La Comunanza di Serravalle

di Stefano Lancioni



Serravalle di Carda (Apecchio), maggio 2005 Foto di: Poggiani Luciano (http://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/comuni-del-bacino/scheda/10675.html)


Nel 1619  la Segreteria Ducale si interessò della Comunanza di Serravalle et altre ville della Carda e, in particolare, sulla sua origine e sull’alienazione, nei tempi passati, a singoli, di una parte di quelle terre. Claudio Fanelli, allora Commissario di Massa, inviò pertanto un’apposita relazione, di cui riporto integralmente  il testo, che presenta diverse informazioni ricavate da sei testimoni. Costoro non hanno idea dell’origine della Comunanza stessa, attestata comunque nel 1523, quando figura aver venduto alcune terre con licenza ducale. Ricordano anche un accordo sottoscritto nel 1532 con Ottaviano Ubaldini della Carda e Bernardino della Valle di Castiglione, proprietari anch’essi di una rata delle pendici di Monte Nerone.
Nella trascrizione ho lasciato inalterata la grafia della lettera, sciogliendo solo le abbreviazioni.
Serenissimo signore et padrone mio singolare
Ho essaminato sei huomini delli più pratici della Carda, et Ville d’essa per sapere come consti della Comunanza della Villa di Serra Valle, et altre, che possedono terre in comune, e per indiviso nelle pendici di Monte Nerone, et anco dell’origine di detta Comunanza, et come le terre siano venute nelle mani de particolari et se la Communità sia sollita fare concessione alcuna delli soddetti beni conforme l’ordine che tengo da Vostra Altezza Serenissima.
Li soddetti testimonij dicono non sapere come consti della Comunanza, et origine della Villa di SerraValle, et altre ville della Carda poste alle pendici del Monte Nerone, ma che sempre anticamente più di 60 anni fa se sonno possedute dalli huomini di dette ville, et in particolare i padri loro l’hanno possedute, et essi le possedono respettivamente. Alcuni delli suddetti testimoni dicono havere comprato delle dette terre dalli huomini delle soddette Ville, et Comunanza, che le possedevano, in particolare Francesco Matarozzi dalla Carda depone, che 10 o 12 anni sono comprò dalla Serenissima Camera alcune terre delle Pendici di Monte Nerone comprese in dette Comunanze, ch’erano già di Michelino da Serra Valle, et dice ch’al presente possede dette terre sicome l’istesso hanno fatto molt’altri, che l’hanno comprata da diversi havend’io veduto gl’instrumenti.
In conformità di quanto depongono li detti testimonij ho veduto un instrumento fatto del 1532 tra l’Università, et Comunanze delle Ville di Serra Valle, del Piano, et Trebbio della Carda, et Ottaviano Ubaldini dalla Carda et Bernardino dalla Valle di Castiglione, dove se dice, che per longhissimo tempo le dette Ville, et Comunanze havevano goduto, et posseduto un tenimento di terre in comune, et per indiviso poste nella corte della Carda in vocabolo le pendici di Monte Nerone, del quale mando qui la congiunta copia.
Che gli huomini di dette Comunanze habbino venduto delle dette Terre poste  alle pendici di Monte Nerone a me consta  per tre instrumenti uno fatto del 1523 l’altro del 1528 et l’altro del 1587 in uno de quali se dice hauta licenza dal fattore di Vostra Altezza della provincia di Massa, et Capitano della Carda, in un altro dal Capitano della Carda, et in un altro semplicemente habita licentia.
Nessuno delli soddetti testimoni sa che gli huomini delle dette Comunanze habbino fatto concessione alcuna di dette terre, solamente ch’i loro antichi fecero conventione con il detto Ottaviano Ubaldini, et Bernardino dalla Valle di Castiglione quali possedevano una rata delle pendici del Monte Nerone assieme con dette Comunanze, che gli huomini di dette Comunanze non potessero vendere, permutare, donare, né locare per lungo tempo le suddette se non ad essi Ubaldino, et Bernardino o alle dette Comunanze et posessori, et l’istesso dovessero fare reciprocamente li soddetti Ubaldino et Bernardino dechiarando in caso di controventione l’alienatione donatione pervenute, et instrumenti nulli, et che detti beni se transferissero in quelli, che non contravvenivano com’appare per l’incluso instrumento del quale come ho detto mando copia.
Depose anc’un testimonio che 10 o 12 anni sono se fece un contratto dalli huomini delle dette comunanze, che nessuno potesse tagliare in una macchia compresa in dette terre, né ch’i forastieri potessero pasturare, et dell’instrumento se rogò ser Arcangelo Fabbri da S. Georgio allora Capitano della Carda.
Soggiung’un testimonio che l’anno passato se hanno racccolt’in dette terre 200 staioli di grano, ch’è stato di grand’utile alli huomini di quel luogho.
Doi testimoni depongono che non li pare fosse bene se dividessero le terre delle Pendici di Monte Nerone per doe rispetti l’uno per l’accuse ch’ogni giorno se fariano, l’altro che lavorandosi le terre il Monte in breve andarà in rovina con menarv’il terreno a basso et per fossi, et allagaria i paesi vicini di breccia cativa con pericolo d’allamare, et rovinare le case per le grand’acque, et nevi, e che però sia bene che le terre se possedin’in comune.
Un altro testimonio dice che dividendosi detti beni saria di pregiudizio a dette Ville perch’ogn’uno vuole pascolare, e stand’in comune bastaria un guardiano a tutt’il bestiame del paese, ma dividendosi sempre se saria da fare et contattare per causa de danni, et bisogneranno più guardiani.
Inoltre un testimonio depone che prima se sapeva qual campo e pezzo di terra havess’a lavorare ciascuno ma da certo temp’in qua s’è cominciat’intrigare, et pigliar’a chi è parso le terre migliori. Ch’è quanto devo dir a Vostra Altezza conforme l’ordine che hebbi, e prima non s’è risposto per esser stati molti giorni che gli huomini della Carda non mi portavano gl’instrumenti et scritture, et li faccio humilissima riverenza.
Di Casteldurante li 30 agosto 1619.
Di Vostra Altezza Serenissima devotissimo et fidelissimo servitore Claudio Fanelli commissario[1].
Ricordo infine che, sempre alla Carda, Ottaviano Ubaldini (citata nel documento precedente), aveva diritto a lignare, tabulare, cogliere il scotano, fienare nella montagna di Cardamagna, come previsto da un apposito istrumento fatto tra Eleonora Gonzaga, madre del duca Guidubaldo II, e Ottaviano Ubaldini stesso (padre di Fabrizio Ubaldini sotto menzionato), ricordato in una lettera della segreteria ducale al capitano della Carda:
Al capitano della Carda capitano Casirarchi che il capitano  Fabritio Ubaldini possi lignare pabulare cogliere il scotano fienare nella montagna  di Cardamagna come ha fatto per il passato e secondo che contiene l'instrumento che fu fatto tra la illustrissima signora Madama nostra madre et il padre di esso capitano Fabritio, non permettendo che in ciò sia molestato da alcuni facendogli requisire il scotano che gli è suto curato da chi si trova haverlo hauto, e se alcuno si sente gravato di questo gli farete  intendere che facci chiamare questo dinanci ai nostri Oditori detto capitano che non si mancarà di ragione. Di Pesaro a li 12 marzo 1562[2].


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[1]Archivio di Stato di Pesaro, Lettere delle Comunità: Massa, b. 6 (1619-1620), lettera del commissario Claudio Fanelli, Casteldurante, 30 agosto 1619. E’ allegata copia dell’atto del 1532 in latino.
[2]ASP, Leg., Copialettere, ex 8572,  1558-1564, 11 marzo 1562.

1 commento:

  1. Abbiamo trovato veramente interessante questo documento del 1619 scovato dal Prof. Stefano Lancioni presso l’Archivio di Stato di Pesaro, perché rivela in modo chiaro alcune funzioni delle “Comunanze”, che affondano la loro origine in usi civici collettivi antichissimi e consolidati, che spesso, nelle analisi su questi temi, vengono trascurate.
    In particolare emergono in modo netto almeno tre funzioni che ci sembra opportuno mettere in evidenza:
    1) supporto alimentare agli abitanti del luogo, anche se non appare quella principale. Apprendiamo, infatti, che all’epoca veniva prodotto grano anche a quote alte (200 staioli di grano ch’è stato di grand’utile alli huomini di quel luogo). Probabilmente si coltivava una particolare qualità di grano, un grano antico ora riscoperto, la vernella, che poteva essere piantato a primavera, e che produceva un chicco rosato;
    2) difendere le pendici del Monte Nerone dal dissesto idrogeologico che una coltivazione dissennata avrebbe potuto determinare (lavorandosi le terre il Monte in breve andarà in rovina con menarv’il terreno a basso e per fossi, et allagaria i paesi vicini di breccia cativa con pericolo d’allamare, et rovinare le case per le grand’acque, et nevi, e che però sia bene che le terre se possedin’ in comune). Lo strato di terra fertile che ricopre la roccia o i depositi di breccia è infatti molto sottile lungo le pendici del Nerone ed un suo sfruttamento eccessivo potrebbe provocare esattamente gli effetti descritti nel documento ;
    3) limitare i costi per il controllo del bestiame di proprietà degli abitanti del paese e ridurre la litigiosità che si creerebbe a causa dei danni prodotti dagli animali se i pascoli fossero suddivisi fra tanti piccoli proprietari (dividendosi detti beni saria di pregiudizio a dette Ville perch’ogn’uno vuole pascolare, e stand’in comune bastaria un guardiano a tutt’il bestiame del paese, ma dividendosi sempre se saria da fare et contattare per causa de danni, et bisogneranno più guardiani).
    E’ un concentrato di buon senso e di oculata gestione del territorio ciò che troviamo esposto nel documento proposto dal prof. Lancioni, dal quale tutti quanti dovremmo trarre insegnamento, in particolare gli Amministratori della cosa pubblica.

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