2 - Apecchio nella Repubblica Romana (1798-1799)

di Stefano Lancioni

Assegnato da sette paoli della Repubblica Romana (a)
L’invasione dei Cisalpini (dicembre 1797)
Dopo il trattato di Tolentino e la restaurazione, nella nostra provincia, delle autorità pontificie, i rapporti tra Santa Sede e Francesi, che avevano assunto il controllo dell’intero Settentrione (a parte il Veneto, ceduto con il  trattato di Campoformio all’Austria, rimasero tesi. Di lì a poco si giunse ad una vera e propria rottura con la confinante Repubblica Cisalpina, creata da Napoleone nel giugno 1797, dal 9 luglio 1797, aveva accorpato i territori della Repubblica Cispadana (cioè dell’ex legazioni pontificie di Romagna), confinando direttamente con il territorio della Legazione di Urbino.  Già nell’agosto 1797 un gruppo di irregolari cisalpini sconfinò nel Montefeltro, ma furono respinti dalle truppe pontificie e dagli abitanti della regione[1].
Altro  focolaio di tensione era Ancona, presidiata in base agli accordi di pace da 5000 soldati francesi (che, sempre in base al trattato di pace, avrebbero dovuto evacuare la città alla firma della pace continentale, cioè nel precedente mese di ottobre); la città dorica il 19 novembre proclamò la propria indipendenza dalla Chiesa e si diede un governo repubblicano, protetto dai Francesi; i pontifici si ritirarono e protestarono per l’infrazione del trattato[2].
Il 1 dicembre 1797 giunse al generale cisalpino Dabrowski l’ordine di muoversi nel Montefeltro ed occupare con le sue truppe la rocca di S. Leo, di pertinenza, secondo i Cisalpini, della Romagna. Subito ordinò al comandante della rocca la resa e, avendo questo rifiutato, intimò a mons. Ferdinando Saluzzo, presidente della Provincia, di consegnargliela entro tre giorni, altrimenti avrebbe occupato tutto il Montefeltro. Il Saluzzo, lasciato senza ordini da Roma, si piegò al diktat e ordinò la resa della fortezza (7 dicembre 1797)[3].
A questo punto si mossero i filofrancesi di Pesaro che sollevarono la città nella notte tra 21 e 22 dicembre: monsignor Saluzzo fu posto agli arresti nella sua residenza mentre (22 dicembre) entravano in città i Cisalpini[4]. Il 23 insorgeva anche Senigallia e, nello stesso giorno, “patrioti” pesaresi e fanesi occupavano Fano[5], dove ben presto entrarono le truppe cisalpine, che si diressero quindi verso l’entroterra: il 26 dicembre il generale Lechi con due colonne di soldati era in Urbino, subito abbandonata, senza combattere, dai pontifici[6]; il 26 veniva proclamata la repubblica a Pergola[7]; Urbania fu occupata il 31[8]. Nei primi giorni di gennaio si prese quindi possesso, senza incontrare resistenza, del restante territorio della Legazione, e le varie comunità giurarono obbedienza e fedeltà alla Cisalpina[9].
Da notare che l’invasione era stata effettuata formalmente dai Cisalpini. Ma il 28 dicembre 1797 fu ucciso a Roma il generale Duphot e la Francia entrò in guerra contro lo Stato della Chiesa[10].
Gli avvenimenti della Legazione sono registrati da don Antonio Cancellieri, parroco di San Patrignano di Monte Vicino e viceconte di Montefiore – Contea del Fumo, al conte Luigi Ubaldini di Jesi (interessato non solo della situazione di Montefiore ma anche di quella apecchiese, dato che pretendeva di avere diritti anche su questa comunità) che il 30 dicembre 1797 così scriveva: Credo sarà già a notizia di Vostra Signoria Illustrissima che l’armata cisalpina il dì 7 andante pigliò il possesso della fortezza di S. Leo dopo quattro giorni e quattro notti di fuoco. Il dì 23 alle nove della notte si impossessò di Pesaro ed il dì 26 di Urbino come anche di Fossombrone, e per anche non si sono più avanzati il tutto li è stato consegnato per ordine di Segreteria di Stato. Ci troviamo molto angustiati in sì inaspettato avvenimento. Se mai si dovesse prestar giuramento per il di lei feudo faccio subito la rinuncia al comitato… Se vi sarà tempo spedirò in posta da Vostra Signoria Illustrissima: tanto le servirà di regola[11].
La presa di possesso del nuovo regime fu di qualche giorno dopo. Come attesta don Antonio Cancellieri, in una dichiarazione sottoscritta, ciò avvenne per il feudo degli Ubaldini di Jesi di Montefiore e Pietragialla il 13 gennaio 1798 e, per Apecchio e feudi soggetti, il 17 dello stesso mese: Io notaio infrascritto attesto qualmente il dì 13 gennaio 1798, invasa Città di Castello dalle truppe Cisalpine, furono anche occupati i feudi di Montefiore e Pietragialla imperiali, che si possedevano dalla famiglia Ubaldini di Jesi, ed il dì 17 dettosi assoggettarono ugualmente gli altri imperiali feudi di Apecchio, Basciucheto, Fagnile, Montevicino ed annessi, parimenti di ragione Ubaldini di Jesi, dopo l'estinzione della linea Ubaldini di Città di Castello, et incorporati ed aboliti i diritti feudali, ed ogni giurisdizione  che è quanto per la pura verità ricercato posso asserire, trovandomi io allora commissario di detti feudi per la famiglia Ubaldini di Jesi[12].

La Repubblica Romana
Nacque presto, o fu indotta dagli invasori, l’idea di indire un congresso a Fano di tutti i deputati della ex legazione per creare un regolare governo della provincia. Il 25 gennaio 1798 pertanto ebbe luogo a Fano l’adunanza d’inaugurazione di tale congresso, che fu anche l’unica effettuata: erano presenti i rappresentanti di Urbino, Pesaro, Senigallia, Cagli, Urbania, Fossombrone, Pergola, S. Angelo in Vado e Città di Castello (quest’ultimo era l’unico centro, a parte Fano, esterno alla vecchia Legazione di Urbino; Gubbio pur avendo aderito non aveva inviato delegati). Si scontrarono, per la sede del governo provvisorio, i rappresentanti fanesi (che caldeggiavano la loro città) e quelli urbinati, che ad un certo punto abbandonarono l’adunanza, che si concluse così con un nulla di fatto[13].

Bandiera della Repubblica Romana (c)
Fallito il tentativo di costituire un governo autonomo, dietro sollecitazione del generale francese Berthier, che guidava l’offensiva contro lo Stato della Chiesa, le varie comunità della ex Legazione furono incorporate (gennaio-marzo 1798) o nella Cisalpina (Pesaro e Montefeltro), o nel Governo Centrale dei Paesi Uniti (meglio conosciuto come “Repubblica Anconetana”): aderirono a quest’ultima entità quasi tutte le comunità dell’ex legazione, da Fano e Senigallia a Gubbio e Città di Castello. Quindi, occupata Roma (10 febbraio), il generale Berthier, sino all’organizzazione definitiva del nuovo Stato, decretò (15 febbraio) che la Repubblica Anconetana doveva confluire in esso: fu pertanto proclamata (20 marzo 1798) la nascita della Repubblica Romana[14].
Ad Apecchio la situazione era fluida: il conte Luigi Ubaldini (di Montefiore – Fumo) aveva chiesto al suo commissario, don Antonio Cancellieri, se fosse opportuno formare nel suo feudo una municipalità; il Cancellieri però il 10 febbraio 1798 lo informava  che già dal 16 gennaio erano stati chiamati i deputati di Montefiore-Fumo a Città di Castello, e lì si erano assoggettati: erano stati eletti due commissari dalla municipalità di Città di Castello, da cui dipendevano[15].
Il Cancellieri inoltre informò il conte anche Apecchio si era assoggettata alla città tifernate e fornisce informazioni sui passaggi delle truppe: precisa che il 2 febbraio era passato ad Apecchio il generale Lechi con ventisette dragoni a cavallo ma non si era fermato; successivamente erano passati trecento francesi di fanteria. Questi rinfrescarono a spese della municipalità. Si trattennero due ore ma fuori del Paese[16].
La notizia dell’assoggettamento venne anche riferita (il 1 marzo 1798) da don Orazio Iacobelli (arciprete di Apecchio), che si mostra tutto sommato favorevole al nuovo governo tifernate: Fin dal passato carnevale mi trovo in questa città per dare saldo ad alcuni miei interessi. Don Antonio Cancellieri suo commissario e mio curato mi diede subito la notizia del suo feudo, ed allora i di lei giurisdizionali si erano già assoggettati a questa rispettabile municipalità, la quale è assai ben regolata da persone per bene di talento, onde spero che lei ne rimarrà assolutamente contento. In ordine poi alle divisate ragioni, non so al presente che dirle…[17]

Inutili mosse del conte Luigi Ubaldini
Nel frattempo il conte Luigi Ubaldini di Jesi, che pretendeva di aver diritto al feudo di Apecchio perché appartenuto ab antiquo alla sua famiglia (ed aveva intentato a Roma una causa per riottenere i suoi diritti), non era stato con le mani in mano ed aveva chiesto autorizzazione, già dal 22 di gennaio, al ministro dell’Imperatore a Roma, ad alzare nei suoi feudi lo stemma imperiale. Con lettera del 14 febbraio tale autorizzazione era arrivata. Il 19 febbraio chiedeva al Cancellieri di alzare nei suoi feudi (Montefiore e Pietragialla) lo stemma imperiale (specificava anche che che lo stemma imperiale è un’aquila, e la bandiera è gialla e nera) e, giusto per risolvere tutti i problemi su Apecchio (su cui vantava diritti), voleva che il Cancellieri, se possibile, innalzasse a suo nome lo stemma imperiale anche su questa terra: Con lettera de’ 14 corrente resto avvisato da sua eccellenza conte Carlo Mattiaj di Stragolado ministro dell’Imperatore in Roma ad alzare ne’ miei feudi lo stemma imperiale, onde farli conoscere per dipendenti dall’Imperial Casa d’Austria, sicché evitare qualunque disgusto. Ciò io partecipo a Vostra Signoria, perché non esiti ad eseguire quello le dico qualora i feudi non siano occupati, avendo poi di ciò già scritto nuovamente al detto ministro imperiale, perché in caso d’occupazione, ne ordini la pronta restituzione. Si regoli Vostra Signoria con premura, ed esattezza, et io alle nuove istruzioni che  avrò in persona del Ministro, gli parteciparò la ulteriori determinazioni. Intanto il feudo d’Apecchio, e gli altri annessi di mia ragione se non può alzar questo stemma, lei mi avvisi e io informerò la corte, e del motivo, e della circostanza; se poi si può, ne tenga discorso all’Arciprete, e qualche paesano e mi mandi la risoluzione, onde passarla al ministro, e quindi verrò al possesso, o ne reputerò per procura. Di tanto l’avverto, suggerendole che lo stemma imperiale è un’aquila, e la bandiera è gialla e nera. Attendo i riscontri[18].
Qualche giorno (22 febbraio 1798) il conte Luigi scriveva anche all’avvocato Nicola Domenichini Travi di Città di Castello comunicando l’autorizzazione di innalzare lo stemma imperiale nei suoi feudi, tra i quali era compreso (secondo l’Ubaldini) anche Apecchio. Dato che tale feudo era stato sottoposto (secondo lui per errore) dalla repubblica alla municipalità di Città di Castello, pregava di far conoscere tale abbaglio, ed a ripararlo immediatamente, lasciando in libertà detto feudo, ed annessi[19]. Nella secca risposta indirizzata al cittadino Luigi Ubaldini, Nicola Domenichini Travi di Città di Castello  precisava che oggi si rende vano qualunque discorso di Feudi, ed altri consimili cose del tutto proscritte dalle leggi democratiche, e però dovrà ella dimettere ogni pensiero e riserbare ad altri oggetti li suoi commandi)[20].
Il tentativo (che dimostrava scarsa comprensione della situazione politica e militare creatasi con l’invasione dello Stato Pontificio da parte di francesi e cisalpini) avrebbe potuto provocare grossi guai a coloro che, eventualmente, avessero cercato di porre in pratica tali ordini. Per fortuna nessuno fu tanto sconsiderato da eseguirli, tantomeno don Antonio Cancellieri, che del resto, al momento dell'invasione, per non collaborare con il nuovo regime, aveva subito dato le dimissioni da commissario della contea del Fumo. Ma, pateticamente, il 16 marzo 1798, il conte Luigi Ubaldini scriveva al dottor Antonio Stramigioli di Città di Castello: Attendo con impazienza un'esatta nota de' vassallaggi d'Apecchio e suoi annessi[21].

La legge del 2 germile anno VI (22 marzo 1798)
Due giorno dopo la fondazione della Repubblica Romana, il 2 germile anno VI (22 marzo  1798) fu promulgata la legge che divedeva lo Stato in dipartimenti, cantoni e comuni, secondo le norme della Costituzione di quella Repubblica[22]. Ogni dipartimento contava un certo numero di cantoni ed era retto da un’amministrazione dipartimentale, composta da tre membri[23]. Ogni cantone era formato dal capoluogo e dai comuni ad esso soggetti, che concorrevano a formare con il capoluogo la municipalità di cantone, l’organo di governo cantonale[24].
I dipartimenti, creati sul modello francese, erano otto e assunsero il nome di un fiume o altro elemento geografico: Cimino, Circeo, Clitunno, Metauro, Musone, Tevere, Trasimeno, Tronto. Il dipartimento del Metauro, che aveva come capoluogo Ancona, era diviso in quindici cantoni (tra cui, nella nostra provincia, Cagli, Fano, Fossombrone, Pergola, S. Angelo in Vado,  Mombaroccio, Senigallia, Urbania e Urbino). Il sistema amministrativo era organizzato con il preciso scopo di scardinare completamente l'antica struttura amministrativa: la ripartizione, che voleva essere più razionale, era in realtà confusa e contraddittoria (diverse comunità furono irrazionalmente aggregate ad altre da loro distanti, alcune vennero semplicemente dimenticate, né mancarono i casi di frazioni promosse a comunità).
In particolare Apecchio e Monte Vicino (l'una indipendente dall'altra) facevano parte del cantone di Urbania, insieme ad Orsajola, Montiego, Pietralata, Montepolo, Piobbico, Monte Majo. Non sono menzionate Pietragialla, né i piccoli feudi dell'Apecchiese (Montefiore, Collerosso, Colle Lungo, Colle degli Stregoni) né è chiaro, in quei confusi provvedimenti e in quelli che seguirono, l’esito preciso di questi minuscoli territori dell’ex Legazione di Urbino[25]. Non aveva avuto comunque alcun valore per i Francesi (non è detto del resto che ne fossero stati informati) l'assoggettamento a Città di Castello fatto poco prima da Apecchio e Montefiore.

L’insurrezione di Città di Castello - Il “Viva Maria” del 1798
Del resto i Francesi avevano ben altri problemi da risolvere a Città di Castello. Nella città umbra era stata proclamata dai “Cisalpini della legione bresciana” la repubblica democratica il 12 gennaio 1798; era stato fatto prigioniero anche mons. Durini, governatore della città[26]. Il 1 febbraio circa 300 francesi (evidentemente gli stessi ricordati di passaggio, qualche giorno dopo, ad Apecchio nella lettera di don Antonio Cancellieri sopra riportata) “vennero a Città di Castello, e presero dai Cisalpini la consegna della piazza, che da Cispadana divenne Francese. Li 21 fu proclamata la Repubblica Romana” [27]. Il 16 aprile scoppiò tra la popolazione rurale però in tutto il distretto tifernate un’insurrezione contro la Repubblica, che si diffuse velocemente nell’Assisate e nel Perugino. Placata alla meno peggio in Città intorno al 20, nei giorni successivi dilagò nella campagna, finché gli insorti, guidati da un sacerdote di Lamoli (don Antonio Giorgio Bernardini) al grido di “Viva maria”, non cominciarono ad assediare il centro tifernate, difeso da alcune decine di francesi e  guardie civiche, il 2 di maggio. Il 5 gli ufficiali francesi capitolarono ed in mattinata entrarono i sollevati in città: furono massacrati le persone più invise agli insorgenti[28].
Proclama di insediamento della Municipalità in Città di Castello (13 gennaio 1798) -(b)
Due giorni dopo però giunsero 2000 soldati francesi, che però furono respinti e ripiegarono verso Montone; il 9 si ripresentarono, forti di 3000 effettivi; l’11 i sollevati partirono dalla città: i Francesi entrarono e saccheggiarono per tre giorni la città[29].
Nel frattempo gli insorti erano dilagati anche al di qua dello spartiacque appenninico, entrando senza incontrare resistenza in Mercatello, S. Angelo in Vado (8 maggio) e Urbania (9 maggio): vennero deposte le municipalità repubblicane, abbattuti gli alberi della libertà (simbolo del nuovo regime), minacciati i partigiani della Repubblica[30]. I ribelli cercarono anche di prendere Urbino: verso mezzogiorno del 9 maggio circa 250 insorgenti erano intorno alla città, nella quale i cittadini avevano chiuso le porte. La mattinata del 10 fu occupata nello scambio di tiri di artiglieria tra insorgenti e cittadini, senza grandi danni né da una parte né dall’altra. Alle 13.30 circa giunsero poi ad Urbino circa 450 soldati francesi provenienti da Gubbio che attaccarono gli insorgenti dalla parte di Fossombrone: subito questi si dispersero, inseguiti dai francesi e dalle guardie nazionali[31].
I fatti vengono registrati da don Antonio Cancellieri di Apecchio, ex viceconte e corrispondente del conte Luigi Ubaldini di Jesi: il 5 maggio 1798 precisa che Qui (scil. ad Apecchio) si sta con grandissimo timore per essersi ribellato il contado di Città di Castello e terre circonvicine avendo assediato la città fino dal ultimo aprile. Questa mattina sono entrati li contadini in città alle ore 15 ma ciò che sarà Dio lo sa[32].
Alla fine di maggio don Antonio registra il saccheggio dato dai Francesi a città di Castello (che si sono accaniti sui beni dei Tifernati ma non, per fortuna, sulle persone, ad eccezione dei capipopolo). Sottolinea anche che ad Apecchio si vive con qualche sospetto perché girano dei picchetti per la carcerazione dei delinquenti. Faceva parte di uno di questi picchetti anche un ex suddito del conte Luigi Ubaldini, Francesco Grilli della Palazza[33].

Difficoltà finanziarie
La breve esperienza della Repubblica Romana (marzo 1798 – giugno 1799) fu caratterizzata da una situazione economica e finanziaria critica  “a causa del dissesto ereditato dal passato e delle enormi spese necessarie al mantenimento delle truppe francese”; inutilmente venivano create dalle autorità dipartimentali e governative, quasi giornalmente, nuovi tributi[34]. “La moneta d’oro e d’argento, già rarefattasi negli ultimi anni del dominio pontificio per la continua emissione di cedole, spariva intanto dalla circolazione, sostituita dagli assegnati repubblicani, che erano emessi in tale quantità da perdere quotidianamente parte del potere d’acquisto e che, per l’obbligo fatto ai comuni di accettarli al loro valore nominale, aumentavano il dissesto delle municipalità”[35].
Massiccio in questo periodo anche la vendita di beni ecclesiastici, appartenenti a confraternite, opere pie, comunità[36]. Questo aspetto interessò diversi comuni della nostra provincia, ma non Apecchio. Il podestà Ottavio Gasparini infatti, il 10 luglio 1801 poteva scrivere a Sua Eminenza, rispondendo ad una precisa richiesta del 6 luglio, che, in base alle informazioni prese sia privatamente sia interpellando i pubblici rappresentanti, niuna alienazione, né permuta di beni così detti nazionali, tanto camerali, quanto comunitativi, che ecclesiastici è seguita né nel distretto di questa mia giurisdizione, né alla Carda, né in questi Feudi in tempo della passata Repubblica, ma restano questi fondi tuttora in potere delle rispettive comunità, della Reverenda Camera e dei proprietarj ecclesiastici[37].
In Apecchio venne nominato un esattore repubblicano (nella persona di Marsilio Vagni) al posto del ministro camerale, Girolamo Martinelli, per l'anno 1799 (e quando, il 14 settembre 1799, il Vescovo di Urbania ripristinò Girolamo Martinelli nell’antica sua carica di ministro camerale, pose la condizione che Marsilio Vagni, esattore repubblicano per questa e per l’annesse comunità dovesse continuare ad esigere i pesi camerali per tutto il suddetto anno 1799)[38].

Il crollo della repubbliche giacobine (1799)
La Repubblica romana ebbe comunque vita breve. Nell’aprile 1799 gli eserciti coalizzati austro-russi dilagarono in Italia facendo crollare le repubbliche filofrancesi, tra cui la Cisalpina (27 aprile: battaglia di Cassano d’Adda; 17-20 giugno: battaglia della Trebbia). Un grande aiuto fu dato ai coalizzati, nella nostra provincia, dagli insorgenti, particolarmente numerosi nella zona collinare e montana (la zona costiera era relativamente sicura per i francesi dato che ad Ancona, che avrebbe resistito fino al novembre di quell’anno, quando già tutta l’Italia centrale era nelle mani della coalizione antifrancese, erano stati lasciati il generale Monnier e tremila uomini).
Bandiera della Repubblica Anconitana (d)

Il 30 maggio i Francesi furono espulsi, a furor di popolo, da Rimini; il 7 giugno gli insorgenti occupavano Pesaro (saccheggiando il quartiere ebraico)[39]. L’8 i ribelli tentarono vanamente di occupare Fano[40]; il 9 i pesaresi respinsero le truppe (800 uomini) guidate dal generale Monnier che cercava di riprendere quella città[41]. Il 12 giugno Fano fu attaccata e conquistata da coalizzati (Russi e Turchi) e insorgenti, mentre i francesi si ritiravano verso Ancona[42]. Il 13 entravano in Fossombrone, mentre fuggivano i repubblicani, i conti Giuseppe Marzi e Antonio Mauruzi, che avevano nei giorni precedenti sollevata la campagna[43]. Il 14 ad Urbino prendevano il potere le forze antirepubblicane[44].
I francesi ad Ancona erano praticamente isolati dal settentrione, anche perché nel frattempo aveva ripreso forza, nel Montefeltro (annesso, con Pesaro, alla Cisalpina), la ribellione del “Viva Maria”, che aveva ora il suo centro principale ad Arezzo[45]. Il 30 maggio insorse Pieve S. Stefano e le milizie aretine entrano in Sansepolcro bene accolte dalla popolazione[46]. Il 5 giugno si installò a Sestino una “deputazione provvisoria”, collegata al “Viva Maria” e alle truppe imperiali, con il programma di difendere la religione e rimettere nel trono il legittimo sovrano (Sestino apparteneva al Granducato di Toscana)[47]. Da Sestino l’insurrezione dilagò nel Montefeltro: il 5 giugno insorse Pennabilli[48] e ben presto tutto il Montefeltro fu nelle loro mani, ad eccezione del forte di S. Leo, dove la guarnigione francese si sarebbe arresa agli insorgenti il 13 di luglio[49].
Una lettera del solito don Antonio Cancellieri, del 22 giugno 1799 (che si trovava in quel momento ad Urbania) informa del cambio di regime ad Apecchio (Infin dal di 15 dell’andante per ordine del già cantone d’Urbania sventola l’imperial bandiera… Oggi di qui sono andati in Urbino due deputati per sentire come governarsi, perché Urbania voleva farli soggiacere a lui) e nell’intera provincia: Infin dal di 15 dell’andante per ordine del già cantone d’Urbania sventola l’imperial bandiera. Il dì 16  fu bruciato l’albero a Città di Castello dalli aretini e borghesi e si dicono diretti uniti a Cagliesi e Gubini alla volta di Perugia. Le altre città del Ducato d’Urbino tutte prese. Ieri giunse un commissario russo in Urbania e S. Angiolo in Vado a prender possesso.  Ancor di qui parte truppa diretta a Perugia. Eccole le nuove genuine)[50]



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[1]G. GARAVANI, Urbino e il suo territorio nel periodo francese (1797-1814), Urbino 1906, parte II, p. 32.
[2]S. PETRUCCI, Insorgenti marchigiani - Il trattato di Tolentino e i moti antifrancesi del 1797, Macerata 1996, p. 111; Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, p. 32; G. ALLEGRETTI, Note sulle mutazioni nei comuni di Montefeltro e Massa (1790-1814), in "Studi Montefeltrani", 6/7 (1978/79), pp. 69-110, a pag.. 79. La pace continentale, tra Francia e Impero, fu firmata il 17 ottobre. La repubblica fu proclamata il 19 novembre dal generale francese Dallemagne, comandante della piazzaforte di Ancona, dietro invito di Napoleone.
[3]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, pp. 32-37; S. CAPONETTO, Il giacobinismo nelle Marche. Pesaro nel  triennio rivoluzionario (1796-1799), in “Studia Oliveriana”, X (1962), pp. 1-121, a pag. 70; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 139; G.C. MENGOZZI, Montefeltro giacobino, in "Studi Montefeltrani", II (1973), pp. 67-93, a pag. 69. Vds. anche Allegretti, Note (cit.), n. 18, pp. 78-79.
[4]Caponetto, Il giacobinismo (cit.), p. 71.
[5]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, p. 41; Caponetto, Il giacobinismo (cit.), p. 72; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 141.
[6]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, p. 41.
[7]L. NICOLETTI, Di Pergola e suoi dintorni, Pergola 1899, p. 269.
[8]Garavani, Urbino e il suo territorio  (cit.), II, p.44; Allegretti, Note (cit.), p. 79.
[9]Allegretti, Note (cit.), p. 79-80: "La presa di possesso fu in questa occasione effettiva, rapida, capillare e, dobbiamo dirlo, non contrastata, non foss'altro per timore di rappresaglie. Neppure il clero oppose resistenza... Per non parlare di figure più illustri e più esplicitamente compromesse coi nuovi governanti, come gli arcivescovi Berioli di Urbino o Codronchi di Ravenna".
[10]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, p. 46; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 144.
[11]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, lettera di don Antonio Cancellier al conte Luigi Ubaldini, Apecchio, 30 dicembre 1797.
[12]BPJ, Archivio Ubaldini, b. 23, 90, 91, attestazione di Antonio Cancellieri, notaio pubblico, 1799 (lasciato in bianco lo spazio per giorno e mese).
[13]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, pp. 46-ss.; N. FERRI, La Comune Repubblicana di Fano, in "Fano", 5 (1972), pp. 69-118, a pag. 74.
[14]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, pp. 53-57; G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. III,  Fossombrone 1914, pp. 53-56; Ferri, La comune (cit.), pp. 74-81; G. ALLEGRETTI, Piandimeleto, Ostra Vetere 1987, p. 110; Allegretti, Note (cit.), p. 81; D. CECCHI, Dagli Stati signorili all'età postunitaria: le giurisdizioni amministrative in età moderna, in S. Anselmi (a cura di), "Economia e Società: le Marche tra XV e XX secolo", Bologna 1978, p. 74. Pesaro e Montefeltro appartenevano al distretto del Rubicone. Il confine tra Cisalpina e Romana, che correva tra Fano e Pesaro e zigzagava lungo il corso del Foglia, non fu mai fissato con precisione, cosicché alcuni paesi erano questionati da entrambi gli Stati.
[15]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, 17, 20, lettera di don Antonio Cancellieri (non firmata ma riconoscibile dalla grafia), Apecchio, 10 febbraio 1798
[16]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, 17, 20, lettera di don Antonio Cancellieri (non firmata ma riconoscibile dalla grafia), Apecchio, 10 febbraio 1798
[17]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, 17, 20, lettera di con Orazio Iacobelli al conte Luigi Ubaldini, Città di Castello, 1 marzo 1798.
[18]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, 17, 20, lettera del conte Luigi Ubaldini al Commissario di Montefiore, Jesi, 19 febbraio 1798.
[19]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, Lettera del conte Luigi all’avvocato Nicola Domenichini Travi di Città di Castello, Jesi, 22 febbraio 1798.
[20]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, data incerta.
[21]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, b. 15, 16, lettera del conte Luigi Ubaldini al dottor Antonio Stramigioli di Cittù di Castello, Jesi, 16 marzo 1798.
[22]La Legge sulla divisione del territorio della Repubblica Romana del 2 germile anno VI è riportato in L. Perego Salvioni (a cura di), Collezione di carte pubbliche, editti, proclami, ragionamenti ed altre produzioni tendenti a consolidare la rigenerata Repubblica Romana, tomo I, Roma, 1798, doc. 99, pp. 143-197; Vds. anche Cecchi, Dagli Stati signorili (cit.), p. 74. Con legge 21 fiorile anno VI (= 10 maggio 1798), nel dipartimento del Metauro furono apportate lievi modifiche all'assegnazione di comuni all'uno od all'altro cantone, ma nessuna modifica interessò il cantone di Urbania (vds. la Collezione del Perego Salvioni, doc. 252, pp. 469-487).
[23]Cecchi, Dagli Stati (cit.), p. 75.
[24]Cecchi, Dagli Stati (cit.), p. 75: "I comuni con più di 10.000 abitanti hanno una municipalità propria, formata da sette "edili"; se di popolazione inferiore, hanno un "edile" e un "aggiunto". L'unione degli edili di ogni comune forma la municipalità del cantone...Penosa è l'attività delle amministrazioni e delle municipalità e degli edili in tutte le Marche, isolati e gravati da arbitri e soprusi delle autorità francesi".
[25]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, pp. 87-88.
[26]M.G. MUZI, Memorie civili di Città di Castello, Città di Castello, 1844,, p. 157.
[27]Muzi, Memorie civili di Città di Castello (cit.), p. 157.
[28]Muzi, Memorie civili di Città di Castello (cit.), p. 158.
[29]Muzi, Memorie civili di Città di Castello (cit.), pp. 159-160.
[30]Garavani Urbino e il suo territorio (cit.), II, pp. 61-62; Vernarecci, Fossombrone (cit.), pp. 70-71.
[31]Garavani, Urbino e il suo territorio (cit.), II, 62-68.
[32]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, lettera di don Antonio Cancellieri al conte Luigi Ubaldini, Apecchio, 5 maggio 1798. Si era soliti contare le ore dal tramonto del giorno successivo (le 15 corrispondono grosso modo alle 9 del mattino)
[33]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, lettera di don Antonio Cancellieri al conte Luigi Ubaldini, Apecchio, 29 maggio 1798.
[34]R. PACI, L’ascesa della borghesia nella Legazione di Urbino dalle riforme alla Restaurazione, Milano 1966, p. 80: “Oltre alla tassazione ordinaria, nel marzo si ha una prima imposizione del 3% sui beni privati e del 5% sui beni ecclesiastici; nel luglio si riscuote un prestito forzoso di un terzo sui redditi da 3.000 a 6.000 scudi e di due terzi sui redditi oltre 6.000 scudi; nell’agosto una tassa del 20% sulle proprietà ecclesiastiche da pagarsi in tre giorni e una tassa in derrate del 2% su tutto l’estimo catastale, ripetuta nel dicembre. Altre imposizioni colpiscono gli ex impiegati del Sant’Uffizio, i nemici della Repubblica, il celibato, mentre crescono continuamente le imposte di consumo che ricadono sui ceti più umili”.
[35]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 80.
[36]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 84 ss.  Vds. anche p. 89: “Tutti gli acquisti vennero poi annullati dal cardinale Consalvi con l’editto del 24 ottobre 1801, che concedeva però agli acquirenti, esclusi gli ebrei, il rimborso nella misura di un quarto, delle somme effettivamente  versate. La pagina dei beni nazionali si chiude perciò in perdita netta e, considerata la natura speculativa della maggior parte degli acquisti, in una grande dilapidazione di ricchezza”.
[37]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ottavio Gasparini, Apecchio, 10 luglio 1801.
[38]ASP, Leg., Risposte a circolari, b 11, n. 46 (risposte alla circolare relativa alle rendite camerali), lettera di Alessandro Ionj podestà, S. Angelo in Vado per Apecchio, 30 agosto 1800.
[39]Caponetto, Il giacobinismo (cit.), pp. 112-113; Ferri, La Comune (cit.), pp. 101-102.
[40]T. MASSARINI, Cronaca fanestre o siano memorie delle cose più notabili occorse in questi tempi nella città di Fano, a cura di Giuseppina Boiani Tombari, in "Nuovi Studi Fanesi", quaderno n. 6, Fano, 2001, p. 49.
[41]Massarini, Cronaca fanestre (cit.), p. 49. Caponetto, Il giacobinismo (cit.), pp. 113-114.
[42]Massarini, Cronaca fanestre (cit.), pp. 49-50; Ferri, La Comune (cit.), p. 102.
[43]Vernarecci, Fossombrone (cit.), III, p. 104.
[44]Garavani, Urbino e il suo territorio ( cit.), II, p. 115 ss.
[45]G. RENZI, Momenti dell'insorgenza nell'Appennino tosco-marchigiano (1799) - parte I: Il "Viva Maria" a Sestino, in Studi Montefeltrani, 6/7 (1978/79), pp. 111-197, p. 113. Per il momento rimaneva sotto controllo francese Città di Castello, la città da dove gli insorgenti avevano tentato, come già visto, verso la metà di maggio 1799, inutilmente l'occupazione di Urbino.
[46]Renzi, Momenti (cit.), pp. 124 e 141.
[47]Renzi, Momenti, pp. 142-145; Allegretti, Note (cit.), pp. 86-87.
[48]Allegretti, Note (cit.), p. 87; Renzi, Momenti (cit.) pp. 152-154.
[49]Renzi, Momenti (cit.), nota 111, p. 153; Allegretti, Note (cit.), p. 87
[50]Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, lettera di don Antonio Cancellieri (in effetti anonima, ma facilmente attribuibile al Cancellieri dal contenuto e dalla grafia) al conte Luigi Ubaldini, Urbania per Apecchio, 22 giugno 1799.

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