e importanza del luogo di cui stiamo parlando sia in un
caso che nell’altro. Non bisogna mai dimenticare che ogni toponimo è il
risultato di stratificazioni successive, che avvengono nel tempo e che spesso risulta
molto arduo riportare alla luce il corretto significato originario.
Il bosco di Tecchie in livrea invernale - Foto gentilmente messa a disposizione dalla Associazione Le Tecchie |
Si ringrazia l'Associazione Le Tecchie (Tel.3281182720 - https://www.facebook.com/boscoditecchie/?ref=ts&fref=ts) per aver concesso l'utilizzo di alcune delle foto che accompagnano questo post.
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[2] G.
Presciutti, M. Presciutti, G. Dromedari, Pianello
di Cagli Viaggio nella storia di una vallata, 2010
[3]
M.O.Graziani, La carta del Georgi,
2005
[4] F.Panfili,
M.Tanfulli, Cantiano tra fede e storia,
2000
[5] F.
Bricchi, Delli annali della città di
Cagli, 1641
[6] G.
Presciutti, M. Presciutti, G. Dromedari, Il
corridoio bizantino al confine fra Marche e Umbria, 2014
[7] F. De
Rosa e F. Bartolucci, Le divinità Umbre,
articolo pubblicato nel blog Ver Sacrum
[8] P.
Rinolfi, Da Giove Appennino di Ikuvio al
kastron di Luceoli, 2006
[9] F. De
Rosa, La via delle rocche, 1988
[10] G.
Presciutti, M. Presciutti, G. Dromedari, Il
corridoio bizantino al confine fra Marche e Umbria, 2014, pag.85
[11] P.
Rinolfi, op. cit.
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