3 - Apecchio e la prima restaurazione pontificia (1800-1808)

di Stefano Lancioni


Il ponte medievale di Apecchio (*)

Il Governo provvisorio austriaco
Con la sconfitta delle armate francesi (settembre 1799), nel  Lazio si insediò un’amministrazione provvisoria napoletana, mentre nelle Marche e nell’Umbria venne creato un “Imperial-regio Commissariato”, dapprima affidato a Giovanni Domenico De-Iacobi, poi, dall’ottobre 1799, al comandante Wanwick de Cavallar; entrambi ebbero il compito di ordinare e organizzare politicamente e amministrativamente le province occupate e prepararle ad una prolungata occupazione austriaca[1]. Il 31 gennaio 1800 un editto del De Cavallar istituì, in tutte le Marche e l’Umbria, con l’esclusione di Perugia, dal 15 febbraio successivo, un “Governo generale” denominato “Cesarea Regia Provvisoria Reggenza di Stato”, con sede ad Ancona e composto da cinque reggenti. Erano ricostituite integralmente le magistrature comunali prenapoleoniche[2].
Da sottolineare che il vescovo di Urbania venne nominato, nel settembre 1799, “delegato imperiale” e, in tale veste, intervenne più volte in Apecchio. Tra i primi atti, il 14 settembre 1799 il Vescovo di Urbania ripristinava Girolamo Martinelli nell’antica sua carica di ministro camerale, colla condizione che questo Marsilio Vagni, esattore repubblicano per questa e per l’annesse comunità dovesse continuare ad esigere i pesi camerali per tutto il suddetto anno 1799[3]. Le maggiori preoccupazione vennero però non dai Francesi ma dagli anacronistici tentativi del conte Luigi Ubaldini di Jesi di impossessarsi di Apecchio.

Apecchio - Francesco Mingucci (1626)


Colpo di mano del conte Luigi Ubaldini
Nel settembre 1799 ad Apecchio venne tentato un “colpo di mano” da parte del conte Luigi Ubaldini di Jesi, già detentore di una rata di Monte Fiore (la “Contea del Fumo”) e da tempo in contrasto con la Santa Sede sulla sovranità su Apecchio: il Conte pretendeva che il feudo (devoluto alla Santa Sede per la morte del conte Federico II Ubaldini nel 1752)  non spettasse alla Santa Sede, ma a lui in quanto ultimo discendente degli Ubaldini che avevano nel Trecento governato quella Terra. Nel 1797, alla vigilia dell’occupazione francese, il conte Luigi aveva affidato a tre avvocati l’incarico di avviare una causa civile contro la Camera Apostolica per il possesso di Apecchio[4].
In quegli anni tuttavia, a causa dell’invasione francese, il conte Luigi aveva dovuto abbandonare ogni pretesa e anzi, negli stessi anni, era stato accorpato a Città di Castello il suo feudo di Montefiore (Contea del Fumo). Tuttavia, quando gli Austro-Russi cacciarono i francesi dall’Italia e gli Insorgenti dilagarono nel territorio dell’ex Repubblica Romana, riprese possesso di Montefiore e cercò anche di occupare Apecchio (9 settembre 1799) inviando a tal scopo un tal Cassiano Rosini
Il conte Luigi aveva ottenuto un rescritto dall’imperial regio commissario De Iacobj attestante i suoi diritti che, a detta di diversi personaggi (tra cui il Vescovo e don Antonio Cancellieri) era stato illegalmente modificato[5]. Dopo essersi presentato personalmente in Apecchio con il rescritto (ignoriamo momento preciso e modo), ritornato a Jesi, da questa città inviò il notaio Cassiano Rosini ad Apecchio con la precisa istruzione di prendere possesso di quella Terra e dei luoghi annessi: costui avrebbe dovuto contattare  don Antonio Cancellieri (ex viceconte della Contea del Fumo), presentare le lettere al podestà del luogo e all’arciprete, quindi avrebbe dovuto intimare ad autorità e popolo di prestare i prescritti giuramenti di fedeltà stendendo immediatamente istrumento di possesso[6].
Le cose però andarono diversamente, come ci testimonia il notaio Rosini in apposita relazione, conservata nella Biblioteca Planettiana di Jesi: in data 9 settembre 1799, quando fui colà (scil. in Apecchio) giunto, e recapitate le lettere, di cui ero munito per quel signor ariciprete Iacobelli, e signor don Antonio Cancelliere commissario de' feudi di detto signor conte Ubaldini, nonché pel signor  podestà, a cui scriveva il signor Antonio Fracassi segretario di detto signor comandante De Iacobis, confermando detto rescritto e pregando dell'esecuzione di esso, sentito il motivo della mia venuta, mi consigliarono a tacerlo, poiché monsignor Vescovo di Urbania prima delegato detto da detto signor De Iacobis, che fu colà a prender possesso a nome di Sua Maestà Imperiale., aveva inibito quel podestà, magistrato, ed altri, anche con minacce, di non dare il possesso di detti feudi al predetto signor conte Ubaldini, e siccome il detto signor conte si portò prima in Apecchio in persona, e vi fu da diversi acclamato per loro padrone e signore con degli evviva, il detto monsignor Vescovo ne fece subito carcerar più d'uno, ed ordinò che si facesse anche resistenza, se più azzardasse a voler essere ammesso il signor conte Ubaldini al possesso pubblico, tanto che quel popolo, così mi riferirono di detti due sacerdoti, per timore delle minacce del vescovo ed insieme degli ordini dati, se avessi io resistito a volere in qualsivoglia modo, forma, e maniera prendere detto possesso, avrebbero data anche la campana all'armi, andando a pericolo d'esser io massacrato. Mi aggiunsero ancora che il popolo d'Apecchio era contentissimo di ritornare sotto il dominio feudale di detto signor Conte, purché si levasse loro l'ostacolo d'inibizione postovi da detto Vescovo d'Urbania. Sentitosi da me tutto ciò, stimai prudenza per non esser massacrato, sospendere e ritornarmene, tanto più che v'erano aderenti di monsignor Vescovo che sindacavano tutti i miei passi...[7]
Altra lettera di Cassiano Rosini, del 26 settembre 1799, ripercorre gli eventi dei giorni passati: Non avrei mai creduto, colla promessa, che antecedentemente io gli avevo fatto, mi mandasse in Apecchio per farmi massacrare. Appena giunto, e non smontato da cavallo, sospettando fossi io persona mandata a posta per prendere il noto possesso, e subito si videro dei complotti. Smontato e discorso col signor don Antonio, a cui consegnai la sua lettera, mi disse immediatamente che se mi premeva la vita, avvertissi di non parlare. Portatovi da quel degnissimo signor arciprete, e letta la  sua lettera, mi confermò lo stesso, aggiungendo che non era  mai possibile mi potesse servire a prender il possesso suddetto né pubblico né privato perché  il signor Vescovo aveva inibito il gonfaloniere, tutti li consiglieri, podestà, cancelliere e segretario che avvertissero di non dare alcun possesso, e questa proibizione per due motivi, primo perché quando ella presentò il rescritto del commissario De Iacobj rilevò esser stato quello  alterato (cosa che quando la vidi, mi gelò) e che Monsignor subito ne fece estrarre copia pubblica, che mandò a vista al commissario; secondariamente v’era una lettera posteriore in data dei 14 del Jacobj che confermava le disposizioni prese dal Vescovo. E questo rispetto al possesso in pubblica forma. Rispetto al prenderlo privatamente nel centro del feudo, si rese impossibile perché fui guardato a vista finché uscij dai confini; e se facevo resistenza, si minacciò darmi la campana all’armi. Cosa ne dice ella signor conte padrone?
Il Rosini propone quindi di intervenire presso il commissario Iacobi: non era possibile altrimenti prendere possesso della terra (Gli apecchiesi non credo già le siano contrarj; no,  non lo sono, anzi sono contenti. Ma vole che lei revochi gl’ordini del vescovo organizzatore deputato dal commissario Iacobj ed allora sono dispostissimi. Dunque il mio sentimento egli è di portarsi subito unitamente col signor Da Rosa, che dal Commissario è veduto di buon occhio, ad ottenere in virtù del primo rescritto una lettera per il vescovo di Urbania, acciò il vescovo istesso scrivesse in Apecchio a quel magistrato e podestà che se le permettesse il suddetto possesso)[8]
Ma il De Iacobi, imperial-regio commissario austriaco, aveva perso chiaramente la pazienza ed un suo impiegato, tale Antonio Fracassi, il 2 ottobre 1799 così scriveva: Son debitore di risposta due sue lettere, una delle quali era diretta al signor de Iacobi. Io non voglio decidere sui motivi che ella suppone di avere per lamentarsi del mio signore de Iacobi, né le farò parola sulla disposizione che mostra Vostra Signoria Illustrissima di voler ricorrere al trono dell’augusto nostro Sovrano qualora non se le dia il possesso de Feudi toltigli e dalla Repubblica, e dalla Camera Apostolica. In quanto ai feudi usurpatigli dal Governo della Repubblica Ella sia pur certa che non le si fa alcun ostacolo, ma in rapporto a quelli devoluti alla Camera Pontificia non se la permetterà mai dal signor de Iacobi,  di far alcun atto possessorio. Questo è quello che io posso e debbo dirle per parte anche del sig. Comandante, il quale ora trovasi incamminato alla volta di Venezia. Ella faccia pur ciò che crede, ma non azzardi mai più di dire che io ho alterato a suo modo il rescritto come ha avuto la bontà di dirlo in Apecchio…[9]
Il successore del De Iacobj, Antonio di Cavallar, imperial regio commissario cesareo, si espresse con più diplomazia sui diritti del conte Luigi (che, ad onor del vero, erano legittimi per Montefiore, del tutto discutibili per Apecchio) ma comunque rimanda la questione ad un’analisi successiva (mai effettuata, perché di lì a poco sarebbe stato ricostituito lo Stato della Chiesa): Illustrissimo signore. Mi sono estremamente a cuore gl’interessi non solo del mio adorato sovrano, ma ancora i doveri della più scrupolosa giustizia. Per dar pronto sfogo alla di lei rappresentanza, ordinai subito al De Iacobi che cessasse da qualunque atto arbitrario contro i diritti de suoi feudi; ella sia sicura che appena il cielo farà che siamo in Ancona, mi darò carico di maturamente esaminare e decidere sopra questo affare, il che ora non posso eseguire in vista delle tante brighe, che mi tengono occupato. Una sospensione di pochi giorni non può recare la minima alterazione[10]

La prima restaurazione in Apecchio: il podestà Orazio Ioni
Il Regio-Cesareo Governo ebbe vita breve: Il 25 giugno 1800 il card. Consalvi, prosegretario di Stato, pubblicava a Loreto l’editto per la sistemazione dei territori dello Stato della Chiesa: veniva naturalmente ricostituito lo Stato di Urbino e Pesaro nei confini precedenti, con il  titolo di “Delegazione”[11]. Marche ed Umbria furono riconsegnate al papa il 27 giugno 1800 (quando già i Francesi, con la battaglia di Marengo, avevano riconquistato il predominio in Italia e si preparavano a formare la seconda Cisalpina)[12]. Pio VII riprese possesso dello Stato il 1 luglio; il 7 venne inviato come governatore della provincia di Urbino il delegato apostolico mons. Giovanni Cacciapiatti di Novara[13].
Subito venne inviato ad Apecchio un nuovo podestà, il dottor Alessandro Ioni, con il compito di ripristinare la situazione economica ed amministrativa della comunità prima del periodo “giacobino”, la cui prima attestazione in Apecchio è del 30 agosto 1800, quando informa Sua Eminenza della situazione economica della comunità: il Martinelli manteneva la sua carica di ministro camerale (nominato dal vescovo di Urbania, delegato imperiale, nel settembre 1799 e rimasto in tale carica dopo la restaurazione dello Stato della Chiesa, come precisa il podestà Alessandro Ioni nell'agosto 1800 (... il Martinelli ha agito, ed agisce colle stesse facoltà che aveva in addietro, e le rendite camerali colano in di lui mani. Esse ascendono a poco più di scudi 150 annui, non comprese diverse ragaglie di paglia, legna e castrati, il cui ritratto spetta a chi presiede a questa provincia d’Urbino. I detti scudi 150 rimangono quasi intieramente impiegati nella scarsissima provvisione del giudice, cancelliere, ministro camerale, bargello, che tolto dalla cessata Repubblica, non è stato peranche rimpiazzato, ed in altre spese solite occorrere per il mantenimento di questo Palazzo Camerale, affatto inabitabile, perché di nuovo minacciante rovina)[14]
Il 22 ottobre 1800 si riunì quindi di nuovo il vecchio consiglio comunitativo. Il podestà Ioni propose la surroga di Biagio Brardi, Francesco Martinelli e Domenico Landi (i primi due morti negli anni precedenti, il terzo di decrepita età) con i rispettivi figli Bartolomeo Brardi, Agostino Martinelli e Ubaldantonio Landi[15]. Venne quindi, alla fine di dicembre, con entrata in vigore dal 1 gennaio, ripristinata l’amministrazione economica della comunità sul piede in cui era nell’anno 1796, estraendo dai bossoli gonfalonieri e priori[16].
Nel frattempo Girolamo Martinelli aveva fatto affiggere nell’ottobre l’editto delle regaglie (cioè delle “regalìe”, che consistevano in legna, paglia, capretti, castrati, agnelli) secondo i termini utilizzati prima del periodo giacobino; tuttavia nessuno aveva pagato ed il Martinelli chiedeva delucidazioni a Sua Eminenza[17].
Il principale problema del dottor Ioni fu quello dell’annona, dato che, per la stravaganza della stagione, il grano era stato raccolto in ritardo, era scarso ed i benestanti (soprattutto gli ecclesiastici, a detta del podestà) ritardavano la consegna della loro quota[18].


La difficile situazione economica della comunità
Il 25 ottobre 1800 il podestà Alessandro Ioni faceva il punto della situazione inviando una precisa risposta a Sua Eminenza sui debiti fruttiferi ed infruttiferi che gravavano sulla cassa comunitativa apecchiese[19]. Si precisava che nessun debito gravava sulle due comunità di Pietragialla e Baciuccheto; a Montevicino un debito di 25 scudi, utilizzato per supplire alle spese straordinarie, era stato concesso alla comunità dall’arciprete, tale Ulivieri.
Era invece catastrofica la situazione della cassa comunitativa di Apecchio, che aveva oltre 2600 scudi in debiti, fruttiferi o infruttiferi, nei confronti di alcuni cittadini e del monte frumentario. I debiti fruttiferi ammontavano a 950 scudi ed erano censi da pagare ad Angelo Polidori (200 scudi), Ubaldantonio Masini (200 scudi), Marcantonio Collesi (100 scudi), fratelli Tamagnini (250 scudi), Giovanni Andrea Cesari (100 scudi), Giovanni Battista Ghigi (100 scudi). Quelli infruttiferi erano i seguenti:
·       scudi 667:24:½ in riduzione di moneta accaduta li 20 febbraio 1800
·       scudi 530 in rimessa nello spiano de grani panizzati dall’anno 1799 dal mese di agosto sino al 1800 di detto mese;
·       scudi 410 debito col Monte Pio Frumentario per stara 164 grano panizzato dal 1798 al 1799 e non pagato alla ragione di scudi 2.50 lo staro.

Il podestà Ottavio Gasparini (1801)
Nel gennaio 1801 venne nominato il nuovo podestà, Ottavio Gasparini, che rimase in carica per tutto quell'anno:  il 3 gennaio 1801 confermava a Sua Eminenza il suo arrivo in Apecchio e lo informava della mancanza del cancelliere: unico soggetto in grado di sostenere tale carica, almeno provvisoriamente, era Serafino Ercolani; ma alcuni motivi ne sconsigliavano la nomina[20].
Un importante documento del podestà Ottavio Gasparini, inviato a Sua Eminenza il 14 luglio 1801, fu la revisione contabile della comunità di Apecchio, dal quale emergeva il disavanzo di circa 36 scudi (per l’esattezza 35,90)[21]. Esso riguarda solo l’amministrazione camerale (cioè quella governativa), non quella comunitativa, che, come visto, presentava un disavanzo di gran lunga superiore.
Le entrate infatti assommavano a scudi 172.60 e di fatto, a parte un avanzo di passata revisione, erano coperte  esclusivamente dalle collette pagate dai proprietari di terreni e fabbricati:

scudi
Colletta di Baciuccheto
9,65
Colletta di Pietragialla
67,45
Colletta di Monte Vicino
36,30
Colletta di Apecchio
37,35
Avanzo di passata revisione
21,85

Le uscite raggiungevano la somma di 208,50 scudi.

scudi
Sbilancio della revisione del 1797
44,55
Al padre predicatore
1,05
Al podestà suo onorario
72,00
Al cancelliere come sopra
28,20
Al bargello e balio
10,80
Al ministro camerale sua provisione
18,00
Al postiglione
1,00
Al muratore per visitar le fabbriche
1,20
Per la presente revisione
1,50
Per feste all’innalzamento dell’armi imperiali e governative
11,90
Al fabbro per diversi ferrami, serrature e fatture
6,25
Al falegname e muratore
2,30
Pagati a Pasquale Amadei barigello dopo fatta la revisione del 1797 prima che incominciasse la Repubblica
9,75

Le riforme di Pio VII (1801)
La situazione era comunque fluida. In Romagna si era ricostituita la Repubblica Cisalpina (Napoleone era disceso una seconda volta in Italia e aveva vinto gli Austriaci, il 14 giugno 1800, a Marengo; Austriaci e Francesi il 9 febbraio 1801 firmavano il trattato di Luneville che poneva fine alla guerra), che controllava la Romagna e pretendeva di estendere la sua giurisdizione su Pesaro e sul Montefeltro.  “Solo il concordato stipulato tra la  Santa Sede e la Francia nel luglio del 1801 segnerà l’inizio per la Legazione di un periodo di relativa tranquillità e consentirà a Pio VII di riprendere l’opera riformatrice iniziata dal suo predecessore”[22].
La situazione dello Stato ecclesiastico era desolante: le comunità versavano in una grave crisi amministrativa ed economica a causa delle spese elevate sostenute nel periodo precedente; a ciò si aggiungeva una certa insofferenza per l’inetto governo ecclesiastico, non più al passo con i tempi. Si cercò pertanto in qualche modo di porre rimedio ai principali problemi dello Stato con una stagione di riforme.
Deve essere ricordato in primo luogo il motu proprio dell’11 marzo 1801 che sopprimeva le corporazioni, istituiva il libero commercio delle grascie (cereali) e introduceva un’unica gabella di consumo”. Veniva in questo modo abbandonato definitivamente il sistema vincolista ed accettato il liberismo[23]. A completare tale riforma, il 4 novembre 1801 venivano inoltre abolite le tratte. “Al loro posto, per far godere i vantaggi del commercio internazionale anche ai piccoli proprietari, era istituito un regolamento che prevedeva per i cereali un dazio di esportazione, che si faceva più gravoso via via che aumentavano i prezzi sul mercato interno”[24]. E, nello stesso anno, venivano anche liquidate le annone[25] e ritirata la moneta erosa[26].
Contemporaneamente si provvide a riformare i sistema tributario: furono revocate tutte le tasse preesistenti, che vennero sostituite da due sole imposte: 
o       la dativa reale, che colpiva sia le proprietà rurali (in ragione di sei paoli ogni cento scudi di estimo), sia le abitazioni (due paoli ogni cento scudi di valore): le somme ricavate dovevano essere pagate  esclusivamente nel luogo in cui i beni si trovavano situati, non in altri luoghi (ad esempio quelli in cui abitavano i proprietari);
o       la dativa personale, articolata nell’acquisto obbligatorio a prezzo fisso di dieci libbre di sale a persona e in una tassa sul macinato di baiocchi 51 per ogni rubbio di grano”[27].
La riforma fu applicata anche ad Apecchio, anche se inizialmente in maniera alquanto confusa, come testimonia il podestà Ubaldo Coldagelli all’inizio del 1802: Non posso trattenermi dall’incomodare l’Eminenza Vostra Reverendissima col ragguaglio di un rilevante disordine che regna nella pubblica amministrazione tanto di questa comunità che dell’altre annesse a questa giurisdizione. In esse il nuovo sistema daziale è ancora quasi affatto sconosciuto per non essere stato posto in pratica secondo le regole prescritte. Vengo  primieramente assicurato, quantunque non abbia ancora potuto pienamente verificarlo, che sieno stati trascesi i limiti nell’esigenza della Dativa Reale e che a titolo di questa siansi esatti baiocchi 75 per 100. La tabella poi delle strade corriere e provinciali non è stata posta in attività né punto né poco e l’esigenza della tassa imposta per le medesime non si è fatta in nessun modo. Confondendo bensì una cosa coll’altra si è supplito al corrispondente pagamento massime coll’introito comunitativo. Ciò si è potuto fare comodamente giacché in specie la comunità di Apecchio introita molto di più di quello che porta il bisogno. Bilanciate da me le spese annue, certe di queste, ho rilevato che non oltrepassano li scudi 94.43.3. L’introito poi della medesima ricavato dalli due dazi, sul rifletto che questi sono stati già affittati per un anno incominciando fino dal passato ottobre, ed i rispettivi conduttori hanno improntate anticipatamente delle somme in conto di corrisposta[28].
In connessione con la riorganizzazione del commercio e del carico fiscale, abbiamo una lettera dell’anno successivo (3 aprile 1802), in cui il podestà Ubaldo Coldagelli fa presente che le comunità soggette (ed i viceconti di Fumo e Colle degli Stregoni) non vogliono pagare i prescritti trenta baiocchi per il bollo necessario per la libera circolazione delle mercature[29]. Da Pesaro si ingiunse di minacciare i rimedi legali, mentre ravvisiamo che ciò non può reggere, non dandosi paese che non possa avere famiglie da lavorare tele mezzolane od altro che meritano il bollo per la circolazione[30].
Le argomentazioni furono convincenti e nel successivo aprile veniva inviata la somma raccolta per i sette bolli delle comunità soggette ad Apecchio ed i due luoghi feudali[31].

Il riordinamento delle finanze locali
Il 19 marzo 1801 fu varata un’importante riforma delle finanze locali, in base alla quale si addossò alle casse statali i debiti delle comunità, delle quali si incameravano però i beni.
Tutti i beni “comunitativi” divennero quindi “camerali”, e ciò avvenne in tutti i comuni dello Stato Pontificio. Anche ad Apecchio pertanto i beni della comunità vennero ceduti alla Reverenda Camera Apostolica ed il debito della Comunità venne cancellato.
Tali beni sono elencati in una Nota de beni che possiede la comunità d'Apecchio, e le altre annesse  in un elenco del 1801[32],
·       Un stradone, a guisa di prato, soggetto alla servitù di un pubblico passaggio, l’erba del quale si dà ogni anno in affitto, ed al presente è affittato per un triennio, colla triennale corrisposta di scudi 7:50, essendo scorso un anno di tale affitto correndo il secondo
·       Item un andito dirimpetto al fiume a piedi il paese di piccola estensione con alcuni arbori, non esigendosi alcun fruttato se non se dalla vendita di qualche arbore che si richiede in vendita da particolari
·       Item una casa quale serviva per uso de magazeni dell’annona frumentaria tuttora dismessa atteso il libero commercio, e libera panizzazione, la quale tuttora rimane inaffittata
·       Item altra casa che serve per abitazione del pubblico balivo, e soggetta alla servitù di passo per il moderatore del pubblico orologio
·       Item altra casa che serve per comodo della pubblica scola, e per farsi i consigli, con un fondo per comodo del pubblico macello.
La comunità di Pietragialla inoltre possedeva vari tenimenti di terra di qualità arativi ed altre del valore catastale di scudi 93:73 e che tuttora si tiene in enfiteusi dai fratelli Tamagnini coll’annuo canone di scudi 5, coi quali da essi Tamagnini si passava mensilmente la paga al pubblico balivo, seppure più volte interpellati detti Tamagnini a mostrare o sia a giusticare il titolo di tale enfiteusi dai comunisti di Pietragialla, non hanno ciò accudito, mostrandosi sempre morosi come tuttora lo sono. Item la predetta comunità possiede un censo di scudi 40 che passivamente tiene Giovani Battista Selvi al 4 per 100 ad anno essendo esso addietro de frutti di molt’anni a questa parte.
La Comunità di Monte Vicino annessa d’Apecchio suddetto tiene alcuni terreni di qualità macchiati e sodivi e questi tuttora restano inaffiittati, ed il valore catastale de medesimi è di - scudi (valore non riportato).

Il corpo di milizia provvisoria
Il 15 aprile 1802 monsignor Cacciapiatti, Delegato Apostolico, in una sua circolare inviata a tutti i funzionari della Delegazione, precisava, dopo aver ricordato che si consideravano disciolti ed aboliti tutti i corpi di Guardie Urbane o di Miliziotti (e chiedendo di informare di ciò gli antichi ufficiali comandanti affinché informassero i loro uomini), prevedeva la formazione di un corpo di milizia provvisoria da attivarsi al bisogno per mantenere l’ordine pubblico: … siccome potrebbe occorrere il bisogno o per qualche solennità, o per altra urgenza di porre improvvisamente in attività qualche numero di persone armate, così potrete unitamente al magistrato combinare la nomina di tre soggetti idonei da presentarsi a Noi, onde eleggerne uno di essi, e quello poi colla vostra intelligenza scelga dieci o dodici soggetti oltre un altro come in figura di sargente, che non siano stati, o attualmente non siano inquisiti o querelati, ma probi, ed onesti per essere a lui subordinati. Di questi soggetti se ne dovrà a noi  trasmettere la nota, ed i Pubblici Rappresentanti premettendo a Noi la richiesta per mezzo vostro ogni volta che ne occorra il bisogno a meno d’un istantaneità, potranno ottenere di servirsene alle occasioni, fintanto che la Congregazione Militare abbia ultimato un Piano di Milizie, che sta ora formando[33].
Ad Apecchio in un primo momento i pubblici rappresentanti non stimarono di dover formare tale milizia, dato che in quella Terra non occorrerebbe di porla in attività per la mancanza di feste, spettacoli, ed altro[34]. Successivamente (15 maggio 1802), evidentemente dietro precisa nuova richiesta da Pesaro, il podestà Ubaldo Coldagelli inviò i tre nominativi richiesti, tra i quali Sua Eminenza doveva scegliere il capo della milizia: Marsilio Vagni[35], Marco Collesi e Francesco Tamagnini.
Il primo fu scelto da Sua Eminenza come capo della milizia e, il 5 giugno 1802, il podestà Coldagelli poteva inviare  l’elenco dei soggetti componenti il corpo di Milizia[36]:
¨        Capo di Milizia: Marsilio Vagni
¨        Sargente. Giovanni Palleri
¨        Comuni: Giuseppe Tamagnini, Gaspare Nicolucci, Luca Tamagnini, Luigi Pattiochi, Giovanni Domenico Ghigi, Marco Tocci, Giovanni Tiligalli, Francesco Vandini, Pietro Cancellieri, Giuseppe Matteucci, Paolo Cancellieri, Mattia Marini.

Oziosi e vagabondi
Nel giugno 1804 il podestà Ubaldo Coldagelli, in risposta ad una circolare del 30 maggio precedente di Sua Eminenza, precisava che non esistevano nella Terra di Apecchio oziosi e vagabondi (… ho l’onore di riferire, che né in questa Terra né in tutto il rimanente della Giurisdizione evvi domiciliato alcun estero, onde mi trovo esentato dal trasmettere di questi la nota prescritta. Inoltre, per le indagini praticate anche in altre occasioni posso con sicurezza asserire che fra gl’individui che compongono questa ristretta popolazione non ve ne è neppure uno che possa dirsi veramente ozioso, ma in ordine a questi, e alle persone dei vagabondi non ometterò di usare tutta la vigilanza, acciò gli ordini sovrani vengano esattamente adempiti). Non c’erano cioè problemi di ordine pubblico a causa della presenza di forestieri[37]




[1]G. GARAVANI, Urbino e il suo territorio nel periodo francese (1797-1814), Urbino 1906, parte II , pp. 121-139.
[2]D. CECCHI, Dagli Stati signorili all'età postunitaria: le giurisdizioni amministrative in età moderna, in S. Anselmi (a cura di), "Economia e Società: le Marche tra XV e XX secolo", Bologna 1978, p. 76.
[3]Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in poi ASP), Legazione di Urbino e Pesaro (d’ora in poi Leg.), Risposte a circolari, b 11, n. 46 (risposte alla circolare relativa alle rendite camerali), lettera di Alessandro Ionj podestà - S. Angelo in Vado per Apecchio, 30 agosto 1800.
[4]C. BERLIOCCHI, Apecchio tra conti, duchi e prelati, s.l. (Città di Castello), 1992, p. 204.
[5]Il vescovo aveva visionato già il rescritto, l’aveva giudicato alterato, ne aveva fatto fare copia da un notaio ed inviato al De Iacobj; contemporaneamente aveva informato le autorità apecchiesi dell’illegalità dell’atto. Il De Iacobj aveva confermato alle autorità apecchiesi le informazioni del Vescovo. L’alterazione del carattere del rescritto viene sostenuto anche in una lettera di don Antonio Cancellieri del 6 novembre 1799 conservata nell’Archivo Ubaldini di Jesi, b. 17, 20.
[6]Biblioteca Planettiana di Jesi (d’ora in poi BPJ), Archivio Ubaldini, b. 17, 20, Istruzioni pel signor Rosini,  non datato né sottoscritto.
[7]BPJ, Archivio Ubaldini, b. 23, 90, 91, relazione del notaio Cassiano Rosini del 10 novembre 1799 (giorno successivo all’andata in Apecchio).
[8]BPJ, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, Urbino, 26 settembre 1799, relazione di Cassiano Rosini.
[9]BPJ, Archivio Ubaldini, b. 17, 20, non numerata. Così si esprimeva don Antonio Consiglieri in una missiva datata Apecchio, 24 settembre 1799, indirizzata al conte Luigi Ubaldini (conservata nella stessa busta): Non si è potuto effettuare quanto brama Vostra Signoria Illustrissima attese l’inibizioni date da monsignor Agostini a tutti li oficiali di questa comunità che badino bene di non rimuovere cosa alcuna senza ordine del Dejacobi, però né il signor Arciprete né io abbiamo stimato prudenza fare alcun atto anche per non correre pericolo di mettere a masagro  il signor dottore Rosini come rileverà dalla lettera del prelodato signor arciprete…
[10]BPJ, Archivio Ubaldini, b. 41, 42, 89,  lettera di Antonio di Cavallar, imperial regio commissario cesareo al conte Luigi Ubaldini, dal quartier generale di Varano, 2 novembre 1799.
[11]Cecchi, Dagli Stati signorili (cit.), pp. 76-77. Il 16 agosto di quell’anno, nell’ambito di una risistemazione complessiva del territorio delle delegazioni marchigiane, anche Fano veniva posta nella Delegazione di Urbino.
[12]G. ALLEGRETTI, Note sulle mutazioni nei comuni di Montefeltro e Massa (1790-1814), in "Studi Montefeltrani", 6/7 (1978/79), pp. 69-110, alle pagg. 87-88.
[13]Garavani, Urbino (cit.), II, p. 143.
[14]ASP, Leg., Risposte a circolari, b 11, n. 46 (risposte alla circolare relativa alle rendite camerali), lettera di Alessandro Ionj podestà - S. Angelo in Vado per Apecchio, 30 agosto 1800.
[15]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), copia del consiglio comunitativo, 22 ottobre 1800. L’approvazione di Sua Eminenza alla richiesta è del 5 novembre 1800.
[16]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Alessandro Ioni, Apecchio, 31 dicembre 1800: Eccellenza reverendissima. In coerenza di quanto l’Eccellenza Vostra Reverendissima si è degnata ingiungermi colla rispettabilissima circolare dei 6 spirante, nel consiglio dei 20 detto seguì la ripristinazione dell’amministrazione economica di questa comunità sul piede, in cui era nell’anno 1796, avendo in simile occasione formato li bussoli della nuova magistratura, e quindi da essi estratti tre soggetti, che la devono comporre giusta lo stile di questa Terra. Domani farò che cassino dalle carichegli esercenti, col dare il formale possesso ai nuovi. Tanto m’accade riferire all’Eccellenza Vostra Reverendissima nell’atto chele fu un profondissimo inchino.
[17]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera di Girolamo Martinelli, 4 ottobre 1800 (Sì come prima riscotevo delle legne, e paglia capretti e li castrati, onde io ho fatto affiger lo editto come prima ma nesuno ha pagato e nemmeno ho fatto li agnelli per li castrati per questo altero anno onde ricorro a Vostra Signoria come mi devo contenere tanto bramo dalla di lei persona…)
[18]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), passim.
[19]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 11, n. 47 (Risposta alle istruzioni richieste dal tesoriere generale con circolare del 16 ottobre 1800 relativa ai debiti fruttiferi ed infruttiferi che gravano sulle comunità), lettera del podestà Alessandro Ioni, 25 ottobre 1800.
[20]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ottavio Gasparini, Apecchio, 3 gennaio 1801 (Serafino Ercolani è molto cognito in codesta suppressa udienzama la sua maniera di operare lo caratterizza per un uomo da non potersi ripromettere, e così andarne di mezzo il giudice, e farci cattiva figura)
[21]ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ottavio Gasparini,, Apecchio, 14 luglio 1801.
[22]R. PACI, L’ascesa della borghesia nella Legazione di Urbino dalle riforme alla Restaurazione, Milano 1966, p. 93.
[23]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 100.
[24]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 102.
[25]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 103.
[26]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 104.
[27]Paci, L’ascesa della borghesia (cit.), p. 100. Vds anche nota 11 pp. 100-101: “Nella Legazione di Urbino prima dell’occupazione francese il macinato camerale era di 18 bajocchi al rubbio…, mentre il sale si pagava  4 quattrini alla libbra anziché 12 come veniva disposto nel 1805” e pag. 106: “questa tassa (la tassa dei sei paoli) nelle generali condizioni di depauperamento, parve qualcuno insostenibile e suscitò sorde resistenze e diffusi malcontenti”. Quest’ultima tassa colpiva in modo particolare le comunità dell’Appennino, il valore dei cui terreni era stato erroneamente sovrastimato nella precedente catastazione.
[28]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 27 gennaio 1802
[29]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 3 aprile 1802: In esecuzione degl’ordini veneratissimi dell’Eminenza Vostra Reverendissima emanati con circolare delli 22 scaduto marzo ho presentati a Serafino Ercolani segretario dei tutte le comunità soggette a questa giurisdizione i bolli inviatimi. Egli però ha ricusato riceverli colla legge dello sborso di bajocchi trenta fini per cadauno, asserendo che per non esservi nelle comunità suddette veruna sorte di manifatture, non giungerebbe giammai a rivalersi dell’improntato. La stessa renitenza ho sperimentato tanto dal sacerdote Antonio Cancellieri vice-conte del Fumo, quanto nell’altro sacerdote Giovanni Battista Ghigi vice conte di Colle Stregone, e Colle Lungo, ai quali li ho esibiti in mancanza de pubblici segretarj, di cui sono privi li menzionati luoghi baronali. Li bolli dunque permangono tuttora in mie mani, onde supplico l’Eccellenza Vostra Reverendissima a volersi degnare di avanzarmi ordini più precisi…
[30]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 3 aprile 1802 (minuta di risposta ivi presente).
[31]ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 24 aprile 1802: In gruppo separato ho l’onore d’inviare all’Eccellenza Vostra Reverendissima la somma di scudi due e baiocchi dieci fini, valuta dei sette bolli destinati a contrassegnare le manifatture nostrali, che ripartitamente  ho esatta da questo pubblico segretario, e dalli vice-conti del Fumo, Colle Stregone e Colle Lungo, in conformità degl’ordini veneratissimi dell’Eminenza Vostra Reverendissima.
[32]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 12 (1801-1802), n. 53 (Risposte a lettera delegatizia del novembre 1801 relativa a fondi, beni stbili rustici ed urbani appartenenti alla Camera Aposotlica, alle Comunità, Luoghi Pii e così detti “Nazionali” e alienati sotto il governo Repubblicano), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 11 novembre 1801.
[33]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 13 (1802-1806), n. 55 (Risposte alla circolare del 15 aprile 1802 circa la scelta degli individui per sovrintendere al buon ordine), circolare di monsignor Giovanni Cacciapiatti Delegato Apostolico, Pesaro, 15 aprile 1802.
[34]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 13 (1802-1806), n. 55, lettera del podestà Ublado Coldagelli, 15 maggio 1802: Eccellenza Reverendissima. Riguardando come puramente permissiva la formazione del Corpo di milizia provvisoria, in conformità della veneratissima circolare dell’Eccellenza Vostra Reverendissima delli 15 scorso aprile, ed avendo questi Pubblici Rappresentanti stimato superfluo, come ebbi l’onore di significarle con altra mia rispettosissima delli 10 corrente, lo stabilirla in questo Luogo, ove giammai non occorrerebbe di porla in attività per la mancanza di feste, spettacoli, ed altro, omisi di trasmettere l’elenco degl’individui per l’elezione di un capo. Siccome però mi viene ora supposto che l’Eccellenza Vostra Reverendissima esiga da per tutto lo stabilimento della detta milizia, così mi faccio un dovere di umiliarle qui inserto l’elenco suddivisato nel mentre che col più profondo ed umile ossequio ho l’onore di rassegnarmi. Apecchio, 15 maggio 1802. Dell’Eccellenza Vostra Reverendissima umilissimo, devotissimo ed obbligatissimo servitore Ubaldo Coldagelli podestà.
[35]Era l’esattore repubblicano per la comunità di Apecchio e le annesse (1799).
[36]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 13 (1802-1806), n. 55, lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 5 giugno 1802.
[37]ASP, Leg., Risposte a circolari, b. 13 (1802-1806), n. 58 (risposte delle comunità alle circolari del 20 marzo 1804 e 30 maggio 1804 circa gli oziosi e vagabondi), lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 16 giugno 1804.

(*) "Ponte apecchio" di Wolfra - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ponte_apecchio.jpg#/media/File:Ponte_apecchio.jpg


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