1 - Apecchio durante l'invasione francese (1796-1797)

di Stefano Lancioni

Carta topografica del Dipartimento del Metauro di Giuseppe Zani (1813) *

Il 16 giugno 1796 le truppe francesi, che avevano oltrepassato le Alpi all’inizio di aprile di quell’anno per combattere gli Austriaci e gli Stati italiani a questi alleati, attraversavano le frontiere dello Stato Pontificio e occupavano, senza incontrare resistenza, Bologna (20 giugno) e Ferrara (24 giugno)[1]. L’armistizio tra Napoleone, comandante dell’esercito invasore, e i rappresentanti della Santa Sede fu firmato il 23 giugno: i francesi mantenevano il controllo delle legazioni di Bologna e Ferrara, avevano libero passaggio in tutto lo Stato della Chiesa, potevano istallare una guarnigione in Ancona; il pontefice doveva consegnare alla Repubblica cento opere d’arte e la folle cifra di ventun milioni di lire (di cui quindici in oro o argento)[2]. Ci si preparava intanto a difendere il territorio dello Stato da una prevedibile ulteriore invasione francese, ma i provvedimenti erano del tutto inadeguati. “Nella Legazione urbinate gli unici punti per una resistenza erano le fortezze di Pesaro, Senigallia e S. Leo. Le prime due nel febbraio del ’93 avevano 12 soldati di presidio e una compagnia del soccorso sulla quale non c’era da contare. Nell’arsenale di Pesaro v’erano 9 cannoni, 300 fucili, 2500 libbre di polvere. In provincia si potevano chiamare 4695 uomini, ma si poteva far conto sulla metà circa”[3].
Nei mesi successivi i rappresentanti francesi ed ecclesiastici, per diversi motivi (tra l’altro i francesi avevano creato nell’ottobre 1796, nella Romagna occupata, la Confederazione – poi Repubblica – Cispadana, non riconosciuta dallo Stato della Chiesa), non riuscirono a firmare un trattato di pace definitivo[4] e la situazione divenne sempre più tesa[5].

La coscrizione nello Stato di Urbino
Il 22 ottobre 1796 la Segreteria di Stato inviava apposita lettera alla Segreteria di Legazione della provincia di Urbino prevedendo la necessità di formare un esercito scegliendo un individuo, in ogni comunità, ogni cento anime presenti.
Il 27 di ottobre monsignor Ferdinando Saluzzo, legato di Urbino, inviava apposita circolare a tutte le comunità dello Stato: in essa si prescriveva la creazione di due deputati per comunità con il compito di scegliere un uomo atto alle armi ogni cento individui. Dovevano essere naturalmente richiesti gli stati delle anime ai parroci e, in basi a questi, bisognava individuare gli arruolandi non minori d’anni 16 né maggiori di 45, non capi di casa, non figli unici, non malsani, né d’una statura troppo piccola. I prescelti dovevano essere visitati dal chirurgo, che ne avrebbe attestato l’abilità alle armi, quindi si sarebbero tenuti a disposizione, con obbligo di partire a richiesta di Sua Eminenza (a cui dovevano essere inviati i nominativi)[6].
Il 26 novembre 1796, ad un mese dall’editto precedente, non era stata inviata dalla maggior parte dei luoghi la prescritta nota dei coscritti, essendo sorte dispute a non finire per la compilazione della stessa. Monsignor Saluzzo pertanto emanò in tale data altro editto per facilitare le operazioni. In esso si prevedeva testualmente che, ad oggetto di togliere ogni motivo di doglianza, i deputati medesimo dopo d’avere notati per coscritti tutti gli oziosi e senza professione e mestiere che vi fossero, forniti per altro di tutti i requisiti… potranno coll’assistenza vostra fare un bossolo di tutte le persone d’ogni condizione atte alla milizia e fornite dei requisiti prescritti… rimanendo ciascuno degli estratti in libertà di surrogare altra persona abile in sua vece. I coscritti sarebbero stati quindi visitati dal chirurgo del luogo per attestarne l’abilità, quindi inviati a Senigallia dal castellano conte Antonelli. Se qualcuno degli ascritti si fosse sottratto, sarebbe stato necessario surrogarne altro, mentre ci si sarebbe rivalsi economicamente sul patrimonio del fuggito o dei suoi genitori[7].
Centri di raccolta per le reclute furono infatti Ancona (per la Marca) e Senigalla (per lo Stato di Urbino): da questo due luoghi le reclute si dovevano trasferire a Roma  per l’addestramento[8].

Le reclute apecchiesi
Apecchio fu tra le prime comunità della Legazione ad inviare la prescritta nota: essa venne inviata a Sua Eminenza dal nuovo podestà, da poco insediatosi in quella terra, Francesco Masini, il 19 novembre 1796 (prima quindi del secondo editto, emanato il 26 dello stesso mese)[9].
Furono prescelti, per Apecchio e per gli Annessi, dai deputati (Vincenzo Parlani e Ubaldo Antonio Masini):
Comunità
Anime

Apecchio
619
Tommaso figlio di Marco Ghigi dalle Ciocche
Paolo di Antonio di Chepaolotti
Pasquale del quondam Giuseppe Cancellieri da Chemainetti
Stefano di Antonio Cristini
Vincenzo di Antonio Vagni
Arcangelo Suriani
Monte Vicino, e Fagnille
230
Giovanni Battista del quondam Angelo garzone alla Cella
Domenico di Mattia alias Parrucca da Chignioni
Pietragialla
370
Antonio di Santino da Chigiorgi
Giuseppe di Domenico di Pappio
Sebastiano di Domenico da Chibicibanchi
Tommaso di Sante da Pianpoleo

Dopo la circolare del 26 novembre, il podestà Francesco Masini provvide ad inviare le reclute a Senigallia: ne dà relazione a Sua Eminenza il 15 gennaio 1797, specificando che i tredici apecchiesi erano stati inviati il 28 dicembre a Sant’Angelo in Vado e consegnate al capitano Rossi, da cui furono inviate a Senigallia al castellano Antonelli[10].
Rispetto all’elenco presentato il 19 novembre, si era aggiunta un’altra recluta, di Baciuccheto, che non era stata considerata nella precedente ripartizione ma aggiunta successivamente dato che la comunità contava 80 anime (si era così raggiunto il totale di tredici coscritti, per un numero di anime complessive di 1299: e, per la precisione, si trattava di un volontario e dodici reclute).
Solo quattro dei dodici coscritti elencati il 19 novembre figurano nell’elenco di coloro che furono inviati il 28 dicembre a Senigallia (Stefano Cristini, Vincenzo Vagni, Tomasso Ghigi, Domenico di Mattia):
Reclute
Stefano Cristini
Luca Tamagnini
Vincenzo Vagni
Tomasso Ghigi
Domenico di Andrea
Antonio Micizia
Tomasso Grilli
Giovanni Battista di Carlo
Paolo Paciotti
Domenico di Mattia
Sante Buttarini
Francesco Martinelli
Volontario
Francesco di Giacomo


Sappiamo con certezza che Arcangelo Suriani, quando gli fu intimato di andare dal chirurgo per la visita, si allontanò precipitosamente da Apecchio, recandosi dai suoi genitori nella giurisdizione di Pian di Meleto (che allora dipendeva dalla Legazione di Romagna, enclave all’interno dello Stato di Urbino): il podestà Masini inviò subito una lettera a quel governatore ma ancora non aveva ricevuto, al 15 gennaio 1797, alcuna risposta[11].
Gli altri probabilmente furono scartati alla visita o utilizzarono la possibilità di essere surrogati (di trovare un sostituto cioè che prendesse il loro posto), come previsto dall’editto del 26 novembre 1796: anche un tal Carlo Zangarelli (nominato evidentemente in un secondo momento al posto di uno dei prescelti del 19 novembre) si era sottratto al momento dell’invio a Sant’Angelo in Vado e si aggirava nelle vicine montagne (e si dice che vada vagando per questi contorni) [12].
Poco altro sappiamo degli apecchiesi inviati a combattere i Francesi. Il podestà Masini informava, alla metà di gennaio, che il capitano Rossi di Sant’Angelo in Vado (che li aveva accompagnati a Senigallia) gli aveva appena comunicato che a Senigallia erano state accettate solo sei reclute e scartate le altre  per pretesi personali difetti, né aveva idea di quali fossero: allude alla possibilità che gli esaminatori siano stati corrotti (né sanno ad altro attribuire simile esclusione che solamente all’auri sacra fames)[13].

La nota delle polveri
Veniva contemporaneamente richiesto da monsignor Saluzzo una dettagliata informazione sulla quantità di polvere da sparo e salnitro presente in ogni comunità della legazione, chiedendo contemporaneamente alle comunità di procurarsene a sufficienza in caso di necessità.
Anche in questo caso la comunità apecchiese rispettò subito quanto ordinato da Sua Eminenza: alla fine di gennaio infatti le comunità vicine ne erano sprovviste (Carda, Colle degli Stregoni), mentre in Apecchio si trovavano cento libbre di polvere da schioppo comprate da un commerciante di Città di Castello, ed a Pietragialla quaranta libbre. Non erano invece presenti in Apecchio fabbriche di nitro, né di polvere, né appaltatori, subappaltatori o commercianti di polvere e salnitro[14].

L’invasione
I sei apecchiesi rimasti a Senigallia non dovettero probabilmente imbracciare le armi, dato che la situazione precipitò alla fine di gennaio 1797: il 31 del mese Bonaparte annunciava l'invasione e, il giorno successivo, dichiarava rotto l'armistizio[15].Il 2 febbraio i francesi  (10.000 uomini circa) spezzavano la resistenza dei pontifici (circa 4.000 uomini) lungo il fiume Senio (presso Faenza)[16] e marciavano verso sud senza incontrare resistenza: il  5 febbraio gli invasori entravano a Pesaro, abbandonata dal presidente della Legazione, mons. Ferdinando Saluzzo[17]. Il 6 febbraio entrava in città il Bonaparte che, il giorno successivo (7 febbraio), creò sia la nuova municipalità pesarese[18], sia una amministrazione provinciale provvisoria (chiamata “Amministrazione centrale”)[19].
Nel frattempo terminavano le operazioni militari nella provincia: nella notte tra il 5 e il 6 fu occupato il forte di S. Leo[20]; il 6 i francesi entravano senza contrasto a Fano[21]; il 7 a Senigallia (e l’8 febbraio erano ad Ancona)[22]. L’11 febbraio si ritirarono verso Roma le truppe papaline che erano rimaste a presidiare il passo del Furlo[23].

Giuramento di fedeltà al governo provvisorio (febbraio 1797)
Una volta costituita l’Amministrazione Centrale della Provincia di Urbino, tutte le località dell’ex Legazione vennero chiamate a prestare giuramento ai francesi (7 febbraio 1797)[24]. Tutte le comunità dello Stato, comprese quelle feudali, dovevano giurare fedeltà alla Repubblica e ciò venne fatto nei giorni successivi a Pesaro di fronte ai soggetti componenti l'amministrazione centrale della provincia di Urbino, residente in Pesaro, stabilita dal generale in capo Bonaparte per la Repubblica Francese  (notaio Paolo Bassi)[25].
Il podestà di Apecchio, Francesco Masini, diede prova di solerzia anche sotto il nuovo regime: si attivò subito per l’elezione dei deputati al giuramento nelle varie comunità della sua giurisdizione (presiedendo i consigli di Apecchio il 9 febbraio, Montevicino e Pietragialla il 12, Baciuccheto il 13) e spingendo anche due rappresentanti di due piccoli feudi della zona (Montefiore-Fumo e Colle degli Stregoni) a giurare fedeltà ai francesi[26].
In effetti alcune piccole comunità feudali furono nell’occasione dimenticate (nella zona di Apecchio non furono ad esempio contattati possessori e/o commissari dei feudi di Carlano, Migliara e Colle Lungo), ma non la contea del Fumo (possesso degli Ubaldini di Jesi) e Colle degli Stregone (degli Antonelli di Senigallia), i cui “viceconti” risiedevano in Apecchio: erano i due sacerdoti don Antonio Cancellieri e don Giambartolomeo Ghigi. Le sollecitazioni del Masini, comunque non ottennero risultati, dato che i due si dimisero per non  giurare obbedienza al nuovo governo[27].
Ciò veniva comunicato dal Masini all’Amministrazione Centrale della Provincia di Urbino in Pesaro il 18 febbraio 1797: Libertà uguaglianza. Cittadini. Ho presa tutta la cura per animare questi deputati della municipalità della mia giurisdizione, non che quelli dei due feudi di Costrigone e Montefiore, che sono li renditori di questa mia per presentarveli sollecitamente. Gli ultimi  non sono più che uno per feudo, perocché i medesimi non contano, che  due famiglie per cadauno; la stessa milizia per il comune di Monte Fiore è quella di Basciocheto. Di questi d'Apecchio e Pietragialla saranno in numero di quattro perché composti di qualche individuo di più degl'altri comuni. Non vi faccia specie se essi sono tutta gente di campagna, mentre solamente di questa vengono formate le suddette municipalità, facendo un sol grado.
In questo corso di posta dirigo mie lettere ai cittadini Antonelli di Sinigaglia e Ubaldini di Jesi possessori de feudi di Colstrigone  e Monte Fiore, conforme m'ingiungete colla vostra dei 13 andante, onde da medesimi si venga alla nomina de giusdicenti del loro rispettivo feudo. Non so per altro se ne avremo per ora alcun risultato, poiché mi si suppone che il primo sia emigrato e che al secondo di presente non giungano li dispacci. Vi ritorno intanto le annesse dimissioni dall'impiego da giusdicenti di Giovan Battista Ghigi, ed Antonio Cancellieri [...] In questo luogo conservasi tuttavia la primiera quiete, e buon ordine[28].
I giuramenti vennero poi effettuati il 21 febbraio 1797 in Pesaro dai cittadini Lodovico Ercolani e Vincenzo Parlani (per Apecchio); Domenico Landi e Francesco Martinelli (per Montevicino); Ubaldo Baldelli (per Basciucheto); Luca Rossi e Francesco Rossi (per Pietragialla). Al gruppo erano uniti anche Marco di Domenico (per Costrigone) e Carlo Grilli (per Montefiore), evidentemente due residenti della zona che il Masini pensò opportuno inviare, stante l’impossibilità di contattare i possessori del feudo o di coinvolgerne i commissari[29].

Il trattato di Tolentino
Nel frattempo papa Pio VI era stato costretto a chiedere al generale Bonaparte la pace. Il trattato fu firmato a Tolentino il 19 febbraio 1797: lo Stato Pontificio si impegnava a cedere alla Francia, oltre alla città di Avignone, le legazioni di Bologna, Ferrara e Ravenna; permetteva l’occupazione di Ancona fino alla “pace continentale”; doveva completare i versamenti previsti dall’armistizio di Bologna (restavano 15 milioni di lire tornesi da pagare), versare altre 15 milioni di lire tornesi, completare la consegna delle opere d’arte. I Francesi si impegnavano ad evacuare l’Umbria e Camerino una volta pagati i primi 15 milioni; Macerata e Fano dopo altri 5 milioni; Urbino dopo il versamento di ulteriori 5 milioni[30].
Dato che il trattato rimase per qualche giorno segreto, i Francesi cominciarono a saccheggiare le province che avrebbero dovuto riconsegnare, di lì a poco, al papa[31].


La firma del Trattato di Tolentino  con a sinistra il cardinale Alessandro Mattei 
Nel frattempo la situazione era precipitata e la parte montana della nostra provincia si era sollevata di fronte alle violenze e ai soprusi, alle requisizioni di oggetti sacri e ai saccheggi e ai furti degli invasori. La sollevazione, popolare, spontanea e non sostenuta dagli alti vertici della Chiesa locale[32], interessò tutta la zona collinare e montana delle Marche[33] e, nella nostra provincia, iniziò ad Urbania. All’alba del 23 febbraio furono uccisi in località Le Lame, a due miglia di Urbania, dagli insorgenti di Massa Trabaria e Peglio il commissario francese Gerard, il cancelliere Giacomo Giuliani e un certo Giambattista Luzi, che li accompagnava; i primi due si erano recati il giorno precedente ad Urbania per requisire oggetti sacri e stavano dirigendosi a S. Angelo in Vado per procedere alle confische anche in quella terra. Subito gli insorgenti entrarono ad Urbania, disarmarono la guardia civica ed incitarono il popolo alla rivolta[34].
Le notizie provenienti da Urbania spinsero alla ribellione altre località della Legazione. Nella notte tra 23 e 24 si sollevarono gli Urbinati, esasperati per le requisizioni di oggetti sacri effettuate dai francesi nei giorni precedenti. Il giorno 24 il vescovo cercò di calmare gli animi ma, non essendo riuscito a riportare la calma, fuggì a Pesaro[35]. Anche tutti gli altri centri dell’entroterra, fino a Fossombrone, si ribellarono il 24 febbraio: solo la costa rimaneva nelle mani degli invasori[36].
Nelle settimane successivi si giunse ad un compromesso: fino all’abbandono del territorio della Legazione, le truppe transalpine si concentrarono nelle città costiere e le zone dell’interno dovettero solo sottomettersi formalmente alle autorità costituite.

Il ritorno sotto lo Stato della Chiesa
Il 6 aprile 1797 comunque ci fu il passaggio di consegna e tutto il territorio della Legazione tornò nelle mani di monsignor Arrigoni che, poco dopo, cedette il posto a mons. Ferdinando Saluzzo[37].
“Partiti i Francesi..., la provincia tornò sotto l’amministrazione papale, alla quale per la verità riusciva più di prima difficile dominare il malcontento e reprimere le spinte rivoluzionarie che l’occupazione francese aveva, in forme confuse e contraddittorie, scatenato e che, riaccesosi durante l’estate un po’ dappertutto, si volsero ora contro le autorità restaurate”[38]. I partigiani dei francesi infatti rimpiangevano che non si fosse realizzato il sogno repubblicano che essi avevano in diversi luoghi della provincia sostenuto; i rappresentanti del governo pontificio non potevano dimenticare che il popolo insorto aveva con le armi combattuto contro l’autorità; i sollevati erano irritati perché, nonostante la felice affermazione militare, il governo pontificio, che non aveva saputo difendersi, pretendeva, privo di prestigio, di affermare nel consueto sonnolento modo, la sua autorità; i nobili infine, dopo un dominio di secoli, aveva dovuto subire, durante i giorni dell’occupazione, varie e gravi umiliazioni  ed erano insoddisfatti di tutti e di tutto[39]


Pio VI, cesenate,  papa al tempo dei fatti narrati nell'articolo
Se a ciò aggiungiamo che Pio VI, per racimolare l’enorme quantità di oro e argento che doveva essere versata, secondo i termini del trattato di Tolentino, ai Francesi, dovette richiedere onerose contribuzioni a luoghi sacri e comunità, si può ben capire che la situazione fosse, per le autorità ecclesiastiche, non troppo felice[40].






[1]S. PETRUCCI, Insorgenti marchigiani - Il trattato di Tolentino e i moti antifrancesi del 1797, Macerata 1996, pp. 39-46. I pontifici erano convinti che si trattasse solo di attraversamenti di truppe dirette dalla Lombardia alla Toscana.
[2]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 48. Ancona fu occupata dai francesi solo dopo il trattato di Tolentino.
[3]S. CAPONETTO, Il giacobinismo nelle Marche. Pesaro nel  triennio rivoluzionario (1796-1799), in “Studia Oliveriana”, X (1962), pp. 1-121, a pag. 37.
[4]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), pp. 55-58.
[5]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 63: “Il fallimento delle trattative di pace (tra Parigi e Roma) erano dovute alle richieste del Direttorio tese a limitare l’autorità religiosa del papa, ma anche al comportamento di Napoleone e dei francesi in Romagna, già all’indomani dell’armistizio di Bologna. Dimessosi l’anziano segretario di Stato Zelada… Pio VI… lo sostituì con il cardinal Ignazio Busca. A settembre partirono le iniziative di armamento a Roma e in tutto lo Stato, per reagire all’accerchiante politica francese”.
[6]ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera circolare di monsignor Ferdinando Saluzzo, Pesaro, 27 ottobre 1796.
[7]ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera circolare di monsignor Ferdinando Saluzzo, Pesaro, 26 novembre 1796.
[8]Petrucci, Insorgenti marchigiani, pp. 65-67.
[9]ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 19 novembre 1796.
[10]ASP, Leg., ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 15 gennaio 1797.
[11]ASP, Leg., ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 15 gennaio 1797.
[12]ASP, Leg., ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 15 gennaio 1797.
[13]ASP, Leg., ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 15 gennaio 1797. La citazione latina è sottolineata nella lettera.
[14]ASP, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, 1796-1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 29 gennaio 1797.
[15]G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. III, Fossombrone 1917, p. 10.
[16]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), pp. 74-78.
[17]Vernarecci, Fossombrone (cit.), III, p. 10; G. ALLEGRETTI, Note sulle mutazioni nei comuni di Montefeltro e Massa (1790-1814), in "Studi Montefeltrani", 6/7 (1978/79), pp. 69-110, a pag. 74; G. GARAVANI, Urbino  e il suo territorio nel periodo francese (1797-1814), Parte I (febbraio-agosto 1797), Urbino 1906, p. 23; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 111.
[18]Caponetto, Il giacobinismo (cit.), pp. 46-48; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), pp. 111-112.
[19]R. PAOLUCCI, Mons. Severoli e l’invasione francese del Ducato di Urbino, in “Studia Picena”, VIII (1932), pp. 1-56, a pag. 2; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 112: "Il 7 a Pesaro fu stabilita l'Amministrazione centrale della Provincia d'Urbino che coincideva con la Legazione di Urbino cui venivano aggregati anche Fano e il suo territorio. Il suo governo veniva affidato da Napoleone ad una commissione di sette membri - uno per città - eccetto S. Angelo in Vado, Urbania e Cagli per punirle della loro ostilità dimostrata contro emissari francesi... Tutte le località vennero chiamate a prestare giuramento ai francesi entro cinque giorni". Garavani, Urbino (cit.), I, 27. "L'Amministrazione centrale, composta da 7 cittadini rappresentanti delle varie città della Provincia; i membri furono eletti, senza neanche consultarli, da Bonaparte e dai suoi partigiani: erano l'ex marchese Giovan Battista Antalti per Urbino, Francesco Maria Mosca e Domenico Mancini per Pesaro, Filippo Uffreducci per Fano, Ubaldo Galeotti per Gubbio, Pietro Paoloni per Fossombrone, Giovanni Maria Grossi per Senigallia".
[20]Allegretti, Note (cit.), 74.
[21]T. MASSARINI, Cronaca fanestre o siano memorie delle cose più notabili occorse in questi tempi nella città di Fano, a cura di Giuseppina Boiani Tombari, in "Nuovi Studi Fanesi", quaderno n. 6, Fano, 2001p. 32. Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 115.
[22]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), pp. 78-83 e 114.
[23]Garavani, Urbino (cit.), I, 30.
[24]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 112
[25]Il libro che registra i giuramenti è in ASP, Repubblica Francese, 1797, b. 1 (giuramenti di fedeltà prestati alla Repubblica Francese dai rappresentanti degli 86 comuni della Provincia), n. 7269.
[26]Copia dei Consigli in ASP, Repubblica Francese, 1797, b. 1.
[27]Le due lettere di dimissioni in ASP, Repubblica Francese, 1797, b. 1, lettera del sacerdote Antonio Cancellieri, Apecchio, 13 febrajo 1797 (Libertà eguaglianza. Era qualche tempo, che persuaso lo scrivente della incompatibilita del impiego di vice conte della Contea di Monte Fiore col carattere di sacerdote, avea determinato di discaricarsi affatto del medesimo, tantopiù che non è mai stato egli per patente eletto, ma avendo solo servito fin qui il possessore  di essa per puro favore; per il che crede in oggi di dovervi avanzare come fa la sua formale dimissione  nel atto, che vi prega a volerla accettare e che si sottoscrive) e lettera del sacerdote Giambattista Ghigi, Apecchio, 13 febbraio 1797 (Libertà eguaglianza. La Contea di Colstrigone è composta di sole due famiglie. Questa non ha avuto  per l'innanzi il suo vero, e legittimo giudice. Lo scrivente si è prestato egl'è vero in qualche circostanza a farne le veci del possessore di essa, per puro titolo di sincera amicizia che passò col defunto suo zio, e il ridetto possessore: non essendo mai stato lo scrivente canonicamente letto, e autorizzato, a scanso pertanto di nullità di atto. ed in ogni maniera, crede ora totalmente abdicarsi d'ogni cura, e impiego,  persuaso che sarete o cittadini per accettare simile dichiarazione).
[28]ASP, Repubblica Francese, 1797, b. 1, lettera del podestà Francesco Masini, Apecchio, 18 febbraio 1797. In effetti il 18 febbraio 1797 il Masini pertanto inviava una lettera al conte Luigi Ubaldini di Jesi informandolo che era necessario nominare un nuovo giusdicente nel feudo di Montefiore. altrimenti tale soggetto sarebbe stato scelto dall’amministrazione centrale della provincia di Urbino. La lettera si presentava particolarmente secca: il Masini precisava anche di non aver più obbligo di rispondere gratis alle lettere del Conte (la lettera è conservata in BPJ, Archivio Ubaldini, p. 17,20)
[29]ASP, Repubblica Francese, 1797, b. 1, n. 7269, giuramenti di fedeltà avanti i soggetti componenti l'amministrazione centrale della provincia di Urbino, residente in Pesaro, stabilita dal generale in capo Bonaparte per la Repubblica Francese  (notaio Paolo Bassi).
[30]Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), pp. 83-90.
[31]Garavani, Urbino (cit.), I, p. 48
[32]Per l’atteggiamento dell’alto clero, basti vedere Paolucci, Mons. Severoli (cit.), passim.
[33]Garavani, Urbino (cit.), I,  p. 73.
[34]Garavani, Urbino (cit.), I, pp. 51-3; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), p. 154.
[35]Garavani, Urbino (cit.), I, pp. 53-54; Petrucci, Insorgenti marchigiani (cit.), pp. 154-155.
[36]Vernarecci, Fossombrone (cit.), III, p. 15; Garavani, Urbino (cit.), I, p. 57. Cagli però rimase neutrale; Pergola fu occupata dagli insorgenti solo il 4 marzo. Non abbiamo notizie degli avvenimenti ad Apecchio.
[37]Pesaro fu evacuata dai francesi il 4 aprile (Caponetto, Il giacobinismo, cit. pp. 58-59), Allegretti, Note sulle mutazioni (cit.), p. 75. Da notare che, nel Montefeltro, Piandimeleto e le comunità ad essa sottoposte, isole amministrative della Legazione di Romagna nella Legazione di Urbino, restarono sotto il governo provvisorio filofrancese ed entarono, nel maggio 1797, nella Cisalpina (Allegretti, Note sulle mutazioni (cit.), p. 78).
[38]Allegretti, Note sulle mutazioni (cit.), p. 78.
[39]Garavani, Urbino (cit.), II, 11-32; G. ALLEGRETTI (a cura di), Frontino, Villa Verucchio 1990, p. 125 ("I possidenti di campagna restarono abbarbicati all'antico, i signori di paese parteggiarono per il nuovo, i non abbienti appresero a disprezzar l'antico e odiare il nuovo").
[40]A Pergola in particolare fu necessario inviare un distaccamento di truppe alla fine di novembre 1797 perché il popolo era in rivolta per le forte tasse imposte e per la mancanza di grano (Nicoletti, Pergola, p. 269). Nel Montefeltro si cercò anche, nell'estate del 1797, di organizzare un'insurrezione "indipendentista": i congiurati, ostili ai Cisalpini e ai Francesi, erano delusi però dal mancato riconoscimento da parte dei Pontifici dei loro meriti nella precedente insurrezione. Il piano sovversivo viene descritto e analizzato da Petrucci, Insorgenti marchigiani, pp. 193-202; vds. anche P. SORCINELLI, Note sul movimento giacobino nella legazione di Urbino, in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", serie. VIII, vol. VII (1971-73), pp. 197-219, alle pagg. 213-214).


© 2015 by Stefano Lancioni - Tutti i diritti riservati


*"16 - Carta Topografica del Dipartimento del Metauro, 1813 - Giuseppe Zani" di Giuseppe Zani - image taken by Accurimbono using a scanner. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:16_-_Carta_Topografica_del_Dipartimento_del_Metauro,_1813_-_Giuseppe_Zani.jpg#/media/File:16_-_Carta_Topografica_del_Dipartimento_del_Metauro,_1813_-_Giuseppe_Zani.jpg

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...