Scrivendo su don Ubaldo, non so ancora
perché ho sentito il bisogno di ripercorrere i passi di questo prete e di
conoscere un po di più della sua vita. Per don Mariano Mariotti era la stessa
passione per i fossili del Bosso che ci univa con un filo invisible, ma per DON
UBALDO?
Quando tragicamente mori nel 1970, si sospettò che la sua morte
fosse dovuta ad una rapina finita male, ma le successive indagini non portarono
a nessuna conclusione. Molte storie, avvenimenti, chiacchere accompagnarono la
vita di questo prete, ma quello che rimane nella mia memoria, sono poche ma nitide cose.
Lui era un grande cacciatore alla lepre di qui il soprannome “don Leprin”, e molto
amico di mio padre, non tanto pergli affari di chiesa, ma soprattutto per la
comune passione alla caccia alla lepre. Ero
ancora piccolo…sette otto anni e mio padre mi portava spesso con lui a trovare
don Ubaldo e di queste visite ho ancora alcuni ricordi. La salita alla chiesa e
alla canonica, il prato circostante sempre verde e ben curato, e vedere oggi lo stato di abbandono di quella che era una chiesetta
ben tenuta e amata da tutti non fa piacere.
Arrivati con l’ape o con la vespa,
davanti alla canonica, don Ubaldo si accorgeva subito di noi, perchè era sempre
al lavoro nel vicino orto, e ci riceveva con gentilezza e piacere; lui piccolo
e magrolino, che parlava con poche
inflessioni dialettali e che non ho mai visto in abiti talari, ma solo con
pantaloni e camicia da lavoro. Ci invitava in cucina e li seduto al tavolo, aspettavo
con ansia l’uscita dell’uccellino (ogni quarto d’ora) dall’orologio a cucù del
prete, che era posizionato sul muro
screpolato vicino al camino, dove troneggiava ben esposta una vecchia doppietta
da caccia. Altra cosa strana di Don Ubaldo, erano le gabbie dei conigli senza
il fondo, che spostava nel prato dove l’erba era più bella e i conigli
mangiavano direttamente da dentro la gabbia. Lui era molto gentile e mentre a mio padre
serviva l’ottimo vinello fresco di
cantina, tra un discorso di cani segugi e appuntamenti di caccia, a me riservava
sempre una fetta di pane casereccio con il miele delle sue api.
Al ritorno verso casa, mio padre mi
raccontava che don Ubaldo era un prete
intellettuale, colto e intelligente, che pubblicava su molte riviste poesie e scritti
vari e che l’avevano relegato a San Vitale perché era stato un prete ribelle, punito
ed emarginato per avere delle idee diverse da quelle consentite nella chiesa di
allora.
Prete ribelle? Prete punito? Prete
emarginato, tutte domande rimaste senza risposta da allora….e anche negli anni a seguire, quando visitavo o passavo vicino a quella
chiesa sempre più abbandonata e a quei ricordi del pane casereccio e miele e del cucù.
Cercare di avere
qualche notizia in più su don Ubaldo prete ribelle, era un pensiero
ricorrente e una idea che ogni tanto mi balenava in testa e quindi oggi,
nell’era di internet ho iniziato questa ricerca. Purtroppo trovare le sue
poesie, disperse nelle riviste di allora, non è stato possibile, ma ho trovato
il suo libro dal titolo Ite missa…est
pubblicato nel 1920 e presente in una bibblioteca di Torino. Mi sono fatto
mandare una copia e da li è iniziato un percorso interessante perché finalmente
potevo indagare nei pensieri di don Ubaldo.
Appena mi sono arrivate le copie del
libro, ad una prima occhiata, ho subito capito che sarebbe stata una ricerca
impegnativa. Bisognava ripercorrere la storia della chiesa degli ultimi anni
dell’800 e dei primi anni del 900, e del movimento “rivoluzionario modernista”
almeno per avere una idea di quello che trattava il libro di don Ubaldo, e di
capire i motivi del perché fosse stato punito ed emarginato nella sperduta
parrocchia di San Vitale.
Pubblicato
nel 1920 quando don Ubaldo aveva 38 anni può considerarsi il suo testamento
spirituale, il filo conduttore di tutta la sua vita con tutte le delusioni e
amarezze già ben espresse nel titolo Ite,
missa est… e che condizioneranno tutti gli eventi, positivi e negativi
della sua vita religiosa e non.
Questo
naturalmente era un motivo in più, per dimostrare a me stesso, quanti sbagli si
fanno a volte nel dare giudizi o nel condannare persone ed atteggiamenti, senza
conoscere le motivazioni profonde il pensiero, la vita, i sentimenti di chi li
compie. Quanto siamo superficiali, e frettolosi in tutti i nostri giudizi, sia
in quelli positivi e in quelli negativi, e quanti errori commettiamo
continuamente.
Parlando
del libro, la prima analisi da fare è riguardo allo pseudonimo BAR-JONA utilizzato dal Don Ubaldo. Considerato il fatto che
il libro tratta del movimento modernista, perseguitato a seguito di una
enciclica Papale, che portò addirittura alla scomunica e all’allontanamento
dalla chiesa dei principali seguaci, è normale pensare che lo pseudonimo fosse
necessario per evitare rappresaglie. Il
nome BAR-JONA utilizzato è quello dell’appellativo aramaico di
“bandito, latitante, partigiano, ribelle alla macchia”. Riguardo al titolo Ite, Missa est… è la formula latina come congedo
rituale della messa: la messa è finita andate in” pace, o come significato
originario: l’adunanza è sciolta. In questo caso, Ite Missa est… è da
interpretare in quello che l’autore scrive nell’ Avvertenza:
L’autore di queste pagine, visse il movimento modernista con
passione ardente quanto silenziosa. Divenuto sacerdote e parroco, allo scopo di
penetrarne l’intima sostanza, l’andò sviluppando sotto forma di lettere ad un
amico, rifacendosi dalle vecchie posizioni di prete cattolico, fino alle ultime
conseguenze, alle ultimissime, con coraggio uguale a dolore e stupore
crescente. Perocchè incrinature dell’anima e svolgimento dialettico della
dottrina gli fecero prima balenare a sprazzi, e poi comprendere senza scampo,
che pure il Modernismo è (fu) un ritmo di divenire costante.
Quindi Ite, Missa est…. sta a significare la
fine della spinta del Modernismo e delle sue idee innovative, soprattutto la fortissima
contrarietà intrapresa dalla chiesa con l’ enciclica ”PASCENDI DOMINICI GREGIS”
DI S. S. SAN PIO X "SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO del 1907.
Il sottotitolo Lettere di un prete…futurista prende spunto dal libro Lettere di un prete modernista di Ernesto Buonaiuti (1881-1946)
che è stato un presbitero, storico, antifascista, teologo, accademico italiano,
studioso di storia del cristianesimo e di
filosofia religiosa, fra i principali esponenti del modernismo italiano. Scomunicato e
dimesso dallo stato clericale dalla Chiesa cattolica per
aver preso le difese del movimento modernista, fu prima esonerato dalle
attività didattiche, in base ai Patti Lateranensi tra
Chiesa e Regno d'Italia, e poi privato della cattedra universitaria per essersi
rifiutato, con pochi altri docenti (meno di venti), di giurare fedeltà al regime.
Pubblicato anonimo nel 1908 e
ripubblicato con l’indicazione dell’autore solo nel 1948 dopo la morte del
Buonaiuti, è uno dei documenti più importanti del “modernismo” cattolico
italiano. Censurato e represso dalle autorità ecclesiastiche, il modernismo rappresentò,
tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, il tentativo di emancipazione da
prospettive e sistemi di valori di tipo assolutistico, e di affermazione delle
scienze legate alle metodologie sperimentali. Messo al bando dall’enciclica di
Pio X Pascendi Dominici Gregis che additava il modernismo come
“sintesi di tutte le eresie” coloro che vennero considerati “modernisti” (oltre
al Buonaiuti, in Italia, Romolo Murri e Salvatore Minocchi) subirono scomunica
e allontanamento dagli incarichi di insegnamento e pastorali. Lo schierarsi dei
modernisti piuttosto a fianco dei socialisti che con monarchici e liberali,
portò per reazione al cosiddetto “Patto Gentiloni” che in seguito alle elezioni
del 1913 ridisegnò la posizione dei cattolici e del potere ecclesiastico
nell’ambito della vita politica italiana. Scorrendo ancora la prima pagina del
libro troviamo la citazione del Mazzini “nulla è più fatale
a una istituzione che la crescente coscienza della sua inutilità” mi
sembra evidente che in questo caso l’istituzione si riferisce alla istituzione
ecclesiastica così come si trovava in quegli anni, cioè fissa e immobile negli
anni, senza aperture, e comprensioni dei tempi che stavano cambiano con nuovi
moti sociali, e che quindi inutile, inattuale, inadatta a gestire le spinte di
rinnovamento che i tempi proponevano. Anche la scelta del Mazzini, non è
casuale, repubblicano convinto, ma che dopo la nascita dello Stato unitario
italiano per cui aveva lungamente combattuto, fu relegato e condannato dai
tribunali dell’Italia monarchica alla latitanza fino alla morte. Il libro di
Don Ubaldo è stato pubblicato dalla casa editrice “Associazione Italiana dei Liberi Credenti” alla cui fondazione
partecipò anche Gaetano Conte (1859-1917) pastore della Chiesa Metodista Episcopale,
da cui si dimise nel 1911 per poi gravitare intorno al protestantesimo liberale
attivo in quegli anni a Firenze.
In quegli stessi anni si dedicò inoltre alla fondazione dell'Associazione Italiana dei Liberi Credenti e della rivista «La Riforma Italiana», sulle cui pagine scrissero autori come Romolo Murri, il filosofo Enrico Caporali e l'autrice di area modernista Luisa Giulio Benso.
In quegli stessi anni si dedicò inoltre alla fondazione dell'Associazione Italiana dei Liberi Credenti e della rivista «La Riforma Italiana», sulle cui pagine scrissero autori come Romolo Murri, il filosofo Enrico Caporali e l'autrice di area modernista Luisa Giulio Benso.
Nelle prime pagine
del libro nella nota riferita alla casa
editrice che lo pubblichò nel 1920 troviamo già senza inoltrarci poi nella
lettura di tutto il libro, le motivazioni che poi relegarono Don Ubaldo, prete
visonario, modernista, ai margini della
chiesa di allora.
La “Associazione Italiana dei Liberi Credenti” editrice di questo volume è sorta già da
alcuni anni per raccogliere in una opera pratica concorde di educazione e di
propaganda tutti coloro i quali,
appartenendo o no, all’una o all’altra confessione religiosa, vogliono
promuovere un risveglio di sincera ed intima religiosità nel popolo italiano
lottando contro ogni forma di settarismo chiuso, di intolleranza, di
degenerazione della religione in politicantismo; e diffondere una più larga e
serena e comprensiva cultura religiosa. Essa pubblica una rivisa, la Riforma Italiana, la quale è entrata
con il 1920, nel suo nono anno di vita, contrassegnata da una perfetta
regolarità nella pubblicazione mensile. La rivista è sorta per sostenere in
Italia la causa della libertà religiosa, e non dal punto di vista meramente
giuridico e politico, ma come ritorno alla interiorotà e alla sincerità dello
spirito religioso. Essa non fa quindi questioni dogmatiche; segue e segnala i
progressi della critica filologica, storica e filosofica per promuovere la
cultura religiosa,; combattere i vizi morali: insincerità, intolleranza,
superstizione, speculazione politica sulla fede, passività ed abitudine nella
vita religiosa; che sono mali mali di tutte le fedi non intimamente vissute.
Cerca l’unità spirituale degli uomini, della quale oggi è così dolorosamente
intenso il desiderio e il bisogno, nella pratica dei valori cristiano di
sobrietà, purezza, e amore.
Prima di inizire la
lettura e analisi del libro occorre riprendere in considerazione l’Avvertenza di Don Ubaldo che ci racconta come l’immaginario autore di queste pagine
sia stato un ragazzo che visse il movimento
modernista con passione ardente,
diventato parroco, per meglio intenderlo, e penetrarne l’intima sostanza, lo
sviluppò sotto forma di lettere a un amico. Dichiarata la guerra italiana, si
arruolò ma ebbe la sfortuna di morire sul Carso. Soltanto a guerra finita il
suo caro amico, devoto alla sua memoria,
curò e stampò le lettere. Quindi occorre fare un breve accenno a quello che fu il modernismo.
Cos’è il Modernismo?
Possiamo definirlo una crisi di crescita nell’organismo della Chiesa cattolica.
Negli anni a cavallo tra ’800 e ’900, da più parti venne avvertita l’urgenza di
superare la grave frattura che era venuta progressivamente a crearsi tra il
pensiero cattolico e la cultura moderna. Era una frattura che riguardava ambiti
molteplici: la filosofia, la religione, la scienza, la politica e che sembrava
rendere non più comunicabile al mondo moderno la fede cristiana.
Molti intellettuali cattolici si sentirono perciò chiamati ad un’opera di conciliazione tra le conquiste della modernità e la tradizione cattolica. Di conseguenza si misero volenterosamente all’opera. Come purtroppo accade spesso in situazioni simili, i tentativi di questi studiosi non sempre ebbero risultati soddisfacenti per la fede cattolica. Lo sforzo di dialogare con la nuova sensibilità filosofica e scientifica dell’epoca moderna, introducendone le novità nella fede cristiana, approdò, in una certa misura, a compromettere l’identità della fede stessa. Si trattava di un pericolo a cui il Pontefice, che in modo tutto particolare è chiamato a custodire l’integrità della fede ecclesiale nella Rivelazione cristiana, non poteva evidentemente rimanere indifferente. L’intervento inteso a denunciare gli errori presenti in questi tentativi di «modernizzare» la tradizione cattolica (di qui il termine «modernismo»), si concretizzò appunto nell’enciclica "di Pio X "Pascendi Dominici Gregis", pubblicata con la data dell’8 settembre 1907. Si tratta di uno dei pronunciamenti papali più importanti e decisivi non solo del pontificato di Pio X ma dell’intero secolo scorso. Si tratta anche di uno dei testi magisteriali più controversi: esaltato senza riserve nella prima parte del ’900; criticato (se non vilipeso) successivamente. In realtà la valutazione negativa che molti oggi riservano alla "Pascendi" è probabilmente frutto di un pregiudizio: essa viene spesso citata come un documento con cui il «bieco potere ecclesiastico « stroncò senza pietà le voci profetiche che si appellavano ad un rinnovamento della Chiesa. Le cose non stanno certamente così. Se da un lato va detto con chiarezza che l’applicazione concreta delle direttive disciplinari indicate dalla "Pascendi" e da successivi documenti fu, in molti casi, eccessiva, occorre - d’altro lato - riconoscere con altrettanta chiarezza che l’enciclica di Pio X non dava corpo a delle fantasie. Il Papa, infatti, si trovò realmente ad affrontare posizioni che, pur in buona fede, proponevano soluzioni riduttive e inaccettabili su temi assolutamente fondamentali e decisivi per la fede della Chiesa.
Molti intellettuali cattolici si sentirono perciò chiamati ad un’opera di conciliazione tra le conquiste della modernità e la tradizione cattolica. Di conseguenza si misero volenterosamente all’opera. Come purtroppo accade spesso in situazioni simili, i tentativi di questi studiosi non sempre ebbero risultati soddisfacenti per la fede cattolica. Lo sforzo di dialogare con la nuova sensibilità filosofica e scientifica dell’epoca moderna, introducendone le novità nella fede cristiana, approdò, in una certa misura, a compromettere l’identità della fede stessa. Si trattava di un pericolo a cui il Pontefice, che in modo tutto particolare è chiamato a custodire l’integrità della fede ecclesiale nella Rivelazione cristiana, non poteva evidentemente rimanere indifferente. L’intervento inteso a denunciare gli errori presenti in questi tentativi di «modernizzare» la tradizione cattolica (di qui il termine «modernismo»), si concretizzò appunto nell’enciclica "di Pio X "Pascendi Dominici Gregis", pubblicata con la data dell’8 settembre 1907. Si tratta di uno dei pronunciamenti papali più importanti e decisivi non solo del pontificato di Pio X ma dell’intero secolo scorso. Si tratta anche di uno dei testi magisteriali più controversi: esaltato senza riserve nella prima parte del ’900; criticato (se non vilipeso) successivamente. In realtà la valutazione negativa che molti oggi riservano alla "Pascendi" è probabilmente frutto di un pregiudizio: essa viene spesso citata come un documento con cui il «bieco potere ecclesiastico « stroncò senza pietà le voci profetiche che si appellavano ad un rinnovamento della Chiesa. Le cose non stanno certamente così. Se da un lato va detto con chiarezza che l’applicazione concreta delle direttive disciplinari indicate dalla "Pascendi" e da successivi documenti fu, in molti casi, eccessiva, occorre - d’altro lato - riconoscere con altrettanta chiarezza che l’enciclica di Pio X non dava corpo a delle fantasie. Il Papa, infatti, si trovò realmente ad affrontare posizioni che, pur in buona fede, proponevano soluzioni riduttive e inaccettabili su temi assolutamente fondamentali e decisivi per la fede della Chiesa.
I
punti nodali in questione
Le tesi principali
condannate
Le principali tesi dei modernisti condannate da Pio X nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis erano:
* la Rivelazione non è davvero parola di Dio e neppure di Gesù Cristo, ma un prodotto naturale della nostra sub-coscienza;
* la Fede non è un fatto oggettivo ma dipende dal sentimento di ciascuno;
* i Dogmi sono simboli dell'esperienza interiore di ciascuno; la loro formulazione è frutto di uno sviluppo storico;
* i Sacramenti derivano dal bisogno del cuore umano di dare una forma sensibile alla propria esperienza religiosa, non furono istituiti da Gesù Cristo e servono soltanto a tener vivo negli uomini il pensiero della presenza del Creatore;
* il Magistero della Chiesa non ci comunica affatto la verità proveniente da Dio;
* la Bibbia è una raccolta di episodi mitici e/o simbolici, e comunque non si tratta di un libro divinamente ispirato;
* gli interventi di Dio nella storia (quali miracoli e profezie) non sono altro che racconti trasfigurati di esperienze interiori personali;
* il Cristo della Fede è diverso dal Gesù della storia; la divinità di Cristo non si ricava dai Vangeli canonici;
* il valore espiatorio e redentivo della morte di Cristo è frutto della teologia della croce elaborata dall'apostolo Paolo;
Le principali tesi dei modernisti condannate da Pio X nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis erano:
* la Rivelazione non è davvero parola di Dio e neppure di Gesù Cristo, ma un prodotto naturale della nostra sub-coscienza;
* la Fede non è un fatto oggettivo ma dipende dal sentimento di ciascuno;
* i Dogmi sono simboli dell'esperienza interiore di ciascuno; la loro formulazione è frutto di uno sviluppo storico;
* i Sacramenti derivano dal bisogno del cuore umano di dare una forma sensibile alla propria esperienza religiosa, non furono istituiti da Gesù Cristo e servono soltanto a tener vivo negli uomini il pensiero della presenza del Creatore;
* il Magistero della Chiesa non ci comunica affatto la verità proveniente da Dio;
* la Bibbia è una raccolta di episodi mitici e/o simbolici, e comunque non si tratta di un libro divinamente ispirato;
* gli interventi di Dio nella storia (quali miracoli e profezie) non sono altro che racconti trasfigurati di esperienze interiori personali;
* il Cristo della Fede è diverso dal Gesù della storia; la divinità di Cristo non si ricava dai Vangeli canonici;
* il valore espiatorio e redentivo della morte di Cristo è frutto della teologia della croce elaborata dall'apostolo Paolo;
La questione dell’esegesi biblica.
Fu proprio la questione dell’esegesi biblica a innescare la crisi modernista. Alcuni esegeti (in particolare Loisy) introdussero anche in ambito cattolico l’esegesi scientifica (o critica storica) applicata alla Bibbia, già da tempo praticata in ambito protestante. A questi studiosi la "Pascendi" rimprovera un uso dell’esegesi scientifica viziato da presupposti filosofici non compatibili con la fede cristiana. Questi presupposti (precisamente l’«agnosticismo» e l’«immanentismo» tipici del positivismo di fine ’800), rifiutando radicalmente il carattere soprannaturale del testo biblico, conducono l’esegesi scientifica a conclusioni completamente diverse rispetto a quelle trasmesse dalla fede. Un testo biblico dice cose del tutto differenti se esaminato da un esegeta scientifico o letto da un credente. Per salvare sia la scienza che la fede, gli esegeti modernisti proponevano una radicale spartizione di campi: una cosa è la scienza, un’altra è la fede; una cosa è l’esegesi scientifica, un’altra è l’esegesi teologica. Ma qual è il guaio di questa soluzione? Secondo la mentalità positivistica del tempo (presente anche nel pensiero modernistico), solo l’esegesi scientifica dice cose vere, sicure e verificabili. La lettura di fede invece non è reale: è una lettura puramente soggettiva, al limite fantastica, frutto di un vago e imprecisato sentimento religioso.
La questione della rivelazione
La questione dell’esegesi faceva dunque emergere il problema della fede, ridotta, dal pensiero modernistico, a semplice sentimento soggettivo. Strettamente collegata al tema della fede, appare la questione della rivelazione. Nella posizione dei cosiddetti «modernisti» l’enciclica ravvisava una concezione di rivelazione largamente influenzata dalla cultura del tempo. In nome dell’autonomia dello spirito umano si rifiutava infatti di intendere la rivelazione come qualcosa di proveniente dall’esterno dell’uomo. La rivelazione tendeva pertanto ad essere risolta in un’esperienza puramente interiore e, più precisamente, nel sentimento religioso o mistico. In ultima analisi, la rivelazione non sembrava differenziarsi dalla coscienza umana, ma si identificava con essa. Sentimento religioso, fede e rivelazione, sostanzialmente venivano a coincidere.
Questo portava, ovviamente, all’impossibilità di distinguere fra religioni naturali e religione soprannaturale: anche il cristianesimo, come tutte le altre religioni, non è che il prodotto della natura umana.
La questione dell’esegesi faceva dunque emergere il problema della fede, ridotta, dal pensiero modernistico, a semplice sentimento soggettivo. Strettamente collegata al tema della fede, appare la questione della rivelazione. Nella posizione dei cosiddetti «modernisti» l’enciclica ravvisava una concezione di rivelazione largamente influenzata dalla cultura del tempo. In nome dell’autonomia dello spirito umano si rifiutava infatti di intendere la rivelazione come qualcosa di proveniente dall’esterno dell’uomo. La rivelazione tendeva pertanto ad essere risolta in un’esperienza puramente interiore e, più precisamente, nel sentimento religioso o mistico. In ultima analisi, la rivelazione non sembrava differenziarsi dalla coscienza umana, ma si identificava con essa. Sentimento religioso, fede e rivelazione, sostanzialmente venivano a coincidere.
Questo portava, ovviamente, all’impossibilità di distinguere fra religioni naturali e religione soprannaturale: anche il cristianesimo, come tutte le altre religioni, non è che il prodotto della natura umana.
La questione del dogma
In continuità con la nozione modernistica di rivelazione, che si rifà alla nozione di fede intesa come sentimento religioso, emerge la questione del dogma ecclesiastico.
Secondo i modernisti - afferma la "Pascendi" - è il sentimento religioso che fa emergere Dio nella coscienza, ma lo fa emergere in forma indistinta e confusa. Occorre allora l’intervento dell’intelletto che si impadronisce del sentimento e lo elabora in affermazioni concettuali. Le formulazioni che ne derivano costituiscono appunto i dogmi, i quali sono dei semplici simboli o strumenti concettuali. Essi servono al credente come norma pratica in funzione della sua esperienza religiosa. Quando viene meno la loro efficacia in ordine alla vita del credente, devono necessariamente essere modificati in vista di un’efficienza rinnovata. Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica "Pascendi". Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa... Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del Magistero.
In continuità con la nozione modernistica di rivelazione, che si rifà alla nozione di fede intesa come sentimento religioso, emerge la questione del dogma ecclesiastico.
Secondo i modernisti - afferma la "Pascendi" - è il sentimento religioso che fa emergere Dio nella coscienza, ma lo fa emergere in forma indistinta e confusa. Occorre allora l’intervento dell’intelletto che si impadronisce del sentimento e lo elabora in affermazioni concettuali. Le formulazioni che ne derivano costituiscono appunto i dogmi, i quali sono dei semplici simboli o strumenti concettuali. Essi servono al credente come norma pratica in funzione della sua esperienza religiosa. Quando viene meno la loro efficacia in ordine alla vita del credente, devono necessariamente essere modificati in vista di un’efficienza rinnovata. Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica "Pascendi". Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa... Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del Magistero.
DIFFUSIONE
E REAZIONE.
Il
modernismo ebbe una diffusione in tutta Europa. Tra i principali esponenti
vengono ricordati gli italiani Salvatore Minocchi (1869–1943), Romolo Murri
(1870-1944), Ernesto Buonaiuti (1881-1946); l’irlandese George Tyrrell
(1861-1909); gli inglesi Maude Petre (1863-1944) e Friedrich von Hügel
(1852-1925); i francesi Alfred Loisy (1857- 1940) e Lucien Laberthonnière
(1860-1932).
La reazione ufficiale della Chiesa contro il modernismo fu particolarmente ferma: grazie all'attività di una rete di informazione ad hoc, il Sodalitium Pianum, numerosi scritti che sostenevano tesi ascrivibili al modernismo furono posti all'indice e con il motu proprio Sacrorum antistitum, emanato nel 1910, fu imposto a tutti i laureandi delle università cattoliche un giuramento antimodernista in cui, tra le altre affermazioni, si confermava che i miracoli erano segni sensibili adatti a tutte le intelligenze e che i dogmi non subivano modifiche a seconda dei tempi. Nei primi anni sessanta l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sostituì il giuramento antimodernista con la recita del Credo e, nel 1966, fu definitivamente abrogato da papa Paolo VI, durante il Concilio Vaticano II.
La reazione ufficiale della Chiesa contro il modernismo fu particolarmente ferma: grazie all'attività di una rete di informazione ad hoc, il Sodalitium Pianum, numerosi scritti che sostenevano tesi ascrivibili al modernismo furono posti all'indice e con il motu proprio Sacrorum antistitum, emanato nel 1910, fu imposto a tutti i laureandi delle università cattoliche un giuramento antimodernista in cui, tra le altre affermazioni, si confermava che i miracoli erano segni sensibili adatti a tutte le intelligenze e che i dogmi non subivano modifiche a seconda dei tempi. Nei primi anni sessanta l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sostituì il giuramento antimodernista con la recita del Credo e, nel 1966, fu definitivamente abrogato da papa Paolo VI, durante il Concilio Vaticano II.
In Italia, il
personaggio più noto e più erudito era Ernesto
Buonaiuti, già alunno del seminario romano e compagno di studi di Angelo
Roncalli. Anche Buonaiuti sarebbe stato accusato negli anni successivi di
seguire le teorie di Loisy, errori compresi. Avrebbe esposto le sue teorie
soprattutto in due opere pubblicate anonime, Il programma dei
modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi dominici gregis” (1907),
e quindi nelle Lettere di un prete modernista (1908).Certamente
meno erudito e meno coinvolto negli studi biblico-teologici, ma anche più noto
di altri causa il suo prevalente interesse di carattere politico, era Romolo Murri, fedele seguace, a
differenza degli altri, di un rigido tomismo, ma molto attento a tutti i
fermenti che si andavano diffondendo nei vari settori disciplinari, abile
giornalista e conferenziere, e per questo anche più esposto ai richiami e alle
condanne. Molti altri personaggi avrebbero agito in Italia in quegli anni,
spesso ai limiti dell’ortodossia, e ancora più spesso a rischio di condanna.
Possiamo ricordare fra questi padre Giovanni Semeria e Umberto Fracassini,
Francesco Mari, Giovanni Genocchi e Salvatore Minocchi.Alcuni di loro, insieme
con amici e maestri non italiani, avrebbero tentato di darsi un coordinamento,
organizzando un convegno che avrebbe avuto luogo nel Trentino, a Molveno, senza
esiti significativi. Anzi, la condanna
da parte di Pio X sarebbe arrivata proprio nei giorni successivi al convegno di
Molveno, una condanna senza possibilità di appello, presentata in pagine di
rara durezza, e che avrebbe avuto come conseguenza una serie di richiami e
scomuniche che avrebbero coinvolto anche persone che avevano dato un contributo
del tutto positivo al progresso degli studi. In altri termini, si preferì
rischiare di condannare degli innocenti, per essere certi di avere punito tutti
i colpevoli.
Ite,
Missa est….
Il libro prende la forma di 48 lettere
scritte dall’autore a un amico che poi raccolte e catalogate pubblicò in un
libro di 180 pagine. Qui sotto l’elenco delle missive.
Oltre alle problematiche relative al
movimento modernista, ci sono pagine molto poetiche che raffigurano le nostre
campagne bucoliche e serene e ci consegnano pensieri pieni di sentimento.
Dalla
lettera 45- chiarimenti.
L’aurora,
dissonnata
erbivendola,
lasciato
sugli orti il lunare falcetto,
torna
a garrula offerta de’ cesti roridi.
Nottambulo
smascherato,
il
sole torna a ridere,
a
due labbra di nuvole,
amiche
parole d’oro.
E
su dal grigiume di un quartier povero
sale
ognora la luna,
irraggiungibile,
eterea,
al
ballo de’cieli.
E,
spettinate gitane del nord,
ognora
le nuvole scendono a schiarirsi e imbellettarsi
negli
azzurri solatii nostri.
Dalla lettera
22. la chiesa dei monti
Mattiniero
festivo,
ho
aperto la piccola chiesa appollaiata sui monti.
Rossastro
delle vette e dei pendii,
emergente
come una piaga scoperta
sul
turgido delle valli:
nelle
forre, nivee chiazze ridenti al luccicore d’aprile.
Ho
detto:
Muschi
e licheni rimargineranno quella ferita
E
il biblico ritmo campagnolo
Ristorerà
la crisi della mia anima.
Ombre
rare, fra le macchie, si sono radunate,
in
un rigo lento di formiche umane, lì sul piazzale.
O
termometro della civiltà!
Uomini
dalle vesti caprine,
scontrosi
negli atti,
strani
negli accenti tronchi:
i
naturali del luogo:
mio
gregge divino!
Queste poche pagine della lettera 26,
raccontano con una dolcezza incredibile, i primi giorni di maggio, la primavera
gioisce nell’aria, e i primi innamoramenti di due giovani pastorelli, e di
contro il suo amore verso le nuove idee che si riassume nell’ultima tragica
riga…. O povero amore mio, nato-morto, riposa in pace. In queste poche pagine
possiamo leggere e comprendere al meglio l’animo poeta di questo prete.
Emergono con forza dirompente tutti i suoi delicati pensieri, e la sua
straordinaria sensibilità.
In generale le prime pagine del libro
trattano della vita nel chiuso dei seminari, dove “Una folla di paperi neri…i
giovani preti …vengono istruiti al sommo dovere…a papera senza avere il minimo
dubbio o senza la minima interazione personale.
Modernismo, sostegno unico della consacrata mia
vita…..
CONCLUSIONI
Con questa parziale ricerca,
ho voluto dare corpo e forma a un prete di campagna che per anni ha vagato
nella mia memoria. Di lui si sono dette molte cose negative, in relazione a una
sua condotta poco ecclesiastica, ma quello che più mi premeva conoscere e
descrivere era la sua parte intellettuale e spirituale, nascosta a dovere dalla
chiesa di allora. Non pensavo di imbattermi in un dottissimo prete che
conosceva tutti i principali autori del tempo, che corrispondeva con gli
intellettuali modernisti, che collaborava con molte riviste e che aveva una
profonda cultura classica e moderna. La sua esclusione dalle principali rotte ecclesiastiche
hanno finito per relegarlo in una piccola e sperduta parrocchia marchigiana
(San Vitale) dove tutte le sue idee di cambiamento e di modernismo si erano
infrante nella millenaria cultura agricola pastorale. La caduta dei suoi ideali
di Modernismo, con la conseguente repressione dei suoi rappresentanti, scomunicati
e allontanati dalla Chiesa in base alla enciclica di Pio X "Pascendi Dominici
Gregis", procurarono in lui un grande delusione verso la strutture
ecclesiastiche rimaste ancora al medioevo.
Anche così, riuscì comunque
nel suo scopo di dare risalto alle meravigliose cose del creato e le sue pagine
che descrivono la primavera e il ritorno dei pastorelli in amore e delle greggi
belanti nei prati sono un grande inno alla vita e all’amore. La sua fine
tragica, e un po' tutta la sua difficile vita, da prigioniero, ci fanno almeno
in parte comprendere quale doveva essere il destino delle persone non allineate
al potere che da sempre si esprime nelle forme religiose, politiche ed
economiche.
Dare comunque fiato a una voce ribelle, al
Bar-Jona del libro, è un piccolo contributo per ristabilire le vere grandezze
di tanti anime costrette ingiustamente al silenzio in un mondo pieno di
obbedienti paperi neri e di pecoroni ignoranti.
Che Don Ubaldo perdoni le mie
tantissime mancanze e la mia ignoranza riguardo a tutti i suoi scritti e studi.
Ho trovato poco e di quel poco ho riportato un niente.
Paolo Faraoni, marzo 2018
© 2018 by Paolo Faraoni
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