1 - Il convento dei Cappuccini a Cagli : la rocca

di Massimo Mattiacci

PRIMA DEL CONVENTO: LA ROCCA DI FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI

1.1 Il colle
Il colle di San Geronzio che sovrasta la città di Cagli e che ora ospita il convento dei frati cappuccini, ha visto nei secoli un avvicendarsi di edifici con funzioni diverse.
Secondo alcuni scrittori, come il Buroni[1], originariamente sul colle esisteva un tempio pagano in onore di Marte Cale, da cui si pensa che derivi il nome Cagli. Queste sono ipotesi non ancora confermate; ciò che è certo, invece, è che qui esisteva un monastero benedettino risalente all’VIII secolo dedicato a S. Geronzio, vescovo di Cervia e patrono di Cagli. Il monastero conteneva anche le sue spoglie che però andarono perdute. L’edificio era all’interno delle mura cittadine della vecchia città che si ergeva sul colle della Banderuola, distrutta da un incendio nel 1287, a causa di lotte interne tra guelfi e ghibellini. Cagli venne poi ricostruita a valle per volere di papa Niccolò IV.

Fig. 1 – Veduta del colle di S. Geronzio
Purtroppo del vecchio monastero si conosce poco. Fu però un monastero splendido e potente nei secoli successivi, con possedimenti e diritti vari sul territorio cagliese e su quelli circostanti. Alla fine del 400 il monastero fece posto alla rocca descritta nel presente capitolo.

1.2 Costruzione della rocca
Nel 1481, per volere del duca Federico da Montefeltro, il convento benedettino venne abbattuto per la realizzazione della rocca, affidata all’ architetto senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1502).
Questa fu voluta per la sua posizione strategica per il controllo non solo della città, ma anche della valle del Burano, attraversata dalla via Flaminia, e della valle del Bosso.
L’inizio dei lavori si fa risalire al 1481, anche in considerazione del fatto che nello stesso anno il vescovo di Cagli Giulio Bonclerici, per mezzo di un decreto[2], imponeva lo sborso di un fiorino d’oro da destinarsi per metà alla camera vescovile e per metà alla costruzione della rocca, a coloro che avessero rifiutato di pagare la decima sul grano e sul vino. Ciò fa supporre che i lavori fossero iniziati. Sappiamo inoltre che Francesco di Giorgio dal 1477 prese stabile dimora ad Urbino.
La fine dei lavori invece è da porre verso il 1489, anno definitivo del rientro in patria di Francesco di Giorgio. Infatti, come si evince da altri documenti, le decime imposte ai cittadini cagliesi cessarono nel 1487.  

1.3 Descrizione strutturale
1.3.1 La rocca
Francesco di Giorgio Martini descrive il suo progetto nel codice Magliabechiano, scritto di sua mano, inserendo anche un disegno della rocca con il passaggio coverto e il torrione. In seguito fece realizzare una copia del suo manoscritto, il cosiddetto codice Senese.

Fig. 2 - Francesco di Giorgio Martini, disegno della Rocca e del Torrione di Cagli (da Codice Magliabechiano, foglio 68v, Firenze, biblioteca Nazionale).
Nel codice la rocca di Cagli è la prima menzionata tra i vari edifici e questo a testimonianza dell’importanza data alla sua creazione.
Stando alle parole dell’architetto, la rocca doveva essere così composta:
“Confidandosi el mio illustrissimo Signor Duca Federigo in la mia esigua intelligenzia forse più che quella non meritava, gli piacque in più luoghi facesse fare di fondo rocche in nel territorio di sua signoria, le quali al presente non mi pare inconveniente descriverle.
In prima alla città di Cagli in uno monte supereminente [tutta] la città, propinquo a quella piedi 300, el quale da una sola parte può essere bombardato, ho ordinato et all’ordine imposto fine, una rocca in questa forma: in prima la torre principale è [fatta] in guisa di triangulo, del quale uno angulo è verso quella parte dove viene l’offesa acciochè el muro non riceva la percossa [delle bombarde]; in el quale angulo el muro è [massiccio], grosso piedi 35, e nelle altre due estremità delli anguli 4 torroni, eccetto le difese tutti massicci, i quali verso la terra sportano tanto in fora che fanno uno ricetto longo piedi 45, largo piedi 42, [alto piedi 50 adequando l’altezza dei torroni]. Infra questo ricetto et uno delli torroni è la prima porta, la quale è guardata da molte offese, intrasi in detto ricetto per tre porti e due ponti con muri dividenti.
In la grossezza delle mura verso la terra dove non può el muro essere offeso sono le scale intercluse con fortissime intrate, sichè insino alla sommità d’esse possono essere difese; dipoi [in] nel piano della sommità della torre è una stanzia per la polvere et altre salmerie. [Et] intorno alla estremità della torre, sopra li piombatoi, è un muretto alto piedi uno e mezzo , distante da li merli e parapetto altrettanto, cuperto con tavole per forma di casse le quali da per sé a chiave si serrano, sichè pare una banca murata, essendo tutte quello el castellano è sicuro non posser essere scalata la torre, [che per li merli non può essere scalata] per la grandezza [e la larghezza] de’ beccatelli. Secondario, quelli che stanno alla custodia della torre possono aprire e quelli usare per piombatoi. Evvi di poi uno altro ricetto per li fanti, fatto da due muri causanti uno angulo acuto verso la terra, apresso al quale sono due torricini per difesa delle due torroni, muri et estremità dell’angulo, con offese per fianco. E quelli che in detto ricetto intrano, passano per quattro porti e [per] tre ponti non passando per loco suspetto al. Li quali passi dal castellano della rocca sono dominati, aperti e serrati, et ogni volta che sono li fanti in alcuno delli detti passi e ricetti, sono come prigioni del castellano, [et ogni volta] a suo bene placito li può [debellare e] superare, e nuovi fanti o gente mettere nella rocca in lo ricetto superiore propinquo alla torre principale, dove si va per altre intrate, dove stanno altre persone più fidate del castellano, similmente subietti a lui. In una delle due muri dell’ultimo ricetto è uno soccorso coverto che va ad una grossa torre fondata in le mura della terra, [fatta] di muro grossissimo, per la quale el castellano può mettere e cavare gente della terra. In la quale torre sono stanziate per lo castellano, ammonizioni e tre gradi di offese delle mura di fora e di dentro, con cisterna, pistrino, canova, fossi di fore e ponti e molte altre divisioni le quali sarebbe longo descrivendo di narrare. [La quale torre si può dire sia la seconda roccca]. La quale non può (da alcun logo) se non verso la terra essere bombardata, come la figura [ci] dimostra [, però tacerò le particulari per non essere a li lettori tedioso]”.[3]
Per comprendere meglio la descrizione dell’architetto senese, è utile osservare il disegno di Leandro Picchi (fig.3), che con passione realizzò alcuni anni fa la ricostruzione grafica della rocca.

Fig. 3 - Leandro Picchi, ricostruzione grafica della rocca di Cagli.
Attraverso le parole di Francesco di Giorgio si deduce che la rocca fu realizzata sul colle che sovrasta la città di Cagli di circa 100 metri. Grazie alla sua posizione strategica, la rocca poteva essere bombardata solo da una parte. Sul lato esposto ideò il mastio (torre principale), alto 35 metri, a pianta triangolare con un angolo con muro spesso 10 metri, realizzato con pietre in scaglia bianca e rossa (molto comuni nel territorio del ducato).
In fondo a questa torre l’architetto fece realizzare una grande cisterna e, sopra, un mulino a mano, un forno, un magazzino, una prigione ed una stufa (usata per scaldare l’acqua e per preparare olio bollente da gettare contro i nemici).
Nel piano superiore progettò cinque stanze per il castellano, alle quali si poteva accedere attraverso un ponte levatoio.
Nello spessore del muro ricavò delle scale che introducevano ad una stanza superiore, destinata al deposito della polvere da sparo ed altro.

Fig. 4 - Foto dall’alto del convento, dove è ancora ben visibile la punta della rocca.
In cima a questa torre l’architetto ideò un muretto di circa un metro d’altezza con merli e beccatelli alla base ricoperti da tavole, che potevano essere chiuse a chiave. Questa chiusura era utilizzata per due motivi: il primo, per evitare la scalata della torre attraverso i beccatelli, il secondo, perché in questo modo chi era a difesa non rischiava di cadere nei buchi dei piombatoi. Sollevando le tavole, invece, i piombatoi erano pronti per l’uso militare.
Negli altri due angoli edificò due solidi torrioni che sporgevano in maniera tale da dare origine ad un ricetto (cortile) lungo circa 15 metri e largo 8, per gli uomini di fiducia del castellano. Tra il ricetto e uno dei torrioni ricavò la porta d’ingresso.
Francesco di Giorgio pensò poi ad un altro ricetto per i fanti, delimitato da due muri che si univano in un angolo acuto rivolto verso la città di Cagli. Vicino all’angolo progettò due torricini con offese laterali, destinati alla difesa dei due torrioni del ricetto e dell’angolo stesso. La struttura è tutt’ora presente, ma meriterebbe un adeguato restauro strutturale.
Inoltre, nel muro laterale di questo ricetto, Francesco di Giorgio fece realizzare un passaggio sotterraneo chiamato soccorso coverto, che giunge ancora oggi al robusto torrione posto a valle, ideato sempre dall’architetto, creando così un unico sistema di difesa. Da questo torrione e, dunque, attraverso il passaggio, potevano arrivare aiuti dalla città.
Numerosi furono i ripensamenti in corso d’opera; ad esempio, nel disegno originale, il soccorso coverto finiva in uno dei due torricini. In realtà, gli scavi svolti negli anni ‘70 hanno dimostrato che il passaggio terminava nella punta di questo ricetto. Anche il torrione sottostante è in una posizione errata rispetto alla prima idea dell‘architetto: nel progetto è posto a sinistra della rocca, nella realtà è alla sua destra, in linea con la via principale che porta alla piazza di Cagli.
C’è poi chi, come il Maltese[4], studiando a fondo le costruzioni Martiniane, si domandò se, ad esempio, il mastio fosse veramente a forma triangolare, come descritto nel Trattato, o fosse costruito a pianta semicircolare o pentagonale. Inoltre, Maltese afferma che il mastio si trovava nella collinetta sovrastante l’attuale chiesa dei cappuccini. Invece, oggi alcuni credono che il cortile interno del convento abbia misure simili a quelle fornite da Francesco di Giorgio per il ricetto[5]. Ciò significa che la parte del convento rivolta verso la città, corrisponde all’ edificio disegnato dall’architetto tra i due referti e che, dove oggi è situata la chiesa, probabilmente sorgeva il mastio della fortezza. Questa tesi è confermata anche dal marcapiano che corre lungo la parete nord del convento e che non può essere giustificato se non come un avanzo della fortezza, dato che non trova spiegazione in una struttura conventuale cappuccina.
Inoltre, alcuni frati raccontarono[6] che, rifacendo il pavimento della chiesa, trovarono una scala sotterranea che doveva fare parte del mastio; la scalinata conduceva, tramite un camminamento voltato, ad un’ uscita (scoperta anche questa in epoca recente), che combacia con il muro di contenimento del piazzale. In seguito l’uscita è stata murata, ma sarebbe interessante una sua riapertura.

Fig. 5 - Parte nord del convento dove è ancora visibile ( riquadro rosso) il marcapiano della rocca.


1.3.2 Il soccorso coverto
Composto da 367 scalini, questa lunga galleria sotterranea era il collegamento tra il torrione e la rocca, quindi tra la città e il colle. Francesco di Giorgio Martini pensò a questo come passaggio per i soldati in caso di attacchi alla città.
Il cunicolo è stato interamente scavato nella roccia ed è coperto da una volta a botte in mattoni.
I soldati per raggiungere la rocca dovevano scendere dal torrione fino all’inizio del passaggio situato sotto il fossato e da qui percorrendo la scalinata si usciva nel puntone della rocca.
Con la distruzione della rocca il soccorso venne murato, sicuramente per evitare che i nemici potessero entrare in città da questo. Il passaggio venne poi riaperto nel 1979 da Marcello Mensà, che da molti anni si dedica con passione a ricerche e pubblicazioni storiche sulla città di Cagli.

1.3.3 Il torrione
Percorsi i 367 scalini sotterranei, si arriva al torrione, imponente costruzione facente parte del progetto di Francesco di Giorgio Martini e inglobato all’interno delle mura cittadine.
Insieme al soccorso coverto sono le uniche due parti rimaste in ottime condizioni grazie anche al restauro strutturale concluso nel 1989. Proprio questo lavoro ha parzialmente riportato alla luce il fossato esterno, chiuso nell’800 come si desume dalle mappe catastali dell’ epoca[7].
Si accedeva al torrione tramite un ponte levatoio, azionato da catene che passavano per le due asole sulla parete e che terminavano in una piccola stanza sopra la porta di ingresso, da cui si azionava il ponte. Si entra al primo piano tramite un corridoio con volta a botte realizzato nello spessore di circa quattro metri delle pareti che, come per la rocca, sono state realizzate con blocchi di pietra in scaglia bianca e rossa.
Questo piano si presenta come gli altri estremamente spartano, anche se a differenza delle altre rocche realizzate dall’architetto, il torrione venne intonacato all’interno e venne utilizzata come cornice all’entrata e in altri punti una pietra rosa detta rosso ammonitico, poichè il torrione venne creato ex novo e l’architetto mise più cura nei dettagli.
All’interno di questa sala le cinque grandi troniere ritmano lo spazio. Le troniere costituivano le postazioni da tiro dei soldati, ed erano composte da feritoie in cui entrava la canna dell’arma da fuoco e da fumiganti (presenti solo nelle troniere esterne alla cinta muraria), camini di aspirazione dei fumi delle armi.
Sotto il primo piano vi sono due stanze simmetriche per dimensioni tra loro, a cui si accede da scale separate. Nella stanza di sinistra è presente una feritoia per le armi da fuoco che punta verso la città ed una piccola apertura rivolta verso le mura. Attraverso questa stanza si poteva accedere al soccorso coverto tramite una scala in verticale, detta “alla marinara”.  
Lo stesso sistema era utilizzato per accedere alla rocca, testimoniato da resti in ferro conficcati nella roccia. Infatti, le comode scale che oggi permettono di raggiungere il passaggio, sono state realizzate a posteriori.
L’altra stanza è munita di tre postazioni per arma da fuoco ed è stata realizzata sopra una cisterna in mattoni. Quest’ultima veniva riempita con l’acqua piovana che affluiva dall’alto tramite un condotto che presenta delle finestre nei vari piani del torrione, dalle quali si poteva attingere l’ acqua. L’idea dell’ architetto era di evitare che durante un assedio i soldati si abbeverassero con acqua proveniente dall’acquedotto, che poteva essere facilmente contaminata.
Salendo al secondo piano, si entra in un ambiente abitabile. Si pensa che questa fosse la stanza del connestabile[8]; questo lo si intuisce dal fatto che nelle troniere non ci sono bocche da fuoco ma finestre ed un camino.
Il terzo e ultimo piano ha una copertura ovoidale con travature lignee e capriate centrali. Qui i soldati potevano lanciare dardi e frecce o gettare olio bollente contro i nemici. Questa parte è un ballatoio circolare con piombatoi e anche qui sono inserite le bocche da fuoco. All’esterno vistose cordonature in pietra aggettanti e beccatelli in mattoni fanno da coronamento alla struttura[9].
Al centro invece è stata realizzata un’altra sala di forma ellittica delle dimensioni delle stanze sottostanti, in cui venivano messi i prigionieri. Nella parete interna una scritta recita: “CARO MIO CONPAGNO AMA IDIO E LA SUA MADRE SIGNORE CONTE RVBERTO … SIGNORE ROSO RIDOLFI ADI 24 DE NOVEMBRE 1519”. Questa è una dedica che si riferisce a Roberto Boschetti, governatore generale, e a Rosso Ridolfi testamentario generale, entrambi del ducato d’Urbino, che in quel periodo era governato dai Medici che lo avevano sottratto ai Della Rovere nel 1516.

1.4 Distruzione della rocca
La rocca però non ebbe lunga vita, infatti nella primavera del 1502 Cesare Borgia, detto il Valentino, chiese al duca Guidubaldo da Montefeltro, succeduto al padre Federico nel 1482, di poter transitare con le sue truppe armate attraverso il ducato, con il pretesto di poter accerchiare il ducato di Camerino. Guidubaldo diede la possibilità al Valentino, che entrò a Cagli il 20 Giugno del 1502 con duemila soldati. Una volta entrato fece disporre i suoi uomini all’entrate delle porte della città, nel torrione e nella rocca. Così facendo occupò la città. Il giorno dopo il Borgia entrò in Urbino, venendo così in possesso del ducato. Guidubaldo, che non pensava ad un tradimento del Valentino, si vide invece derubato dei suoi domini e fu costretto a fuggire alla volta di Venezia. Ma le repressioni e i saccheggi dei soldati e dei mercenari borgiani provocarono un malcontento generale e la popolazione iniziò a ribellarsi e ad impugnare le armi, attaccando gli stessi soldati. Anche alcuni sui ex-condottieri tramarono contro di lui e decisero di unirsi nella “lega dei condottieri”. Questi, con l’aiuto della popolazione di Calmazzo, il 18 ottobre del 1502 riuscirono a sconfiggere l’esercito del Borgia che fu poi costretto ad una ritirata.
Guidubaldo, ritornato in possesso del ducato, diede disposizione di far smantellare le sue fortezze più munite come quella di Fossombrone, di Pergola e di Serra Sant’Abbondio. Lo storico cagliese Bricchi su questo scrisse:
“La superbissima rocca fabricata dal prefato Duca per pretesa difesa de suoi Stati, fù da Guido suo figliuolo com’inutile e dannosa smantellata e guasta; poiche era chiarito che quella erali stata d’impedimento grandissimo à ricuperare i suoi stati, usurpati dal Valentini; mentre tenendo tal Rocca, per quello, i Capitani Spagnuoli, da essa battevano la Città, e per essa tenevano securo il sito, e il passo della Via Flaminia, onde per i danni che da quella risultavano fù astretto il medesimo Guido à lasciar il nuovo Ducato, e à ritirarsi nella Città Di Venetia, Quando pure una volta indebolita la forza del Valentino, per la creatione del nuovo Pontefice Giulio II. Ricuperando il Ducato, rovinò non solo la Fortezza di Cagli, ma tutte le altre fatte dal Padre, per haverne Più tosto riportato danni e rovine, che aiuto e utile, affemando doversi far stima maggiore del valore e fede dei sudditi, che dell’incerta fortuna dell’infide Rocche si come l’esperienza glie n’era maestra”[10].
Il motivo stava nel fatto che queste rocche di difesa erano costate molto a Federico da Montefeltro e non erano servite poi al figlio a conservare il ducato, ma, al contrario, era stato poi difficile recuperarle visto che vennero occupate dal nemico. Tutto ciò è descritto anche nel Principe di Macchiavelli e ribadito dallo storico cagliese Gucci, il quale annota come l’esperienza avesse insegnato al duca “che i cuori dei popoli sono le vere e certe rocche ai principi giusti et amati”[11].
La rocca però non fu rasa al suolo, in modo tale che potesse essere riedificata in caso di necessità con poche spese. Fu abbattuto il mastio e vennero creati varchi nelle torri e nei ricetti.
In seguito, venne smantellata, utilizzando i suoi resti per la realizzazione del convento, mentre, come detto in precedenza, il soccorso coverto ed il torrione sono invece arrivati intatti fino ad oggi.





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[1] G. Buroni, Pitino Mergente, Macerata Feltria, 1933, pp. 50-53.
[2] G. Volpe, La rocca di Cagli tra storia e restauro in L’architettura di Francesco di Giorgio Martini tra ricerche e restauri, Pesaro, 1994, p. 121.
[3] F. Di Giorgio Martini, Trattato di architettura, ingegneria e arte militare, a cura di Cesare Saluzzo Torino, 1841, pp. 288-290.
[4] C. Maltese, Opere e soggiorni urbinati di Francesco di Giorgio in studi artistici urbinati, Urbino 1949.
[5] A. Mazzacchera, Chiesa e convento dei padri cappuccini in Il forestiere in Cagli, Cagli, 1997, p. 164.
[6]  Ibidem, p.167
[7] A. Mazzacchera, Torrione in Il forestiere in Cagli, Cagli, 1997, p.201
[8] Ibidem, p.202
[9] G. Volpe, op. cit., p. 133.
[10] F.Bricchi, Vita e miracoli del glorioso martire S. Gerontio vescovo avocato della città di Cagli con gl’annali di questa, Urbino, 1639, p.128.
 [11] A. Gucci, Memorie della Città di Cagli e de’ Prencipi suoi dominanti, ms. del XVII sec. biblioteca comunale di Cagli, f. 478.  

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